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Che cos’è la sindrome da mouse e quali sono gli esercizi posturali e del metodo Pilates per prevenirla e combatterla


L’era digitale ha portato molti benefici alla vita moderna, ma anche tanti svantaggi a discapito del nostro benessere. Inoltre con il diffondersi dello smart working la vita sedentaria è sempre più intensa con un conseguente peggioramento del nostro stile di vita e del nostro stato di salute. Il costante utilizzo dei dispositivi elettronici e nello specifico del PC e del mouse hanno aumentato il diffondersi di diverse patologie degenerative soprattutto a carico dell’arto superiore con inevitabili conseguenze sull’articolazione del polso e della mano. Queste problematiche sono decisamente fastidiose, arrivando a diventare talvolta invalidanti e sempre più frequenti, tanto da essere definite come “mal di mouse” o ancora più comunemente conosciute come sindrome da mouse.

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I continui e invariati movimenti necessari per spostare il mouse, a lungo andare, possono causare tensione muscolare, infiammazione dei tendini e/o una irritazione dei nervi che forniscono sensibilità alle dita. Inoltre la ripetibilità dei movimenti della mano in estensione e la postura non corretta del corpo e del braccio sono ulteriori elementi a rischio di sovraccarico funzionale. La sindrome da mouse quindi, si manifesta proprio a causa di un’eccessiva attività muscolo-tendinea esercitata dall’utilizzo prolungato del mouse, in questo modo si crea una forte tensione ai muscoli estensori del carpo, una riduzione della capacità di estensione della mano, con un danno locale acuto di tipo flogistico. Nella fase di cronicizzazione si potrebbero avere gravi limitazioni funzionali con estensione alle strutture vicine, compromettendo di conseguenza il microcircolo di uno o tutti i compartimenti del segmento interessato.

I sintomi avvertiti sono: dolore crescente, localizzato alla base del polso e del pollice che si acutizza durante i movimenti, difficoltà funzionale nel muovere l’articolazione radio-carpica nel range fisiologico, tumefazioni nella zona di maggior algia. Se questo problema viene trascurato non intervenendo per tempo con un trattamento di tipo conservativo e preventivo/comportamentale, il disturbo può determinare: debolezza in termini di forza, formicolio e una forte limitazione dei movimenti della mano. Da qui potrebbero nascere e svilupparsi nel tempo diverse patologie muscolo scheletriche del distretto mano-polso, tra cui le più frequenti: la sindrome del tunnel carpale, il morbo di De Quervain, l’epicondilite. Soltanto una piena attuazione di un buon percorso di prevenzione può creare le premesse per raggiungere le giuste condizioni di salute e benessere e poter garantire una buona ripresa sia nel lavoro che nel quotidiano. A tal proposito è fondamentale acquisire una corretta postura quando si lavora al computer tenendo conto di alcuni accorgimenti come digitare sulla tastiera con avambracci, polsi e mani correttamente allineati, tenere la tastiera leggermente inclinata e posizionata ad un livello più basso rispetto alla scrivania, proprio per mantenere i polsi in una posizione neutra ed evitate di battere i tasti utilizzano più forza di quanta necessaria, che inoltre potrebbe anche provocare l’insorgenza del dito a scatto. Il mouse andrebbe collocato molto vicino alla tastiera, l’avambraccio dovrebbe essere appoggiato sul piano della scrivania per garantire che il braccio sia completamente in scarico, in questo caso si eviterebbero tensioni e contratture muscolari che possono scatenare problematiche come l’epicondilite, nota anche come gomito del tennista. Il polso dovrebbe stare in una posizione neutra durante l’utilizzo del mouse, evitando di piegarlo e mantenendo la mano distesa il più possibile, cliccando sui tasti con tocco leggero. Sarebbe molto utile imparare ad utilizzare il mouse con entrambe le mani per garantire un recupero della mano abitualmente coinvolta nel lavoro. L’utilizzo di mouse ergonomici, progettati per ridurre i movimenti e quindi evitare stress alle articolazioni, aiutando sicuramente a mantenere una postura più corretta, può diventare un valido strumento utile a prevenire l’insorgere di queste problematiche, ma sicuramente non può essere considerato la soluzione definitiva. Ormai, quindi, è provato che alla base di questi disturbi vi è la postura scorretta e i movimenti sistematici e ripetitivi ed è necessario fare prevenzione per non arrivare all’ intervento chirurgico che da una parte può risolvere il dolore ma dall’ altra non garantisce la ripresa della totale funzionalità se non seguita poi da una corretta riabilitazione. Una posizione rilevante assume quindi l’attività fisica mirata che con esercizi specifici punta a decontrarre la muscolatura ipertonica sull’avambraccio e a decomprimere i tessuti e le strutture coinvolte. Si tratta di protocolli di lavoro con esercizi globali di allungamento muscolare e mobilità articolare della catena trasversa superiore (spalla, gomito, polso, dita) e specifici sui muscoli estensori del carpo e pronatori della mano. Bisogna quindi partire dal concetto che il recupero e la prevenzione di tali problematiche parte dal movimento e quindi “più movimento significa più salute”. Il movimento in questo caso non solo per allenare le capacità migliori, ma soprattutto per recuperare le criticità tramite esercizi fisici, indispensabili per migliorare il limite biologico e ritardare l’insorgere delle condizioni cronico- degenerative. Prima di intraprendere un percorso di esercizi è necessario effettuare un’adeguata valutazione, di competenza medico-specialistica, riguardo la flessibilità del cingolo scapolare, la perdita di funzionalità della spalla e dell’arto superiore in toto, in correlazione di eventuale compresenza di fibrosi muscolari del fascio superiore del muscolo trapezio connesso con tutte le brachialgie e complice dei disturbi di spalla, gomito e mano.

Gli esercizi qui proposti per le problematiche legate al polso possono essere utilizzati sia a scopo preventivo che conservativo e prevedono un approccio che non è localizzato alla sola regione del polso (questo non porterebbe a grandi risultati) ma intervengono su più distretti, come avambraccio, spalle e rachide cervicale e possono essere inseriti all’interno di una lezione di gruppo o ancora meglio nel PT.


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SEQUENZA DI ESERCIZI CON UTILIZZO DI DUE PALLINE PROPRIOCETTIVE

Posizione del bambino (palline da far scorrere sotto la linea del polso)
- Mobilità del tratto cervicale e dorsale con esercizi simmetrici ed asimmetrici

In ginocchio (palline in presa nelle mani)
- Intrarotazione ed extrarotazione dei polsi con circonduzione dei gomiti
- Ventaglio
- Intra/extrarotazione cingolo scapolo-omerale
- Mermaid
- Circonduzione con torsione toracica
- Da eseguire con ogni singolo arto alternando destra e sinistra

In quadrupedia:
- Sternum drop con flessione contro resistenza al suolo del dorso della mano
- Traslazione del rachide in avanti e indietro con estensione ed extrarotazione contro resistenza al suolo del palmo della mano
- Mobilità delle dita.

GUARDA IL VIDEO

 

Pubblicato in Performance n. 2 - 2022
Mercoledì, 25 December 2019 12:00

ORIZZONTI POSTURALI - Postura e emozioni

UN PICCOLO PASSO VERSO LA COMPRENSIONE DELLA NEUROSCIENZA ATTRAVERSO LA TEORIA DELL'EMBODIMENT IN RELAZIONE AL LINGUAGGIO

L’idea che lo studio e l’analisi posturale si possano fermare ad una attenta valutazione biomeccanica potrebbe portare il nostro lavoro verso un limite osservazionale: il corpo vive di continue informazioni (input-output) provenienti dall’ambiente esterno e dirette verso ciò che ci circonda, ma in entrambi i casi ” interlinked” (collegate tra di loro) da un sofisticato “software” di elaborazione dati composto da molti sottosistemi che comunicano tra di loro: memoria, sistema somato-sensitivo, stato d’animo, natura del nostro pensiero, linguaggio.

Oggi il mio interesse è rivolto verso la comprensione della ricerca nelle Neuroscienze e come la lettura della nostra postura possa alimentarsi di nuovi interessanti concetti che coinvolgono il nostro corpo, la nostra mente.


Teoria “dell’Embodiment”

La teoria “dell’Embodiment”(impersonificazione o personificazione) è un approccio teorico e sperimentale in psicologia e nelle scienze cognitive e ha attirato negli ultimi anni parecchia attenzione. Esso presuppone che le principali attività cognitive della mente siano condizionate da certe proprietà del corpo come l’orientamento spaziale o i processi percettivi di base e ha rivelato interessanti applicazioni, ad esempio in ambito clinico e riabilitativo. In parole più semplici: si riferisce al ruolo e alla comprensione che attua il nostro corpo nelle esperienze quotidiane. Per esempio, in che modo il nostro corpo influenza il modo in cui pensiamo o parliamo?

Il pensiero e l’analisi dei processi funzionali nelle scienze cognitive hanno tendenzialmente “disorientato” la ricerca. Le scienze cognitive hanno sostenuto che la nostra “intelligenza”, l’abilità di percepire, pensare ed usare lo stesso linguaggio non sorgono da nessuna forma fisica. La nostra cultura occidentale ha unidirezionalmente dissociato il corpo dagli stati del pensiero; riflettiamo ad esempio in campo filosofico: già nell’antica Grecia con Platone che asseriva che il Corpo era una distrazione per la vita intellettuale e doveva essere sradicato dalla letteratura e dalla filosofia, oppure Sant’Agostino dove il corpo è fonte di peccato e debolezza, fino ad arrivare al dualismo Cartesiano che suddivide la realtà in res extensa (aspetto fisico e tangibile di ciò che ci circonda) e res cogitans (dimensione non materiale, comprende pensiero ed il frutto del pensiero stesso, la mente).

Il corpo è visto come una nave che trasporta il nostro pensiero, la nostra mente, senza influenzarlo. Se analizziamo tale presupposto viviamo nella dualità Corpo-Mente; diversi studiosi nel campo delle Neuroscienze (ramo della biologia o anche definito neurobiologia che rappresenta l'insieme degli studi scientificamente condotti sul sistema nervoso), hanno spostato l’attenzione sull’importanza attiva del corpo su elaborazione pensieri, linguaggio, memoria.

Riflettiamo insieme in relazione all’Embodiment:
1) Il concetto del Sé e chi siamo come persone è relazionato a tutte le attività collegate al Movimento e al Tatto.
2) La percezione non viene mediata solo dai recettori o analizzatori cinestesici (occhio,vista..etc), ma include tutto ciò che coinvolge il Corpo in azione.
3) Molti concetti astratti nascono da una base corporea di personificazione e continuano ad essere radicati su pattern sistemici collegati ad azioni corporee, movimenti.
4) La memoria, la memoria fotografica, il problem solving, non nascono da processi mentali interni, scissi dalla nostra corporeità, ma sono strettamente connessi a simulazioni sensoriali e motorie.
5) Le emozioni, la consapevolezza, il linguaggio si evolvono e continuano ad esistere come movimenti animati.

Il corpo sulla base delle affermazioni or ora enunciate, diventa essenziale se non preesistente alla costruzione del Sé. Interessanti sono i diversi approcci sul tale pensiero, studi empirici e non a dimostrazione di tale pre-ordinata organizzazione.

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Foto 1: Embodiment: Body map of emotions (misurato con em-body)

 

Ricerca scientifica nelle Neuroscienze

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Nuove evidenze scientifiche, in questo campo, suggeriscono che le esperienze di emozioni e le cognizioni ad esse collegate, sono associate a stati muscolari, tra cui espressioni facciali, posture del corpo e movimenti (Winkielman et al., 2015). La ricerca a sostegno di questa teoria ha dimostrato che il corpo è il “manipolatore “della postura ossia può influenzare le risposte psicologiche. Ad esempio una postura eretta, verticalizzata, da seduti è stata collegata a miglioramenti affettivi, stati, sentimenti di potere e sonnolenza rispetto alla postura crollata (Hao, Yuan, Hu e Grabner, 2014; Nair, Sagar, Sollers, Consedine, Broadbent, 2015; Ranehill et al., 2015; Riskind & Gotay, 1982).

Le espressioni facciali e le posture del corpo hanno dimostrato di influenzare risposte fisiologiche e psicologiche conseguenti a fattori di stress acuto. I partecipanti sono stati manipolati sperimentalmente per sorridere durante un fattore di stress e le espressioni facciali hanno riportato una riduzione minore in positivo durante il recupero ed avevano una frequenza cardiaca più lenta rispetto ai partecipanti con espressioni neutre (Kraft & Pressman, 2012). Inoltre, i partecipanti che sono stati manipolati sperimentalmente per avere una postura eretta durante lo stress (ciò ha portato ad avere una pressione del polso più alta), riportavano un umore migliore e maggiore eccitazione e hanno usato meno parole di emozione negativa rispetto a quelle manipolate per avere una postura crollata (Nair et al., 2015). Altre ricerche hanno ha mostrato che i partecipanti in una posizione supina (sdraiati) hanno riportato un calo di ansia anticipatoria prima di un fattore di stress rispetto a quelli in piedi, che possono comportare una differenza nel carico dei barorecettori (Lipnicki & Byrne, 2008). Vi sono altrettante prove dimostranti che modificare la postura del corpo possa influenzare la fisiologia, sebbene gli effetti siano complessi. Una postura più eretta tende ad essere associata a pressione sanguigna più bassa e temperatura del braccio più bassa, sebbene ci siano risultati incoerenti per gli effetti sul GSR (Gellman et al., 1990; Sun et al., 2012; Tikuisis &Ducharme, 1996; Tulen, Boomsma e Man in 't Veld, 1999; Wenger e Irwin, 1936). Altro esempio nella ricerca riguarda il camminare per brevi distanze; questo determina ed aumenta la risposta galvanica della pelle, (Galvanic Skin Reponse :GSR ,conosciuta anche come conduttanza cutanea o risposta dell'attività elettrodermica) è un indicatore affidabile dello stress. Si tratta di una misura del flusso di energia elettrica attraverso la pelle di un individuo. Quando l'individuo è sotto stress, la conduttanza cutanea aumenta a causa dell’aumentata umidità dell’epidermide e ciò determina un aumento del flusso elettrico (Selz et al. 2009). Si ricordano le due componenti coinvolte nella reazione di stress: l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il sistema nervoso simpatico che fa parte del sistema nervoso autonomo insieme al sistema nervoso parasimpatico. Eventi stressanti o situazioni di emergenza causano cambiamenti dinamici del sistema nervoso autonomo, in particolare l’attività del sistema nervoso simpatico (SNS) aumenta e quella del sistema nervoso parasimpatico (PNS) diminuisce. In alternativa, le attività del parasimpatico sono dominanti nelle fasi di riposo. Il sistema nervoso simpatico e parasimpatico regolano la risposta galvanica cutanea, la variabilità della frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e le onde cerebrali che sono i principali indicatori utilizzati per la misura dello stress (Sharma et Gedeon 2012).

Questa ricerca mirava a indagare se una camminata con postura eretta, producesse miglioramenti immediati a breve termine degli stati psicologici (stati affettivi, sentimenti di potere, sonnolenza e dolore percepito) e stati fisiologici (pressione sanguigna, pelle galvanica, risposta e temperatura della pelle) rispetto a una posizione di camminata crollata o depressa durante uno stress psicologico. In altre parole, sia verticale la postura ambulante può agire da cuscinetto contro lo stress rispetto a posizione di camminata crollata. È stato impiegato un esperimento in cui i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale in entrambi i percorsi gruppo di postura eretta o gruppo di postura depressa. Simile al precedente studio (Nair et al., 2015; Wilkes, Kydd, Sagar e Broadbent, 2017), in uno è stato utilizzato il compito di stress (il test di stress sociale di Treviri:SSTT) per ottenere risposte affettive. È stato dimostrato che l'induzione di stress da laboratorio tramite questo test fa aumentare il cortisolo, la risposta galvanica della pelle, la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, l'ansia, nonché peggioramento dell'umore negativo e riduzione della sonnolenza (Allen, Kennedy, Cryan, Dinan e Clarke, 2014).

È stato ipotizzato che i partecipanti alla posizione eretta camminando segnalerebbero stati affettivi meno negativi, maggiori sentimenti di potere, e meno sonnolenza dopo lo stress psicologico rispetto ai partecipanti alla postura di camminata crollata. È stato anche ipotizzato che i partecipanti alla postura eretta avrebbero una pressione del sangue in diminuzione, una bassa risposta galvanica della pelle e temperatura della pelle inferiore rispetto ai partecipanti alla postura di camminata crollata, suggestiva una risposta allo stress inferiore camminando sulle risposte psicologiche, mostrando effetti sull'affettivo parzialità e vigilanza della memoria. Persone indotte nel camminare con un "felice" stile ha richiamato più parole positive che parole negative, rispetto alle persone con camminata “infelice”.

La ricerca ha poi iniziato a esaminare gli effetti della postura durante il cammino con uno stile "depresso" (Michalak, Rohde e Troje,2015). Inoltre, dopo essersi impegnate in una postura crollata durante la camminata, le persone sane hanno sperimentato una riduzione della vigilanza rispetto a persone che adottano un modello di andatura saltante (Peper & Lin, 2012). Tuttavia ci sono state poche ricerche che studiano gli effetti della postura mentre camminiamo e sugli stati affettivi soprattutto durante lo stress. Se diversi stili del camminare alterano quindi le risposte fisiologiche e psicologiche allo stress questo potrebbe sia supportare la teoria dell'Embodiment che avere implicazioni per interventi di gestione sullo stress stesso.

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Foto 2 tipologie di analisi della Camminata “depressa” ed” eretta”

 

L'Embodiment ”personificazione” e il Linguaggio

La teoria dell’Embodiment suggerisce che la partecipazione di determinate parti del corpo durante l’elaborazione dei concetti riferiti a un’azione o a un oggetto può attivare le aree senso-motorie corrispondenti, non solo quando produciamo azioni con quelle parti del corpo ma anche quando l’azione è eseguita da qualcun altro e osservata dal partecipante o quando è solo immaginata (Arévalo et al., 2007).

Esperimenti condotti in questi ultimi anni hanno portato alla scoperta di un tipo di neuroni che può fare da tramite tra il sé e gli altri: i neuroni specchio ("mirror neurons"). Questi neuroni, inizialmente scoperti nell’area F5 della corteccia premotoria frontale della scimmia (l’area originariamente descritta da Rizzolatti e Arbib), omologa dell’area di Broca nell’uomo (specificatamente dell’area 44), hanno una doppia funzione: da una parte si attivano quando la scimmia compie un’azione manuale, ad esempio afferrare un oggetto, dall'altra si attivano in modo simile quando la scimmia vede o sente un'altra scimmia o un uomo compiere la stessa azione (Koheler et al., 2002). Vedere o ascoltare un’azione finalizzata eseguita da un altro soggetto, attiva nell’osservatore gli stessi neuroni che si attiverebbero se fosse lui stesso a compiere quell'azione, rendendo in parte simili, da un punto di vista neurale, percezione e produzione. Questi neuroni specchio, quindi, suggeriscono una base neurale in parte comune per percezione e produzione dei movimenti (gestures), linguistici e manuali.

Nell'uomo il sistema "mirror" è stato dimostrato in maniera indiretta, mediante varie tecniche. Ad esempio, studi attraverso la PET (Tomografia a Emissione di Positrone) hanno mostrato che le due zone che compongono l’area di Broca contengono anche la rappresentazione di movimenti manuali; risultano, infatti, attivarsi quando si eseguono movimenti autoindotti, quando si immagina di ruotare le mani e quando si immagina di afferrare qualcosa con la mano. Dunque, l’area di Broca è coinvolta nelle rappresentazioni motorie della bocca e delle mani (Nicolai, 2006).

Studi realizzati attraverso MRI (Risonanza Magnetica funzionale) hanno mostrato come i neuroni specchio si attivino negli esseri umani sia durante l’osservazione di azioni eseguite con le mani sia durante l’osservazione di azioni eseguite con altre parti del corpo (ad esempio, la bocca, il viso o i piedi). Tornando all’articolo già citato di Arévalo et al. (2007), osservando un gruppo di 21 pazienti afasici (10 anomici, 6 Broca e 5 Wernicke), hanno notato che durante compiti di ripetizione, lettura e denominazione di immagini relative a oggetti (nomi) e azioni (verbi) selezionate in base ai parametri “manipolabile” vs “non manipolabile”, i pazienti denominano meglio i nomi rispetto ai verbi. In generale, sia nel gruppo di controllo che nel gruppo dei pazienti (indipendentemente dal tipo di afasia) la denominazione dei verbi è sempre meno accurata. Inoltre, il compito di denominazione, rispetto a quello di lettura e ripetizione, risulta più complesso per tutti.

 

Considerazioni finali

Il Quanto sia importante portare lo sguardo al di là delle nostre consolidate convinzioni e comprendere che l’atteggiamento posturale, manifestazione dinamica del nostro Essere, può determinare risposte e nuove strategie a problematiche muscolo scheletriche che tradizionalmente affrontavamo con schemi biomeccanici, assolutamente utili, ma in alcuni casi non risolutivi.. come sempre leggere per riflettere, non per asserire nuove verità, la conoscenza passa dalla continua (a volte massacrante) messa in discussione dei nostri ragionamenti posturali.

Ognuno di noi sente una connessione intima tra quello che siamo ed il nostro Corpo, la sopravvalutazione degli eventi cognitivi, pensieri che si concretizzano nella nostra mente, non esula dalla interpretazione che il nostro personale e unico vissuto corporeo fa di tali processi, potremo considerare tale aspetto come la massima espressione del Linguaggio del corpo che vive e governa la Mente, e non il contrario…..a voi le vostre considerazioni.

“Non c’è perché senza percome”
William Shakespeare (La commedia degli errori)

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Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport

 


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Pubblicato in Fitness news

LA PRIMA PARTE DI UN VIAGGIO VERSO UNA CONSAPEVOLE CONOSCENZA DELLE BASI PER LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE POSTURALI

Queste immagini o meglio tavole anatomiche riportano considerazioni ed osservazioni di Leonardo da Vinci; la sua incredibile capacità di porre relazioni e rapporti attinenti alla colonna vertebrale e al suo sviluppo attraverso la sua costante attività nella progettazione e costruzione. Tutto nasce e si organizza sulla equilibrata gestione dei carichi in entrambi i campi, ma tale comparazione non esaurisce il tutto, l’Essere umano ha un’organizzazione che si compie nel movimento che diviene e modifica le sue forme nella primaria esigenza del principio di autoconservazione ed evolutivo.

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La sua analisi sull’apparato scheletrico, porta con particolareggiata saggezza osservativa, i principi di forma e funzione delle componenti vertebrali a livello cervicale, dorsale e lombare, intravedendo letture anatomo- funzionali decisamente eccezionali per quel tempo.

Il mio intento oggi, è riportare i vari cambiamenti sui contenuti che hanno riguardato la colonna vertebrale negli ultimi anni, condensando, principi e tematiche che ci aiuteranno, spero, a comprendere meglio le nuove direzioni di ricerca sulla biomeccanica.

Partiamo, inizialmente, da una visione generale: un refresh anatomico funzionale del rachide. Una breve descrizione relativa alla biomeccanica e all'anatomia del rachide, dei corpi vertebrali e dei dischi intervertebrali; verrà inoltre sottolineata l’importanza degli studi dei problemi associati ad essi. Verrà poi trattato lo stato d’arte riguardante gli studi relativi alla caratterizzazione meccanica dei segmenti di rachide presi in esame e verranno fatte alcune considerazioni riguardanti l’approccio e la strumentazione principale utilizzati durante il mio studio.

Il rachide, in anatomia conosciuto con il nome di colonna vertebrale, è una struttura meccanica del corpo umano, che occupa una posizione dorso-mediale nel torso, di elevata complessità. Le sue funzioni principali sono:

A) Funzione di sostegno della testa e del tronco;
B) Trasferire le forze in gioco fra la testa, il tronco e le pelvi;
C) Consentire la flessibilità del tronco;
D) Consentire la flessione, estensione e la torsione del tronco;
E) Accogliere e proteggere il midollo spinale.

Il rachide è un complesso formato da uno scheletro (la colonna vertebrale), unito da varie articolazioni e rivestito da numerosi muscoli, intrinseci ed estrinseci, che gli conferiscono una certa stabilità e mobilità . Si articola con il cranio, le costole e la cintura dell’anca, e fornisce un punto di inserzione ai muscoli del dorso.


ANATOMIA E BIOMECCANICA DEL RACHIDE

Il rachide è costituito da 33 o 34 vertebre e può essere suddiviso in cinque segmenti che formano lo scheletro delle varie parti del corpo.

A- Segmento cervicale: è la parte più mobile e delicata della struttura vertebrale, composto da 7 vertebre (chiamate C1-C7) che permettono ampi movimenti del collo e della testa. La prima si articola con i condili occipitali del cranio, l’ultima si unisce alla prima vertebra toracica.

B- Segmento toracico: è costituito da 12 vertebre toraciche (chiamate T1-T12) situate all’altezza del torace, e si differenziano dalle altre per la presenza di faccette articolari per le coste. Sono quindi più numerose delle cervicali e mano a mano che si scende verso il basso aumentano di dimensione. La prima è unita alla settima vertebra cervicale, l’ultima si articola con la prima vertebra lombare.

C- Segmento lombare: è formato da 5 vertebre lombari (chiamate L1-L5) che, essendo soggette ai carichi maggiori, sono le più grandi e hanno la caratteristica forma a cuneo. La prima è articolata con la dodicesima vertebra toracica, l’ultima con l’osso sacro.

D- Segmento sacrale: consta di 5 vertebre (chiamate S1-S5), che a differenza delle altre sono fuse tra loro e insieme formano un osso di forma triangolare, l’osso sacro. Questo funge da base della colonna vertebrale e si articola in alto con la quinta vertebra lombare, lateralmente con le ossa dell’anca e in basso con il coccige.

E- Segmento coccigeo: è formato da quattro o cinque vertebre coccigee unite a formare il coccige, un tratto funzionale e bilanciere per il pavimento pelvico che si articola in alto con l’osso sacro e che, insieme a quest’ultimo e le ossa dell’anca, costituisce lo scheletro della pelvi.

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Fig. 1 Prospettive della colonna vertebrale e distinzione nei 4 segmenti

Come si può osservare dalla figura sopra (fig.1), la colonna vertebrale non è rettilinea ma presenta delle curvature sia sul piano sagittale che su quello frontale. Questa caratteristica fa sì che la colonna vertebrale abbia una maggiore flessibilità e una maggiore capacità nell’assorbire gli impatti. Allo stesso tempo permette di mantenere un’adeguata rigidezza e stabilità a livello delle articolazioni intervertebrali.

In proiezione laterale, infatti, presenta: una convessità anteriore a livello del suo segmento cervicale, lordosi cervicale, una convessità posteriore nel segmento toracico, cifosi dorsale, una nuova convessità anteriore nel segmento lombare, lordosi lombare, un’ultima convessità posteriore nel segmento sacrococcigeo, cifosi sacro coccigea.

Nella proiezione anteriore della colonna, invece, è visibile una leggera curva concava a sinistra nel tratto toracico e due curve minori di compenso, concave a destra, nei segmenti cervicale e lombare. Queste curvature vengono definite scoliosi fisiologica.

Ogni vertebra presenta due parti principali: un segmento posteriore, l’arco e un segmento solido anteriore, il corpo.

I corpi sono sovrapposti l’uno con l’altro, al fine di formare un pilastro solido in grado di supportare il cranio e il tronco. Gli archi, invece, creano uno spazio di forma cilindrica dietro i corpi, che serve a proteggere il midollo spinale, e sono costituiti da:

- 2 peduncoli: attraverso i quali l’arco si mette in giunzione con il corpo
- 2 lamine
- 7 processi: quattro articolari, due trasversi e uno spinoso

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Fig. 2

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Fig. 3: prospettiva mediale di una vertebra

Le vertebre, disposte le une sulle altre, sono articolate fra loro grazie ai dischi intervertebrali, i processi articolari e i legamenti.

La presenza dei dischi permette alla colonna movimenti di torsione e di inclinazione nei vari piani. Anatomicamente, ogni disco consta di tre parti.

Nucleo polposo: è la parte centrale del disco, costituito principalmente da mucopolisaccaridi fortemente igroscopici (trattengono l’acqua). Il contenuto dell’acqua varia tra il 70% e il 90%. Il suo scopo è quello di rispondere alle sollecitazioni delle forze agenti sulla colonna e distribuirle in modo uniforme all'anello fibroso.

Anello fibroso: è la struttura che circonda il nucleo, ed è formato da una fibrocartilagine più abbondante di fibre rispetto al nucleo polposo, più ricco di matrice extracellulare, condrociti e acqua. Le fibre sono disposte in strati concentrici che si intrecciano tra di loro. Il suo scopo è quello di contenere e proteggere il nucleo polposo e conferire al disco una grande resistenza alla compressione. In caso di rottura, il nucleo polposo può fuoriuscire dalla propria sede ed erniare all’esterno comprimendo le formazioni contigue (ernia del disco).

End-plate cartilagineo: rappresenta il limite superiore e inferiore del disco ed è composto da cartilagine ialina e separa il nucleo polposo e l’anello fibroso dal corpo vertebrale.

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Fig. 4: Disco intervertebrale e corpo vertebrale

1) Il legamento longitudinale anteriore: è un lungo nastro che aderisce alla faccia anteriore dei corpi vertebrali e in parte ai dischi intervertebrali, dall’osso occipitale fino alla faccia pelvica del sacro.

2) Il legamento longitudinale posteriore: è posto sulla faccia posteriore dei corpi vertebrali, all’interno del canale vertebrale. Si estende dall’osso occipitale fino al canale sacrale.

3) Le diverse parti delle vertebre sono unite dai legamenti a distanza, rappresentati dai legamenti gialli, dai legamenti interspinosi, dal legamento sopraspinoso e dai legamenti intertrasversari.
a) I legamenti gialli: sono legamenti rettangolari tesi tra il margine inferiore di una lamina vertebrale e il margine superiore della lamina sottostante. Il loro nome è dovuto al colore che dipende dalla loro ricchezza in fibre elastiche.
b) I legamenti interspinosi: uniscono il margine inferiore di un processo spinoso al margine superiore del processo spinoso sottostante.
c) Il legamento sopraspinoso: è un cordone fibroso, teso dall’osso occipitale fino alla faccia dorsale del sacro. Unisce gli apici dei processi spinosi e, in avanti, si fonde con il margine posteriore dei legamenti interspinosi.
d) I legamenti intertrasversari: sono fasci fibrosi che uniscono gli apici dei processi trasversi.

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Fig. 5

Un aspetto di rilevante importanza quando si parla di rachide è la sua biomeccanica, in quanto ogni singolo tratto lavora diversamente dagli altri: ognuno di essi sarà soggetto a carichi di intensità e direzione specifiche oltre che a ROM (Range of Motion) differenti. In particolare i movimenti fisiologici della colonna vertebrale sono i seguenti:

Rotazionali: comprende tutti quei movimenti che la vertebra compie attorno al proprio asse. Tutte le rotazioni producono un cambiamento nell’orientamento della vertebra.

Traslazionali: sono movimenti di piccola entità dell’intera vertebra in una certa direzione.

Complessivamente, la colonna vertebrale risulta più rigida in estensione rispetto alla flessione, vediamo quindi come si comporta ogni singolo tratto.

Il tratto toracico risulta essere meno mobile rispetto a quello cervicale e lombare, questo è ottimizzato per essere rigido, per proteggere gli organi all’interno della cavità toracica e il midollo spinale, e permette inoltre una posizione eretta oltre a facilitare le attività meccaniche della cassa toracica e dei polmoni. Inoltre confrontando il suo tratto superiore con quello inferiore possiamo notare caratteristiche differenti: il primo risulta essere costituito da vertebre simili a quelle cervicali e, rispetto al tratto inferiore, presenta una maggiore rotazione. Ricordiamo che la rotazione assiale è un movimento ampio nel tratto cervicale, ma ridotto in quello lombare. Al contrario il tratto toracico inferiore permette un’ampia flesso-estensione, che aumenta gradualmente nel tratto lombare, il quale supporta i carichi maggiori e permette anche il movimento del tronco.


STATO DELL’ARTE SULLA SPECIFICA MECCANICA DEL RACHIDE

La colonna vertebrale, da un punto di vista biomeccanico, è probabilmente la struttura più complessa del sistema muscolo-scheletrico umano e il suo studio è una sfida ancora in corso Di seguito verrà esposto lo stato dell’arte sulla caratterizzazione meccanica del rachide, tralasciando tutti gli studi fatti su impianti e possibili soluzioni chirurgiche di compensazione o sostegno della colonna vertebrale.

Negli ultimi decenni, sono stati effettuati molti test sulla colonna vertebrale, utilizzando diversi metodi sperimentali, i quali però non sono applicabili per effettuare misure sugli esseri viventi. Per ovviare a questo problema si procede ad un’analisi biomeccanica in vitro su segmenti di cadavere.

Dalla pubblicazione della seconda edizione del libro di testo di White e Panjabi, Clinical Biomechanics of the Spine nel 1990, ci sono state ricerche considerevoli sulla biomeccanica della colonna vertebrale. Al centro di questo tentativo di raccolta sarà quello di rivedere ciò che abbiamo imparato riguardo ai fondamenti della biomeccanica della colonna vertebrale. Gli argomenti trattati comprendono l'intera colonna vertebrale, l'unità spinale funzionale e l'individuo e tutte le componenti della colonna vertebrale (ad es. vertebra, disco intervertebrale, legamenti spinali). In queste grandi categorie, la nostra comprensione nel 1990 viene rivista e l'importante conoscenza o comprensione acquisita vengono evidenziati i successivi 25 anni di ricerca. Le aree in cui manca la nostra conoscenza aiutano ad identificare argomenti promettenti per la ricerca futura. In questo manoscritto, come nel libro di testo di White (White, A.A., Hirsch, C., 1971.

Gli obiettivi biomeccanici dell'intero sistema della colonna vertebrale: fornire supporto strutturale, per consentire il movimento del tronco e per proteggere il elementi neurali: erano ben noti nel 1990. Inoltre, i principi fondamentali meccanismi mediante i quali la colonna vertebrale supporta il carico e consente movimento (es. per i muscoli di bilanciare tutti i carichi esterni sul colonna vertebrale) sono stati descritti in quel momento (Chaffin, 1969; Schultz e Andersson, 1981 ). I 25 anni successivi non hanno prodotto a unico principio unificante su cui è stato mostrato alla colonna vertebrale funzione. Tuttavia, è diventato chiaro che il corpo tenta stabilizzare la colonna vertebrale oltre a soddisfare un equilibrio soddisfacente ( Crisco e Panjabi, 1992a; Cholewicki e McGill, 1996; Hodges eRichardson 1996; Radebold et al., 2001; van Dieën et al., 2003 ).

L'ipotesi del sistema di stabilizzazione della colonna vertebrale (Panjabi 1992a, 1992b) è stato un tentativo di connettere le caratteristiche passive di colonna vertebrale osteo-legamentosa con il sistema neuromuscolare attivo. La premessa di base dell'ipotesi è che la colonna vertebrale umana ha il bisogno di essere mantenuta meccanicamente stabile in ogni momento per evitare lesioni alla fine porta al dolore e al mantenimento di questo la stabilità meccanica è il ruolo del complesso neuromuscolare sistema. Mentre questo concetto rimane ipotetico, è chiaramente un area fruttuosa per ulteriori ricerche (Tabella 1).

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Immagini dall'articolo di Lafage et al. (2009) che mostra i parametri utilizzati per descrivere la geometria della colonna vertebrale (prime tre immagini) e del bacino (tre immagini inferiori). L'asse verticale sagittale (SVA) è ciò che viene comunemente chiamato "equilibrio sagittale". (Ristampato da Lafage et al., 2009, con il permesso di Wolters Kleuver.)


STUDIO SUI CARICHI NELLA COLONNA VERTEBRALE

I carichi di compressione nella colonna lombare erano generalmente noti nel 1990, basato sulla classica pressione intra-discale accertamenti di Nachemson, Andersson e colleghi ( Nachemson,1960 , 1966; Andersson e Örtengren, 1974; Andersson et al.,1977). Da allora, le pressioni intradiscali lombari sono state replicato in modo indipendente da Wilke et al. (1999, 2001) e Sato et al. (1999). Nel complesso, questi dati generalmente supportano il caricamento schemi descritti da Nachemson e Andersson. Un gruppo ha misurato la pressione intra-discale nella colonna vertebrale toracica in un intervallo di posture, osservando schemi simili a quelli di Nachemson (Polga et al., 2004). Da notare che rimane solo uno studio per pressione intra-discale della colonna cervicale (Hattori et al., 1981). Perciò, ulteriori ricerche sul carico cervicale e toracico della colonna vertebrale sarebbero essere eccellenti aggiunte alla letteratura attuale (Tabella 1). La nostra conoscenza del carico della colonna vertebrale in vivo è principalmente per forze assiali e di compressione, per quanto concerne forze di taglio(traslazionali) attraverso un disco intervertebrale non può essere stimato da una pressione intra-discale, causa pochissime variazioni di pressione all'interno del disco (Frei et al., 2002).


COMPONENTI DI ANALISI DELL' UNITÀ FUNZIONALE VERTEBRALE (FSU “FUNCTIONAL SPINAL UNIT)

Le modifiche al disco con l'età sono state documentate per includere ad ampia gamma i cambiamenti anatomici nella struttura del disco, mostrata a iniziare nella seconda decade di vita (Boos et al., 2002; Roberts et al.,2006). Uno schema di classificazione per degenerazione del disco da scansioni MRI è stato descritto da Pfirrmann et al. (2001, 2006). Un importante sviluppo negli ultimi 25 anni riguarda la descrizione del disco intervertebrale cervicale, in cui gli autori hanno notato che la struttura dell'anulus fibrosus era più a mezzaluna con modellato assottigliamento posteriore, che è notevolmente diverso da quello dei dischi toraco-lombari (Mercer e Bogduk, 1999).

Proprietà fisiche

Le principali proprietà biomeccaniche del disco intervertebrale erano ben consolidate nel 1990, inclusa la rigidità del lombare disco intervertebrale in compressione assiale, taglio, flessione e torsione. Le differenze in queste rigidità suggeriscono quelle dell'FSU e il ruolo di carico della faccetta articolare in determinate direzioni di carico (ad es taglio anteriore / posteriore). Molti studi aggiuntivi su queste proprietà sono stati condotti nei successivi 25 anni; si osserva che esistono pochi studi che hanno misurato la rigidità alla trazione di un disco intervertebrale, il che è sorprendente dato che è distrattivo si verificano lesioni alla colonna vertebrale, anche se meno frequentemente che in compressione. Inoltre, pochi studi hanno valutato le proprietà fisiche dei dischi cervicali o toracici. Alcune proprietà viscoelastiche di base del disco intervertebrale erano già conosciute prima del 1990. Kazarian ha documentato il carattere base di creep acteristica dei dischi intervertebrali lombari e ha mostrato che i dischi privati di alcune fibre si sono deformati più rapidamente dei dischi normali (Kazarian,1975). Un modello Kelvin solido a tre elementi (ovvero molla in serie con un trattino a molla) si è dimostrato efficace per modellare la visco-comportamento co-elastico del disco (Burns and Kaleps, 1980; Keller et al.,1987). Dal 1990, una serie di esperimenti aggiuntivi hanno fornito dati di supporto sulle caratteristiche viscoelastiche del lombare e disco intervertebrale. Ad esempio, la rigidità in tutti e sei i gradi di libertà ha dimostrato di essere sensibile alla frequenza di caricamento, fino ad aumento della rigidità dell'83% tra le frequenze da 0,001 a 1,0 Hz (Costiet al., 2008). Gli studi sulla velocità di caricamento mostrano grandi aumenti della rigidità del disco attraverso diversi ordini di grandezza di carico crescente tariffe (Race et al., 2000; Kemper et al., 2007). Dettagli recenti riguardanti l'indagine sulla risposta del creep ha descritto lo spostamento iniziale del disco al momento del caricamento a causa di difetti meccanici dell'osso anulare, nucleare, terminale e vertebrale, mentre spostamenti a lungo termine erano dovuti al flusso di fluido attraverso le placche terminali vertebrali e l'anello (MacLean et al., 2007; van der Veen et al., 2008; O'Connell et al., 2011b).

Proprietà Meccaniche

Le proprietà meccaniche di base dell'anulus fibrosus furono mostrate da Brown, secondo il quale esse dipendevano fortemente dalla posizione all'interno del disco con gli strati più esterni più rigidi e più forti (Brown et al.,1957). In un altro studio iniziale, Galante e colleghi hanno scoperto che le proprietà meccaniche anulari dipendono fortemente dalla direzione di carico e azione (Galante, 1967). Dal 1990, ulteriori studi sull'anulus fibrosus hanno confermato che le loro proprietà meccaniche dipendono dalla posizione all'interno del disco (Acaroglu et al., 1995; Ebara et al., 1996; Elliott e Setton, 2001), dalla direzione di caricamento (Fujita et al.,1997) e dal livello di degenerazione del disco (Acaroglu et al., 1995; Iatridis et al., 1998).

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Le proprietà di un singolo determinano le lamelle dell'anulus fibrosus: specificatamente le lamelle delle regioni esterne del disco sono 2-3 volte più rigide di quelle dalle regioni interne (Skaggs et al., 1994; Holzapfel et al., 2005). Il nucleo polposo presenta proprietà meccaniche simili ai fluidi, come descritto per la prima volta da Keyes e Compere (1932). Alcuni studi riguardanti la ricerca a partire dal 1990, hanno dimostrato che questa caratterizzazione fluida del nucleo è valida a basse velocità di carico, ma si comporta di più come solido ad alte velocità di carico (Iatridis et al., 1996). Inoltre, con l’invecchiamento e la degenerazione, questo gruppo ha mostrato come il nucleo polposo si comporta meccanicamente più come un solido, anche a un livello basso di percentuali di caricamento (Iatridis et al., 1997).


BIOMECCANICA FUNZIONALE

Il classico lavoro di Hirsch e Nachemson ci ha mostrato che sotto un carico di compressione assiale il nucleo sviluppa una pressione interna idrostatica contenuta nelle piastre vertebrali e la tensione di un rigonfiamento anulus fibrosus. Con l'invecchiamento e degenerazione, la pressione intradiscale diminuisce e l'aumento del carico di compressione viene trasmesso attraverso l'anello fibrosus. I classici modelli ad elementi finiti di Shirazi-Adl hanno contribuito a questa prima conoscenza (Shirazi-Adl et al., 1984). Dal 1990, la nostra comprensione del caricamento del disco è stata perfezionata dalle misure di profilometria dello stress di Adams e colleghi per dischi sia normali che degenerati (McNally e Adams, 1992) come delineato nella sezione FSU. Un importante studio di Krismer e colleghi ha dimostrato l'importanza dell'anulus fibrosus nella rigidità torsionale, oltre alle sfaccettature articolari (Krismer et al., 1996). L'apporto nutrizionale al disco intervertebrale attraverso la fusione tra le placche terminali vertebrali è stata descritta da Urban e colleghi tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 (Urban et al.,1977, 1982 ; Holm et al., 1981). Tuttavia, dopo il 2000 alcuni importanti studi clinici su animali ( Rajasekaran et al., 2004; Lotz and Chin, 2000) e alcuni studi biomeccanici hanno aiutato a spiegare i meccanismi per tale diffusione, principalmente attraverso modelli matematici (Sélard et al.,2003; Ferguson et al., 2004 ; Shirazi-Adl et al., 2010; Malandrino et al., 2011). Un aspetto interessante di questa ricerca è la riproduzione delle normali variazioni della pressione intradiscale (Wilke et al., 1999) usando modelli computazionali e di cultura d'organo (Gantenbein et al., 2006; Chan et al., 2011). Il danno al disco intervertebrale è un segno distintivo dell'invecchiamento e della degenerazione.

A parte l'ernia del disco e la frattura della placca terminale, altri danni sono da delaminazione anulare e lacrime anulari. Vari modelli di anulari le lacrime sono state documentate in campioni istopatologici umani(Vernon-Roberts et al., 2007,2008), ma questi rimangono impegnativi da riprodurre in un ambiente di laboratorio. Uno studio su specifiche umane hanno notato che la presenza di lacrime anulari ha diminuito la rigidità in torsione significativamente (Thompson et al., 2000). La delaminazione anulare si presume sia causata da elevate sollecitazioni di taglio anulari dovute a aumento del carico anulare come parte della cascata degenerativa (Goel et al., 1995; Meakin et al., 2001; Qasim et al., 2014). Ulteriore ricerca su questi aspetti del danno al disco è probabilmente importante e siamo in attesa di nuovi riscontri.

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Fig. 6. Tipologie di lacerazioni discogeniche


DISCO INTERVERTEBRALE: PASSI FUTURI

La ricerca sul disco intervertebrale sta procedendo rapidamente mentre noi continuiamo a saperne di più sulla sua dettagliata anatomia micro-strutturale e la sua fisiologia. Queste intuizioni sicuramente informeranno la nostra attuale comprensione della normale funzione del disco e può far luce sui reali meccanismi di lesioni e danni. Ricerche future sulla nutrizione del disco sono chiaramente importanti, in particolare nel differenziare la normale degenerazione potenzialmente dolorosa. In definitiva, il collegamento tra cambiamenti biomeccanici nel disco e i cambiamenti clinicamente rilevanti sono importanti e attualmente scarsamente compresi.


CONSIDERAZIONI FINALI

Ad oggi tutte le Review sull’argomento portano un insieme di dati che ci fanno capire, al di là della specificità applicativa che dobbiamo conoscere le basi, che la migliore comprensione della nostra colonna passa, e forse mi posso sbagliare, da un'osservazione attenta sui macro movimenti, avendo chiare le dinamiche strutturali comuni al suo movimento fisiologico in ogni dipartimento, contestualizzando maggiormente le interconnessioni fasciali e legamentose che vivono, che si alimentano e a volte si spengono tra la colonna e la componente viscerale intrinseca ed estrinseca alla stessa, in un continuum di collegamenti che solo l’anatomia ed il suo costante studio aggiornato ci possono portare ad approfondire. Il mio intento è di conoscere meglio le basi di funzionamento, per agire sulle problematiche posturali che affronterò meglio nel prossimo articolo…quindi vi aspetto per la seconda parte dell’articolo, stimolante lettura per addetti al settore e non… ma prima di costruire grattacieli dobbiamo sapere e conoscere, il terreno dove si costruisce…!

Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport

 


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PANORAMI DI APPROFONDIMENTO SU UN TEMA RICORRENTE NEL CAMPO POSTURALE E DEL MOVIMENTO

L’apertura alla correlazione Movimento & Fascia porta a renderci consapevoli dell’importanza che la conoscenza anatomo-funzionale più approfondita è necessaria e fondamentale per tutti coloro che vivono più o meno direttamente nella comprensione della Postura e che vogliono migliorare la chiave di lettura degli stati disfunzionali nel Movimento. In questo spazio non voglio addentrarmi nella complessità descrittiva della fascia, ma trovare suggerimenti ed utili collegamenti tra ciò che viviamo quotidianamente come Operatori e la miglior comprensione di aspetti anatomici specifici. Partiamo dal presupposto che vi è un complesso sistema che vive nel nostro corpo, che noi chiameremo network fasciale tensegrile che si presta ad innumerevoli definizioni e che le nuove proposte di definirlo partono dalla attuale riconosciuta presenza già nel derma (pelle) di strutture che, se sollecitate con stimoli meccanici, innescano un coinvolgimento “tensionale” verso le strutture soggiacenti ricche in propriocezione e nocicezione ad alta densità di terminazioni nervose nei tessuti ipodermici connettivi sciolti (Willard et al., 2012).

unita anatomica

Figura 1:
esempio unità anatomica fasciale connettivo

figura2

Figura 2:
esempi di unità che variano di dimensioni nel nostro corpo tensegrile, essendo sempre caratterizzato da elementi comprensivi e tensionali

figura3

Figura 3:
Modello globale Corpo Tensegrile

Tale modello ci ricorda la sua caratteristica principale la meccanotrasduzione, la capacità sensibile delle cellule di convertire stimoli meccanici in chimici.
Le cellule rispondono a differenti forze meccaniche, torsione, tensione-lunghezze, taglio, rilascio, compressione, frizione: questa comunicazione inter ed intra tissutale avviene tra cellule specializzate, i miofibroblasti, ed il loro ambiente extracellulare (ECM), dove svolgono la loro funzione, e facilmente in turn-over ogni 24 ore, fino al 50%, manifestando la peculiare caratteristica di una natura estremamente attiva (Hocking et al.2009); sull’altro versante il processo di invecchiamento porta alla riduzione delle fibre collageniche, fibre elastiche gradualmente si disorganizzano in forma e funzione e contribuiscono al cedimento ptosico (cambiamento estetico e funzionale), atrofizzazione delle cellule adipose porta secchezza della pelle e cellulite, ben evidenti già dalla terza decade di vita (Macchi et al 2010) e possono essere accelerati dalla compresenza di malattie quali ad esempio il diabete. L’invecchiamento porta alla diminuzione della trasmissione fasciale intra muscolare (cross links), con riduzione della mobilità dei tessuti, ed inevitabile perdita sensoriale propriocettiva sull’ equilibrio tra il controllo posturale e motorio. Primo collegamento a tali sopraddette considerazioni, sul quale bisogna riflettere insieme, che si interfaccia con le molteplici modalità operative, tra le quali la più attuale è il self myofascial release in ambito sportivo e fitness.
Tale trattamento ha dimostrato di aumentare in ROM, range di movimento (MacDonald et al, 2013), ma domandiamoci se la sensibilità meccanica è uguale per ogni tessuto che trattiamo, o auto trattiamo?
Il Training “fasciale” ha tempi paragonabili al Training su fibre muscolari, dopo quanto vediamo un miglioramento tissutale?
● Per i tessuti fasciali flaccidi si può sperimentare una applicazione più vigorosa, movimenti rapidi e ripetuti per il fine di aumentare produzione locale di collagene (Pohl 2010).
● Per i tessuti ipertonici, cicatrici croniche, aderenze miofasciali si consigliano movimenti lenti, applicando forza di taglio (rispetto alla direzione orientamento di tensione-dolore) per stimolare la MMP -1, un enzima che degrada le fibre collageniche ipertese (Zheng et al 2012).
● Tendenzialmente la stimolazione meccanica può sensibilizzare positivamente i recettori che appartengono ai neuroni ad ampio raggio (Wide Dynamic Range Neurons), i quali tendono a produrre effetto analgesico a livello midollare (Wang et al 2012)
● Il rinnovamento dei tessuti collagenici in toto, avviene in tempi decisamente più lenti rispetto ai tessuti muscolari, necessari circa dai 3 ai 9 mesi (per nuova matrice collagenica da 6 mesi a 2 anni) per percepire un rimodellamento esterno e palpatorio, ma nonostante il lungo tempo di attesa, il training fasciale, anche se interrotto, non perderà i suoi effetti cosi velocemente, perché qualitativamente più duraturo (Babraj et al 2005).
● La combinazione del Training muscolare e il Training fasciale” (Fascial fitness) non ha implicazioni interferenziali con il training neuromuscolare e cardiovascolare, ma si raccomanda non più di una max due sedute la settimana (Magnusson et al 2010) per il concetto di rimodellamento collagenico. Queste sono solo alcune delle considerazioni in materia di Movimento fascia-orientato,che possono aiutarci nella coerente somministrazione e integrazione all’intero ad un piano di allenamento.

Tengo molto nel chiarire che l’approccio alla Fascia, quale sia il metodo utilizzato, si rivolge alle strutture centrali dell’intero organismo, essenzialmente:
● il sistema nervoso che si articola spazialmente in modo da creare una simulazione sensoriale del nostro interno verso il mondo esterno, attraverso reazioni comportamentali coordinate, produzione di sostanze messaggere che incrementano o diminuiscono il tono neurale dell’intero sistema (neurotrasmettitori, neuropeptidi rilasciati da attività sinaptica).
● Il sistema circolatorio, dall’asse aortico al muscolo cardiaco, con interazioni linfatiche-capillari al servizio dei bisogni metabolico-chimici di tutta l’eterogeneità cellulare che vive e si sviluppa nel nostro Essere.
● Il tessuto connettivo, si diffonde organizzando e gestendo spazi protettivi intorno alle cellule, permettendo e alimentando attività autonomiche, fisiologiche, e volontarie.

La comunicazione di tutti e tre i sub-sistemi, avviene attraverso i dati sensoriali che viaggiano molto velocemente da i 10-250 km/h (Williams 1995) nella rete neuronale. Contemporaneamente il sistema fibroso- fasciale trasmette informazioni meccaniche alla velocità del suono 700mph, più lenta della velocità della luce, senza dubbio, ma più rapida ed efficace delle afferenze-efferenze del sistema nervoso. La tendenza della matrice extracellulare connettiva a immagazzinare e a cedere energia ristabilendosi in maniera elastica, caratterizza i Pattern fasciali del movimento che si instaurano a livello posturale, ma dobbiamo riflettere e considerare che tali schemi di movimento possono avere anche una natura neuromotoria, comprendere l’instaurarsi dell’uno o il nascere dell’altro rappresenta una frontiera di attenta analisi che ogni operatore del Movimento sperimenta e testa quotidianamente. Compito nostro è ulteriormente rintracciare nella valutazione del movimento attivo di rotazione della regione cervico-toracica, regione toraco-lombare, regione lombosacrale i gradi di libertà, o direzione preferenziale.

L’attenta osservazione dell’operatore verso la fluida esecuzione del Movimento e non la mera analisi della singola unità muscolare, porterà a comprendere che la dis-funzione si alimenta in un sottosistema, che nasce nell’anatomia del singolo e si perde nella globale manifestazione del suo Essere in moto.

Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport

Pubblicato in Performance n. 3 - 2019
Mercoledì, 27 November 2019 17:27

ORIZZONTI POSTURALI - Piede e postura

CONTINUA IL NOSTRO VIAGGIO ESPLORATIVO NEL SISTEMA TONICO POSTURALE

dolore ossa piede anatomia

L'organo del piede e la sua biomeccanica

ll piede rappresenta il punto fisso al suolo su cui grava l’intero peso del corpo. L’appoggio plantare, nonché la postura, sono alla base del sistema di controllo antigravitario (sistema tonico posturale) che consente all’uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio.
L'esterocettore plantare infatti permette di situare l'insieme della massa corporea in rapporto all'ambiente, grazie a delle misure di pressione a livello della superficie cutanea plantare. Quest'ultima rappresenta l'interfaccia costante tra l'ambiente ed il S.T.P.. Le informazioni plantari sono dunque le uniche a derivare da un recettore fisso, direttamente a contatto con un ambiente immobile rappresentato dal suolo.
Il piede è perciò da considerarsi un organo “meccanico” e “sensoriale” che riceve ed esegue comandi: è sia un effettore sia un recettore. Infatti tramite i muscoli, interagisce col resto del corpo fornendo costanti informazioni provenienti dagli esterocettori cutanei presenti sulla pianta e dai propriocettori provenienti dai muscoli, fascia, tendini e articolazioni. In tal modo condiziona Il Sistema Posturale Fine (S.P.F.), responsabile del mantenimento della nostra posizione eretta e della stabilità. Per questo motivo il piede, nelle popolazioni dei paesi sviluppati che vivono su un terreno poco fisiologico quale è il terreno piano, è normalmente l'origine dello squilibrio posturale. Nello stesso tempo esso è anche l'elemento adattativo che tampona, meglio che può, gli squilibri alti, in genere discendennti dall'apparato stomatognatico (denti e articolazione temporomandibolare) e/o dagli occhi e/o dal vestibolo.


L'evoluzione del piede

Il piede, nel corso dell'evoluzione che dura da circa 350 milioni di anni, per le esigenze sorte nell'assunzione della stazione eretta e della deambulazione bipodalica, ha acquisito, quale caratteristica umana peculiare e differenziale, l'attitudine all'irrigidimento ovvero alla coesione intersegmentale. Tale coesione podalica è realizzata dalle formazioni capsulo-legamentose e aponeurotiche a cui si aggiungono le formazioni muscolari con funzioni di "legamenti attivi" e posturali. Questi muscoli, in particolare quelli intrinseci del piede, sono a prevalenza di fibre rosse (fibre ad attività lenta ed energeticamente economica), in stato contrattile pressoché ininterrotto in stazione eretta e in rapporto topografico e funzionale con le formazioni capsulo-legamentose (in sede di inserzione ossea si osserva, in alcuni di loro, una notevole abbondanza di fibre collagene espanse e non raccolte come al solito; ciò ricorda le formazioni legamentose e aponeurotiche). La complessità dell'azione podalica richiede una polivalenza funzionale. Inoltre, la podo-meccanica antigravitaria è cosparsa di interventi muscolari che coinvolgono due o più aricolazioni. I muscoli poliarticolari infatti offrono particolari vantaggi ai fini dell'economia energetica in quanto sono in grado di sviluppare tensioni notevoli con modici accorciamenti. Tali muscoli frequentemente agiscono stabilizzando l'articolazione prossimale favorendo così i movimenti dei segmenti distali (e quindi la rotazione dell'articolazione relativa). L'indagine elettromiografica conferma la particolare economia energetica realizzata dai muscoli in fase antigravitaria: vengono infatti realizzati potenziali inferiori a quelli propri della contrazione tetanica (caratteristica dell'attività dei muscoli a fibre bianche o acceleratori). L'insieme delle formazioni muscolari che interessano il piede, quali effettori nel sistema di controllo gravitazionale, rappresentano le forze interne in "contrasto" con le forze esterne ambientali.
Il piede dell'uomo quindi si evolve da una forma prensile alla forma stabilizzatrice antigravitaria conservando la complessità della propria muscolatura; all' afferramento prensile si sostituisce l'aggrappamento antigravitario. Il piede è così il dispositivo di gran lunga più valido che l'uomo possiede per il controllo dell'ambiente sottoposto alle legge di gravità. L'informazione genetica conferisce alla struttura podalica la modellatura di fondo. L'informazione ambientale confluisce nella genetica che la memorizza gradualmente, nel corso delle generazioni, potenziando la genesi delle prerogative antigravitarie. Il fattore culturale però interferisce su tale sviluppo alterando l'informazione ambientale (con terreni e scarpe inadeguati) causando così un ritardo evolutivo.


La stazione eretta

stazione eretta

In biomeccanica, nessuna forza interna a un corpo, ossia che si esaurisce nell'ambito del corpo (nel caso dell'uomo rappresentata dai muscoli), è in grado di spostarlo nello spazio. Affinché il corpo si muova è necessaria una forza esterna.
Le forze esterne ambientali per eccellenza sono: la gravità, la reazione dal suolo e l'attrito. L'uomo moderno ha nei piedi i più efficaci strumenti per prelevare dalla gravità le energie necessarie per la locomozione. Non vi è dubbio che quella "gravitazionaria" è l'attività senso-motrice di gran lunga più importante e il movimento che la esprime può essere concepito come il fattore determinante ai fine della vita dell'uomo, quale essere più esposto alle "aggressioni" ambientali.
Il corpo umano è un sistema di equilibrio instabile; l'altezza del centro di gravità o baricentro (idealmente anteriore alla terza vertebra lombare), rispetto a una base ristretta, e la struttura composta da una successione di segmenti articolati, sono fattori di instabilità. Solo un vigile controllo attraverso il sistema tonico posturale riesce, in tale condizione, a ricercare l'equilibrio dinamico stabile nella stazione eretta e l'equilibrio dinamico instabile durante la locomozione (che consente la trasformazione dell'energia potenziale in energia cinetica). Ciò avviene soprattutto grazie a un servizio informativo talmente preciso e tempestivo da consentire risposte validissime con interventi energeticamente economici (non rilevabili elettromiograficamente) da parte di muscoli con prevalenza di fibre rosse. Si tratta della manifestazione informativa più importante in quanto fornisce all'uomo il privilegio di adattarsi alle più svariate condizioni ambientali.
Il piede possiamo definirlo come un diaframma interposto tra forze esterne (ambientali) e forze interne (muscolari), che in esso si incontrano, si contrastano e infine si fondono per l'affermazione della condizione di equilibrio. Il piede è una struttura "spaziale" ossia atta ad assorbire e smistare le forze, relativamente agli infiniti piani dello spazio.
Nella stazione eretta comoda la linea gravitaria (G = asse gravitario, M = asse mecanico, A = asse anatomico, C.G. = centro di gravità) cade ventralmente rispetto all'articolazione tibio-trasica (caviglia) L'articolazione sottoastragalica si trova in posizione intermedia tra pronazione e supinazione. L'articolazione medio-tarsica è disposta in pronazione rispetto al retropiede. La serie delle teste metatarsali si adatta alla superficie di appoggio. Si tratta in realtà di una condizione momentanea in quanto, passando la linea gravitaria davanti all'articolazione tibiotarsica, il peso applica su di essa momenti rotatori che sollecitano il corpo in avanti; la migrazione ventrale della linea gravitaria è ragione di accentuazione della torsione retroavampodalica (irrigidimento podalico). Il compito della muscolatura podalica e del tricipite surale in particolare (gastrocnemio e soleo), in funzione antigravitria, è quello di neutralizzare tali momenti rotatori, oltre quelli che inducono oscillazioni sul piano frontale. La stazione eretta è infatti in realtà non un equilibrio statico ma un "movimento su base stazionaria" (equilibrio dinamico stabile); le oscillazioni, seppur minime (verificabili tramite esame stabilometrico) che la caratterizzano, sono dovute alle attività cardiocircolatorie e respiratorie. I riflessi spinali assumono qui un ruolo fondamentale. La verticalità infatti si verifica prevalentemente per mezzo di meccanismi estero-propriocettivi (compresi quelli visivi e vestibolari).


Il processo di sviluppo verso la deambulazione

sviluppo

A differenza di tutti gli altri mammiferi quadrupedi, che stanno in piedi e camminano in modo corretto poco tempo dopo la nascita, l'uomo deve attendere circa 6 anni per ottenere una postura stabile (e una maturazione degli atti di deglutizione e masticazione). A circa dodici mesi di vita si ha il passaggio graduale al bipodalismo ma è solo all'età di 5-6 anni che si formano e si stabilizzano le curve vertebrali (lordosi lombare e cervicale e cifosi dorsale) e ciò avviene grazie alla maturazione estero-propriocettiva del piede (il piede è fisiologicamente piatto fino all'età di circa 4 anni per poi trasformarsi gradualmente in una struttura elicoidale a passo variabile). E' quindi il piede il responsabile delle modificazioni delle curve vertebrali in posizione eretta (ortostatismo); la fisiologica lordosi lombare si forma e si stabilizza a partire dalla formazione di una fisiologica e stabile volta plantare, a 5-6 anni di età, che libera il tronco cefalico da uno stato di ipertonicità, regolando così anche la cifosi dorsale e la lordosi cervicale. Prima di questa età, a partire da circa 1 anno, è normale che il piede sia un po' pronato e piatto, che le ginocchia siano un po' valghe e che vi sia una leggera iperlordosi lombare. Mentre nel neonato e fino a circa 8 mesi, è fisiologica la presenza di ginocchia vare e piede in supinazione.
Tutti gli studi hanno confermato che la formazione delle curve parte dal basso. Va però aggiunto che a circa 6 anni, con la comparsa dei primi molari, deglutizione, masticazione, equilibrio occlusale, giungono contemporaneamente a completa maturazione. Il completamento dello sviluppo della funzione posturale (sistema tonico posturale) avviene abitualmente verso gli undici anni e resta poi stabile sino a circa 65 anni (contemporaneamente alla stabilizzazione della funzione visiva sensoriale e motoria). La formazione e l'accrescimento del sistema muscolo-fasciale-scheletrico e del piano occlusale sono il risultato della complessa e personale azione antigravitazionale dell'individuo. Il piede, assieme alla lingua (per quanto riguarda le ossa del cranio), rappresenta un conformatore organo-funzionale di primaria importanza.

deambulazione

La deambulazione (marcia o cammino) bipodale dell'uomo è condizionata dal sollevamento del centro di gravità e dalla esiguità della base di appoggio, rispetto al quadrupedismo. E' un atto complesso risultante dalle interazioni fra forza interne ed esterne dirette da un mirabilesistema di controllo posturale e dell'equilibrio, che regola attimo per attimo, tramite i muscoli, i rapporti fra le forze. La maggior parte dei gruppi muscolari degli arti inferiori sono attivi durante la deambulazione (l'arto inferiore possiede ben 29 gradi di libertà di movimento a cui corrispondono 48 muscoli).
La locomozione umana è una combinazione di ritmica propulsione in avanti ed elevazione del corpo in alto. Il baricentro corporeo in deambulazione ha un andamento sinusoidale sul piano sagittale raggiungendo il punto più basso nell'appoggio doppio (bipodalico) e la massima altezza in appoggio monopodalico, con un'escursione di 4-5 cm. Dal punto di vista strettamente meccanico, la progressione del corpo nello spazio è il risultato della combinazione di rotazioni articolari. Esattamente come i movimenti circolari delle ruote si traducono nel movimento in avanti del veicolo, movimenti rotatori (cerchi parziali) degli arti o di parti di essi si traducono nel movimento in avanti di tutto il corpo. Grazie al posizionamento alto del baricentro corporeo, l'accelerazione del nostro corpo è sostanzialmente di genesi gravitaria (energia potenziale che si trasforma in energia cinetica). Solo in misura modesta entrano in gioco contrazioni muscolari acceleranti ed è questa la ragione del fatto che l'uomo può protrarre il suo cammino molto a lungo. Si può infatti affermare che nella deambulazione il lavoro muscolare è richiesto solo nella risalita periodica del centro di gravità.
Il ciclo della deambulazione è compreso fra i due appoggi calcaneari dello stesso piede ed è costituito da una fase portante (60% dell'intero ciclo) e una fase oscillante (40% dell'intero ciclo).


L'elemento spaziale prioritario

elemento spaziale

E' quindi nel piano trasverso che la moderna biomeccanica ha individuato l'elemento spaziale prioritario nella statica e nella dinamica dell'uomo. Difatti è dalla rotazione nel piano trasverso che scatta il meccanismo antigravitario, il quale consente la migrazione del baricentro verso l'alto. L'altezza del baricentro carica il sistema di energia potenziale, ovvero di instabilità che però, come abbiamo detto, si trasforma in indispensabile energia cinetica nella dinamica, consentendo così la progressione nello spazio con un modesto consumo di energia muscolare.
Relativamente all'arto inferiore, le articolazioni in cui si compie il movimento nel piano trasverso sono, a catena cinetica chiusa, la coxofemorale (articolazione dell'anca) e la sottoastragalica. In particolare, l'articolazione coxofemorale e l'articolazione astragalo-scafoidea sono analogamente strutturate e corrispondentemente disposte. I movimenti essenziali nella meccanica antigravitaria dell'anca sono l'estensione e la concomitante rotazione esterna e viceversa (flessione-intrarotazione). Nel trasferimento dalla flessione all'estensione quindi il femore ruota verso l'esterno riflettendosi nel meccanismo di rilasciamento-irrigidimento podalico. E' questa quindi una condizione anatomo-funzionale che favorisce la nostra antigravitarietà.
E' ancora da chiarire con precisione il ruolo delle masse muscolari nella stabilizzazione dell'arto inferiore nel piano trasverso. Si ritiene che i muscoli chiamati in causa siano gli adduttori dell'anca, i flessori del ginocchio, lo psoas, il piccolo e medio gluteo, ma il muscolo determinante sembra essere il grande gluteo (estensore, abduttore ed extrarotatore dell'anca). Il grande gluteo è considerato il più potente stabilizzatore dell'anca nel piano trasverso. La sua attività di estensore contribuisce validamente al mantenimento del centro di gravità (o baricentro) al di sopra dei centri di rotazione delle anche. La sua prevalente attività stabilizzatrice esplica una funzione essenziale nella deambulazione e la sua azione si estende all'articolazione del ginocchio tramite il tratto ileo tibiale.
L'analisi delle caratteristiche morfologiche e funzionali dell'arto inferiore relativamente al piano trasverso apre un grosso capitolo di patologia strutturale che contempla le anomalie di rotazione femoro-tibiale e le ripercussioni sulla funzionalità podalica e viceversa. Si getta in tal modo un robusto ponte che connette sempre più il piede ai segmenti corporei soprastanti, in particolare, col cingolo pelvico, col cingolo scapolo-omerale, con la cerniera cervico-occipitale fino all'articolazione temporomandibolare, nel contesto della biomeccanica e della pato-meccanica.


La catena propriocettiva

Gli endocettori sono i recettori “sensitivi” che informano il S.T.P. di quello che succede all'interno dell'individuo. Permettono al sistema di riconoscere in permanenza la posizione e lo stato di ogni osso, muscolo, legamento, od organo in rapporto con l'equilibrio. Essi informano in particolar modo sulla posizione degli esocettori cefalici (orecchio interno e retina) in rapporto all' esocettore podalico. Essi si dividono in due grandi categorie:
• recettori propriocettivi
• recettori enterocettivi o viscerocettivi.

L'entrata oculo-motrice permette di comparare le informazioni di posizione fornite dalla visione a quelle fornite dall'orecchio interno grazie ai sei muscoli oculo-motori, che assicurano la motricità del globo oculare.
L'entrata rachidea ha per scopo di informare il sistema posturale sulla posizione d'ogni vertebra e quindi sulla tensione di ogni muscolo.
L'entrata propriocettiva podalica, grazie al controllo dello stiramento dei muscoli del piede e della gamba, situa il corpo in rapporto ai piedi.
L'entrata rachidea e l'entrata propriocettiva podalica formano una continuità funzionale, un'estesa catena propriocettiva che riunisce i recettori cefalici ai recettori podalici e quindi permette di situare l'orecchio interno e gli occhi in rapporto ad un recettore fisso costituito dai piedi. Ciò consente una codificazione delle informazioni spazio-temporali cefaliche.
Così come il cervello orienta il nostro corpo nello spazio e fa assumere al corpo stesso una determinata postura, la simmetria o asimmetria dell’appoggio plantare, determina l’orientamento sia del bacino e sia della colonna vertebrale.


Le principali alterazioni podaliche

Al fine di scoprire se il “recettore” piede, nella sua duplice funzione biomeccanica o sensoriale risulti causativo o adattativo e quindi disfunzionale, è fondamentale procedere ad una “valutazione podoposturale”, analizzando per ogni singolo caso il piede tenendo in considerazione tutte le possibili interferenze. Tra le principali alterazioni distinguiamo:
Il piede piatto: si tratta di una deformità anatomica della volta plantare mediale del piede dovuta ad una riduzione della concavità fisiologica dell’arco plantare e al cedimento mediale eccessivo nella fase di appoggio.
Il piede cavo: rappresenta una deformazione del piede caratterizzata dall’accentuazione dell’arco plantare interno. Il grado di accentuazione dell’arco plantare interno determina la gravità della patologia.
L'alluce valgo metatarso-falangeo è una patologia piuttosto frequente, maggiormente nelle donne. Esso si manifesta con la deviazione del 1° dito verso l’esterno e del 1° metatarso verso l’interno con la caratteristica sporgenza sottocutanea della sua “testa”.
Lo Strabismo rotuleo: cioè la deviazione (spesso verso l’interno) della rotula rispetto all’asse del femore. Ciò comporta uno stiramento dei legamenti rotulei, una pressione della rotula sul femore e quindi una dolorabilità locale, soprattutto in conseguenza di particolari movimenti come il salire o scendere le scale.
Lo Sperone calcaneare: è una patologia caratterizzata dalla formazione di un osteofita (piccolo ossicino) localizzato a livello della superficie inferiore del calcagno. Il quadro clinico è caratterizzato dalla comparsa di dolore dovuto allo sfregamento dell’osteofita sulla fascia plantare.
La Metatarsalgia: rappresenta una serie di sintomi caratterizzati da dolore nella zona dell' avampiede, precisamente nella regione metatarsale. Più frequente nel sesso femminile è una patologia che si presenta lentamente e progressivamente, accusando dolori sotto la pianta del piede a livello della testa dei metatarsi centrali.
La Fascite plantare: è un sintomo caratterizzato dall’apparizione di un insidioso dolore calcaneare a livello dell’inserzione della fascia plantare responsabile del mantenimento dell’arco plantare. L’infiammazione può essere associata ad una caratteristica spina calcaneare cioè ad una escrescenza ossea speroniforme, ben visibile all'esame radiografico, che si estende verso le dita del piede a partire dal processo mediale di uno o ambedue i calcagni.
Il Piede diabetico: più del 25% dei soggetti affetti da diabete mellito di tipo 1 o 2 sviluppa, nel corso della propria vita, problemi ai piedi. La patologia colpisce il sistema nervoso periferico danneggiando i nervi e compromettendo la corretta funzionalità degli arti inferiori.


Le principali problematiche posturali

Nell'ambito delle problematiche posturali, il piede può presentarsi in tre modi diversi:
• come elemento causativo: responsabile principale dello squilibrio posturale;
• come elemento adattativo: tampona uno squilibrio che viene dall'alto (generalmente dagli occhi e dai denti). In un primo momento l'adattamento è reversibile poi si fissa alimentando lo squilibrio posturale
• come elemento misto: presentando contemporaneamente un versante adattativo e un versante causativo. E' definito anche piede a doppia componente e rappresenta il piede dell’uomo moderno.
Quindi è importante indagare sulla causa dei dolori alla schiena facendo una visita posturale, baropodometrica e stabilometrica affidandosi come pazienti o confrontandosi in qualità di educatori posturali con un un posturologo esperto in podologia.


Il trattamento del posturologo

Le basi del trattamento si fondano innanzitutto sulle correlazioni che sono state fatte in vari momenti clinici, vale a dire correlazioni tra l’anamnesi e l’esame del retro-piede, del piano antero-posteriore, delle rotazioni, ecc.
In tal modo il Posturologo può farsi un’opinione sul tipo di piede da trattare, se il piede è causativo, adattativo, misto o a doppia componente, successivamente occorrerà stabilire l’importanza della componente adattativa e del suo grado di fissità. Conoscere se è più importante trattare la componente adattativa o la componente causativa è un fattore importante per la diagnosi e il trattamento dei piedi misti.


Le Conclusioni

La postura e l'appoggio plantare sono di vitale importanza ai fini di un corretto equilibrio dell’organismo e per ridurre l’incidenza di diverse malattie.
Non esiste una postura “ideale”, ma esiste una postura “sana e funzionale”.
E' ancor più preciso dire che la postura è quella che dà all’individuo un buon appoggio con rimbalzo e scarico del peso sui piedi e dai piedi a terra; sarà pertanto opportuno effettuare una indagini periodica per la valutazione dell’appoggio. Valutare l’evoluzione nel tempo della ortesi plantare che stabilizza l’appoggio del calcagno e distribuisce uniformemente il carico sulle teste metatarsali, compensando in tal modo uno scorretto appoggio del piede (instabilità posturale).  

Pubblicato in Fitness news
Mercoledì, 30 October 2019 12:00

ORIZZONTI POSTURALI - Scoliosi e fascia

Titubante fino alla fine e poi ho ceduto verso l’Argomento “scottante” per eccellenza sul quale tanto si parla e tanto se ne è parlato e tanto ne continueremo a parlare. Le mie considerazioni nascono dall’esigenza di un inquadramento posturale integrato all’esercizio “terapeutico” individualizzato, il mio interesse nelle prossime righe sarà rivolto all’analisi del presente sforzo della ricerca scientifica nella Is (Idiopatic Scoliosis), delle attuali tipologie di intervento ad essa rivolta e dell’attenzione in un nuovo possibile inquadramento sulla catene miofasciali disfunzionali. Per voi che leggerete è solo la volontà del sottoscritto di fare un po’ di chiarezza alla luce della nuova ricerca scientifica e sulla base della esperienza di molti (esperti nel settore da anni) nella pratica clinica, naturalmente , considerate tutto come il lancio di un piccolo sasso in un oceano di prospettive , ma comunque ci proviamo e io lancio!!!

….a voi la voglia ed il desiderio di considerarlo un incipit nell’esplorazione di un’enciclopedia di studi e di esperienza.

…partiamo dalle basi…conosciamo la scoliosi e riflettiamo insieme….

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Definizione

La scoliosi è una deformità tridimensionale della colonna (Foto 3). E’ ormai riduttivo definirla esclusivamente: “deviazione laterale della normale linea verticale del rachide , su osservazione postero-anteriore. La scoliosi consiste si “in una curvatura laterale del rachide con rotazione delle vertebre coinvolte nella curva”, come ancora risulta dalla consultazione della Scoliosis Research Society e dal relativo comitato internazionale per la Terminologia, ma dobbiamo evidenziare che è una patologia che presenta aspetti di grande complessità multifattoriale. Se la nostra osservazione passa dal PF (piano frontale) noteremo una flessione laterale, avvicinamento linea acromiale-iliaca lato concavità, con shift opposto ,lato convessità; sul PS (piano sagittale) alterazione delle curve, spesso associata a un inversione di curva, e sul piano assiale un movimento di rotazione. Qui, vive parte della strutturata difficoltà per un operatore posturale di muoversi: ossia il ragionamento applicativo alla scoliosi, ogni scoliosi avrà specifiche e funzionali necessità di ri- bilanciamento fasciale, meccanico, viscerale-emotivo a seconda della gravità dell’angolo di Cobb.

Il metodo Cobb ,ad oggi è tra i più utilizzati per la valutazione graduata, su base radiologica del dismorfismo, ma anche molto discusso sull’impatto dei raggi nell’età pubero-adolescenziale ed in alcuni casi sulla scarsa affidabilità delle indagini radiografiche, ma sempre di fondamentale importanza nelle rilevazioni di alterazioni strutturali ossee, ad oggi, ad esempio, si discute molto del Formetric o rasterstereografia, dove in Germania si è ottenuto la riduzione valutativa radiografica del 70% (Hackemberg 2003).

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Foto 1 Metodo Cobb        Foto 2 Rasterstereografia (Formetric)

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Foto 3 Rappresentazione in 3 dimensioni di una reale colonna con scoliosi dorsale destra e lombare sinistra. In questa figura si rappresentata la proiezione del rachide nei tre piani dello spazio: il piano frontale (xoy) normalmente visto nelle radiografie in AP, quello sagittale (e tipicamente visto nelle radiografie in proiezione LL, mentre il piano orizzontale (Top View) non è normalmente considerato.

 

Il tentativo di ricerca di cause primarie nella “Idiopatic Scoliosis“

Recentemente, la ricerca della causa della scoliosi idiopatica (della quale non si conosce la causa) ha focalizzato la sua attenzione sugli elementi strutturali della colonna vertebrale, muscolatura spinale, strutture collagene, sistema endocrino, sistema nervoso centrale e genetica. Risultati di esperimenti su vari modelli animali e studi clinici hanno indicato possibili influenze anatomico-funzionali nella causa della scoliosi idiopatica, ma molte di esse possono essere epifenomeni (fenomeni superficiali) piuttosto che cause concrete agenti (Machida, 1999).

È innegabile che esiste una maggiore probabilità di scoliosi a livello genetico tra gemelli, fratelli e relazioni familiari genitore / figlio, ma la genetica di questo modello rimane complessa e non completamente elaborata (Inoue et al., 1998, Grauers et al., 2012). La genetica può anche portare a differenze nei livelli di melatonina, livelli di calmodulina piastrinica e altre variazioni biochimiche, ma non è chiaro come queste anomalie influenzino lo sviluppo della scoliosi nell'uomo (Kindsfater et al., 1994, Dayer et al., 2013). Differenze nell'istochimica dei muscoli paraspinali sui lati convesso e concavo: sono stati osservati della colonna vertebrale e sono state rilevate differenze elettriche sulle attività dei muscoli su ciascun lato della colonna vertebrale, ma non possiamo essere sicuri se queste differenze sono la causa o il risultato dello sviluppo di IS (Wajchenberg et al., 2015, Reuber et al., 1983). Nessuno studio, effettuato su modelli animali, chiarisce la causa iniziale delle forze sbilanciate sul dorso (Stokes et al., 2006, Keller et al., 2007). Inoltre, non c'è nessuna prova che gli sforzi per controllare la progressione della scoliosi con stimolazione elettrica della superficie per modificare la tensione muscolare paraspinale siano efficaci (Lenssinck et al., 2005). Ci sono alcuni studi che sembrano mostrare una bassa densità minerale ossea negli adolescenti con IS, ma la ricerca sulla densità ossea come fattore causale o come all'effetto secondario è inconcludente (Li et al., 2008; Szalay et al., 2008).

Un altro fattore strutturale che è stato postulato, ma poi non confermato dalla ricerca, come fattore causativo in IS è la "crescita neuro-ossea disaccoppiata" nel senso che il midollo spinale sembra essere più corto delle strutture spinali nell'IS (Burwell, 2001). Oltre a questi fattori strutturali, sono state postulate ipotesi che riguardano la parte centrale del sistema nervoso, compreso il sistema di riflesso posturale e il sistema vestibolare, ma i risultati della ricerca per documentare queste anomalie sono stati incoerenti. Le anomalie indagate nel sistema nervoso centrale coinvolto nell'equilibrio, possono essere il risultato di adattamento del sistema vestibolare alle asimmetrie posturali coinvolto nell'IS, ancora un fenomeno secondario forse piuttosto di un fenomeno primario (Hawasli et al., 2015).

Negli ultimi 25 anni, ci sono stati progressi significativi nella nostra comprensione della genetica e della biochimica correlate alla scoliosi, ma non al punto di trovare strategie di intervento efficaci sulla base di queste conoscenze.

Ad oggi, dobbiamo constatare che una prevenzione primaria sull’agente/i scatenante della scoliosi non esiste, ma la diagnosi precoce ci può portare verso la migliore delle soluzioni nella prevenzione secondaria e la comprensione dei meccanismi patologici e biomeccanici che la caratterizzano, basati essenzialmente sulla legge Heuter-Volkmann:

1) in una curva rachidea normalmente preposta allo sviluppo, si ha la presenza di carichi compressivi sull’epifisi fertile ,che determina arresto di crescita, mentre la presenza di forze distrattive accelera la crescita. Mentre, in una curva scoliotica, la presenza di carichi asimmetrici determinerà assenza di crescita dal lato concavo (maggiore compressione), e la sua accelerazione sul lato convesso (forze distrattive). La crescita naturale della statura determina l’instaurarsi di tale ciclo vizioso e l’aumentare della scoliosi stessa, se non riusciamo ad effettuare una precoce diagnosi e ad intervenire nel modo più adeguato.

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foto 4. Ciclo vizioso di Stokes (ipotesi patogenetica) secondo legge Heuter-Volkmann Cuneizzazione vertebrale-curva spinale-carico asimmetrico-crescita asimmetrica

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Foto 5 Grafico di Duval-Baupère concernente scoliosi neuromuscolari(instaurate congenitamente o da malattie neuromuscolari: miopatie, neuropatie periferiche ,etc.) ma adattabile alla IS, con inclinazione ad ogni singolo tratto evolutivo più ridotto).

 

Perchè l’approccio con esercizi?

Mentre c'è un consenso costante sul fatto che la scoliosi è un disturbo multifattoriale e poco abbiamo ancora realmente e concretamente compreso riguardo ai fattori che contribuiscono effettivamente agli interventi che alterano il corso della malattia. L'unica notevole eccezione è il consenso emergente che l’esercizio personalizzato volto ad affrontare gli squilibri muscolari e quindi a diminuire il carico asimmetrico della colonna vertebrale può migliorare il risultato della cura della scoliosi e ridurre la necessità di correzione chirurgica. Altra considerazione è che l'esercizio individualizzato prima del rinforzo o in combinazione con il rinforzo riduce la progressione della Scoliosi idiopatica ed è migliore del solo rinforzo (Fusco et al., 2014; Negrini et al., 2009; Romano et al., 2015).

 

Considerazioni sull’approccio al paziente scoliotico

Duval-Beaupère ha sottolineato l’importanza della componente posturale adattiva alla scoliosi che è in difficoltà nel contrastare la perdita dell’allineamento verticale, tale componente e’ sempre presente , ma più importante nelle scoliosi inferiori 20°, da qui l’importanza del corretto piano esercizi posturali individualizzato. Tutto questo e’ stato osservato nella misurazione dell’angolo di Cobb in clinostatismo, minore rispetto all’ortostatismo (foto 6). A conferma di quanto detto, da Bunch e Padwardhan, si evidenzia come la soglia di carico oltre la quale la colonna comincia a deformarsi (soglia di carico critico) incrementa alla riduzione della curva, da qui l’importanza del concetto di stabilizzazione posturale per evitare tale cedimento di gestione dell’individuo scoliotico (foto 7).

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Foto 6                                                              Foto 7

 

Nuove considerazioni miofasciali di approccio alla IS

Sebbene la ricerca medica tradizionale si sia concentrata sui muscoli paraspinali, alcuni clinici e ricercatori hanno osservato tensione muscolare asimmetrica in muscoli diversi da quelli muscoli paraspinali in individui con IS (Otman et al., 2005, Fusco et al.,2011). Si è cominciato ad analizzare le componenti miofasciali asimmetriche in soggetti adulti con IS ed intervento chirurgico con CLBP (dolore cronico alla schiena) e utilizzando il trattamento dei Trigger points, e release miofasciale (MR)delle aree in restrizione articolare e miofasciale , il dolore in questi soggetti e’ passato (White Ferguson 2015). Partendo da questo presupposto, e’ stato fatto uno studio (in specifico “case series” analisi di casi clinici) decollato inizialmente come analisi clinica di partenza per 22 adolescenti e pre-adolescenti seguiti per più di 15 anni per IS e trattati nelle zone dolenti ,considerazioni da questo “case series” (un caso clinico è generalmente considerato un tipo di prova aneddotica, le considerazioni cliniche mostrano intrinseci limiti metodologici, inclusa la mancanza di campionamento statistico, i “case report” sono posti ai piedi della gerarchia delle evidenze cliniche, insieme alle serie di casi. Tuttavia, i case report hanno ruoli veramente utili nella ricerca medica e nella medicina basata sull'evidenza. In particolare hanno facilitato il riconoscimento di nuove malattie e degli effetti avversi dei trattamenti).

1) 21 su 22 avevano lassità legamentosa o ipermobilità, fattore associato in molti studi alla componente scoliotica, soprattutto in soggetti femmine ,corrispondenza LL (ligamentous laxity-Idiopatic scoliosis)

 

Il ruolo della lassità legamentosa

La distorsione fasciale opera anche all'interno di un sistema che appare includere la lassità legamentosa o la sindrome da ipermobilità. La lassità legamentosa è stata identificata come un fattore sia per il mal di schiena che per gli stress biomeccanici tra cui l'eccessiva pronazione e possono essere associati alla scoliosi nei bambini e negli adolescenti. Il mal di schiena è un'altra presentazione comune in entrambi i bambini e adulti che dovrebbero essere investigati a fondo, in particolare in bambini e adolescenti (Murray, 2006). La sindrome da ipermobilità articolare [JHS] è una delle diagnosi differenziali più comuni in questa popolazione (Grahame, 1999). In queste situazioni Il dolore alla colonna vertebrale si presenta spesso in adolescenti e può essere correlato a scatti di crescita e associati cambiamenti biomeccanici. Il dolore è spesso associato al muscolo spasmo e può essere associato a scoliosi che può estendersi su tutto il dorso (Simmonds and Keer, 2007,Simmonds, 2012).

Gli individui con JHS spesso presentano piedi molto pronati e crollo della volta plantare, contribuendo ai sintomi degli arti inferiori e al modello di andatura alterato. L’incoraggiamento verso l’attivazione dei muscoli del piede più deboli, correggendo la biomeccanica del piede, ha un effetto così positivo su tutta l'andatura che è il corso preferenziale di trattamento rispetto alla plantarizzazione (van de Putte et al., 2005). Ciò riduce anche le forze e il dolore anormali attraverso le altre articolazioni più in alto nella catena cinetica (Simmonds, 2012).

Ricerche recenti identificano una maggiore incidenza di legamenti lassi nelle ragazze IS rispetto ai controlli sani ma non è stata identificata alcuna relazione con la dimensione della curva, il modello o la lunghezza della scoliosi (Czaprowski, 2014).

Questo studio su casi clinici ha analizzato la “Spiral Line” basandosi sugli studi recenti di Myers 2014, Stecco 2004, filtrato dal lavoro della terapeuta Katharina Schroth, pioniere nel trattamento IS attraverso l’esercizio. Lei, ha diviso il tronco in tre blocchi che possono essere spostati uno contro l'altro. Ha riconosciuto che il bacino e la spalla sono ruotate nella stessa direzione e che il blocco centrale (la gabbia toracica) è orientata nella direzione opposta, nella osservazione sagittale e sul piano frontale. Più questi blocchi si spostano l'uno contro l'altro, vale a dire, più si discostano dalla linea verticale più ruotano anche sul piano trasversale (attorno all' asse del corpo verticale). Il corpo diventa meno eretto e "si sbriciola" poiché tutte le parti del corpo si discostano dalla linea verticale e sono destinate a collassare verso il basso per forza di gravità maggiore (Otman et al., 2005). Sembra che ciò che Schroth stava descrivendo in termini di blocchi strutturali, che ruotano attorno ad un asse verticale, costituiscono in realtà un'organizzazione a spirale del corpo e la fascia a spirale è la teoria esplicativa economica della forza coinvolta in questo processo, e della colonna vertebrale e delle strutture associate che creano lo “strain” ossia la distorsione. Quando due spirali fasciali sono bilanciate in una doppia elica, esse probabilmente svolgono un ruolo importante nel supporto del tronco e della colonna vertebrale. Esso diventa quindi necessario descrivere forze che possono sollecitare lungo una spirale nella doppia elica. Per capire il ruolo della spirale fasciale nello sviluppo dell'IS richiede anche una comprensione della grande forza che la linea fasciale a spirale possa esercitare sulla crescita e sullo sviluppo della colonna vertebrale, un legame che potrebbe essere in grado di cambiare forze sulle placche vertebrali epifisarie, sui dischi, sui muscoli paraspinali e che accorciano i muscoli associati alla spirale (L. Whyte Ferguson / Journal of Bodywork & Movement Therapies 21, 2017:pag 948 e 971) e causare uno squilibrio muscolare rispetto agli stessi muscoli sul lato opposto della colonna vertebrale.

Osservazioni di giovani con IS o con il rischio di sviluppare IS suggerisce che una moltitudine di forze può introdurre tensione nella fascia e provocare cambiamenti nella tensegrità della struttura.

ESPANDI                                                  COMPRIMI

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LINEA SPIRALE POSTERIORE                LINEA SPIRALE ANTERIORE

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Estratto da:
FASCIA SCIENCE AND CLINICAL APPLICATIONS: ORIGINAL CLINICAL RESEARCH: CASE SERIES
Adolescent idiopathic scoliosis: The Tethered Spine III: Is fascial spiral the key?
Journal of Bodywork & Movement Therapies(2017)
Lucy Whyte Ferguson

 

Osservazioni finali

Questa serie di casi è un'esplorazione e un'osservazione iniziali di studio che ha chiarito l'importanza della disfunzione articolare e lo studio della asimmetria della tensione muscolare nello sviluppo dell'IS e la possibilità che la contrazione progressiva di una spirale fasciale sia un fattore unificante nello sviluppo dell'IS, quando combinato con l'abbassamento della resistenza intrinseca alla distorsione dovuta alla lassità legamentosa. Questo articolo apre solo alla considerazione di altri fattori nel trattamento della scoliosi alla luce degli approcci terapeutici oramai ben consolidati (vedi Schroth) e nell’integrazione di concetti fasciali più recenti; ricordo che l’amore che passa nel nostro lavoro mira ad una azione concertata di un team di specialisti, vista la complessità dell’argomento trattato, e nella sempre presente considerazione (mai stanco di ripeterlo!) che la prima forma di trattamento passa nell’ascolto del disagio del paziente e nella comprensione che il nostro intervento nasce nelle parole e soprattutto nei silenzi dei nostri pazienti.  

 


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Pubblicato in Fitness news
Mercoledì, 25 September 2019 12:00

ORIZZONTI POSTURALI - L'occhio e la postura

Le principali relazioni tra disfunzioni oculari e disordini posturali

*Educatrice Posturale, insegnante Metodo Feldenkrais

Tra le tante, e tutte giuste, definizioni attribuite all'equilibrio posturale desidero introdurre questo articolo scegliendo la definizione che afferma che il concetto di POSTURA si identifica nel concetto di equilibrio tra soggetto e ambiente circostante. In qualità di educatori posturali conosciamo dagli albori della nostra professione che questa importante funzione viene affidata ad un intero sistema chiamato Sistema Tonico Posturale (STP), un insieme di strutture comunicanti a cui è affidato il compito di:
• lottare contro la gravità
• opporsi alle forze esterne
• permettere l’equilibrio nel movimento, guidarlo e rinforzarlo

Per realizzare questo processo neuro-fisiologico l’organismo utilizza diverse risorse:
• esterocettori – tatto, vista, udito
• propriocettori – esprimono la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli
• centri superiori – integrano i selettori di strategia, i processi cognitivi e rielaborano i dati ricevuti dalle due fonti precedenti.

Si riconoscono dunque diversi recettori posturali con funzione estero e propriocettiva, i quali sono in grado di informare il Sistema Nervoso Centrale del loro stato e indurre una risposta posturale specifica per quel determinato momento, modificando lo stato delle catene cinematiche muscolari e di conseguenza gli equilibri osteo-articolari.

sistema tonico

L'obiettivo di questo articolo è puntare il Focus sull'organo dell'occhio, sulle sue principali disfunzioni quali cause dei disordini posturali.
L’occhio rappresenta una fonte di informazioni fondamentale per la nostra statica, la nostra dinamica e la nostra postura. Ogni alterazione visiva si ripercuote inevitabilmente su tutto il sistema tonico posturale, dunque è capace di innescare meccanismi disfunzionali e conseguente dolore. Allo stesso modo rivestono estremo interesse le patologie dell’occhio che provengono da alterazioni posturali: è possibile infatti che un trauma articolare ad un piede o in altro punto del corpo possa “risalire” lungo le catene muscolari e, una volta arrivato ai muscoli del tratto cervicale della colonna vertebrale, può giungere ad interessare anche i muscoli oculomotori.
Dall'analisi delle principali disfunzioni oculari è intuitivo capire come un difetto della vista possa creare come conseguenza problematiche a livello posturale, da dolori o blocchi del tratto cervicale della colonna vertebrale oppure in altre zone specifiche del corpo.


APPROFONDIMENTO DELLA BIOMECCANICA OCULARE
La vista costituisce la principale sorgente della sensazione cinestetica (HERMAN et al. 1985). L’occhio è al tempo stesso organo esterocettivo, attraverso la funzione retinica (i recettori sensoriali sono i fotorecettori rappresentati dai coni e bastoncelli della retina, che inviano all'encefalo informazioni sull'ambiente esterno) ed organo propriocettivo legato sia all’attività dei muscoli estrinseci oculari e sia alle vie dell’oculocefalogiria che controllano i muscoli del collo, della spalla e dell’occhio. La visione funziona come un propriocettore fornendo informazioni sulla posizione del corpo. Come indicato prima esiste una relazione bidirezionale tra funzione visiva e postura, infatti un’alterazione della funzione visiva comporta una modifica della postura e viceversa. Visione e postura quindi sono due meccanismi all’interno di un unico processo percettivo.

occhio

La retina, visione periferica, invia al cervello informazioni derivanti da tutto l’ ambiente esterno, consentendo la stabilità posturale antero-posteriore, la fovea, visione centrale, analizza in maniera precisa l'oggetto del nostro interesse, fornendoci la stabilità posturale laterale. L’ informazione sensoriale visiva è attiva quando l’ambiente visivo è vicino, infatti se la mira visiva è distante 5 metri o più, le informazioni che provengono dal recettore visivo sono poco importanti da non venire prese in considerazione dal STP. Pertanto affinché il Sistema Tonico Posturale possa utilizzare le informazioni visive per il mantenimento dell’equilibrio, è necessario che le informazioni visive siano comparate a quelle che vengono dall’orecchio interno e dall’appoggio plantare.
La spiegazione di come il sistema visivo possa influenzare la postura e’ da ricercare sia in ambito neurologico che meccanico.
Dal punto di vista neurologico esiste una serie di collegamenti tra il sistema visivo e le strutture costituenti il sistema di regolazione della postura come il vestibolo, il cervelletto, le aree encefaliche frontali e parietali. Tre principali circuiti nervosi quali, il movimento di inseguimento lento o Smooth Pursuit, il Riflesso vestibolo- oculomotore ed il Sistema Saccadico sono alla base delle principali funzioni del sistema visivo, che sono:
1. movimento di inseguimento lento (o Smooth pursuit)
2. fissazione
3. riflesso optocinetico -optocinesia
4. riflesso vestibolo-oculomotore
5. nistagmo
6. movimenti saccadici

I tre circuiti nervosi si infuenzano reciprocamente, per esempio la fissazione inibisce il nistagmo,lo “smooth pursuit” è in grado di inibire sia il riflesso vestibolo-oculomotore che le saccadi.
- La via dell' inseguimento lento (Smooth pursuit): è rappresentata dal nucleo dorso laterale del ponte ( Dorso Lateral Pontine Nuclei - DLPN). L'informazione visiva per poter inseguire un bersaglio origina dalla fovea e da qui, attraverso le aree visive primaria e secondarie, arriva al DLPN. Dal nucleo il segnale va al cervelletto e da qui ai nervi oculomotori. Il DLPN riceve informazione anche dal polo frontale (FEF) (a sua volta connesso con le aree visive secondarie) e dai nuclei del tratto ottico (NOT) situati sulla via visiva primaria.
- Il Sistema delle Saccadi: il segnale motorio origina dal nucleo Saccade Generator (SG) situato tra il mesencefalo ed il ponte; questo nucleo riceve stimoli da due vie:
1) dal collicolo superiore e dalle aree parietali e frontali (PEF e FEF) in collegamento tra di loro;
2) dalle aree frontali secondarie (Secondary Eye Fields – SEF) ed arriva al SG dopo essere passata dal Nucleus Reticularis Tegmenti Pontis e dal cervelletto.
- Il Riflesso vestibolo-oculomotore: origina nel vestibolo e stimola i muscoli oculomotori attraverso una via diretta ed una indiretta che passa per il cervelletto. Sono importanti da ricordare inoltre altri circuiti cerebrali che coinvolgono l'occhio:
- la via cortico retinica che riporta un feedback corticale alla retina.
- la via che porta all'ipotalamo le informazioni sui cicli luce- buio che il sistema nervoso autonomo utilizza per tutti i processi vegetativi che abbiano un ritmo circadiano.

Dal punto di vista meccanico, i muscoli estrinseci oculari fanno parte della catena propriocettiva posturale (catena muscolo-connettivale) ed ogni modifica della loro tensione si ripercuote lungo tutta la catena con i conseguenti adattamenti necessari. Pertanto una variazione della tensione dei muscoli oculari estrinseci induce una conseguente variazione di tensione della catena muscolo-connettivale fino all’appoggio podalico. Ne consegue che i problemi visivi sono in grado di comportare disturbi posturali, infatti una perdita dell’allineamento visivo determina in maniera automatica ed inconscia una rotazione e/o inclinazione della testa al fine di avere una visione nitida. Tuttavia nel tempo tale modifica dell’atteggiamento posturale della testa causerà uno stato di ipertonia muscolare con disturbi intervertebrali cui seguiranno ipomobilità segmentale e se tale situazione si protrarrà nel tempo si avranno lesioni di tipo degenerativo.
I muscoli oculomotori estrinseci, oltre che con i muscoli oculari intrinseci e delle palpebre, funzionano in stretta sinergia con i muscoli facciali e del collo (il muscolo trapezio e lo sternocleidomastoideo sono innervati dall’ XI nervo cranico -nervo accessorio spinale). Pertanto ogni volta che gli occhi si muovono generano un input di contrazione dei muscoli della nuca per consentire alla testa di cambiare posizione al fine di fissare l’oggetto di interesse. Di conseguenza i meccanocettori articolari del rachide cervicale inviano informazioni ai vestiboli che, attraverso la via vestibolo-spinale, determinano l’attivazione dei motoneuroni alfa dei muscoli estensori di tutto il corpo al fine di mantenere l’equilibrio.
Quindi lo scopo principale della relazione visione-postura è quello di assicurare un funzionamento binoculare perfetto della percezione visiva, in quanto la funzione dei movimenti oculari e’ quella di spostare e stabilizzare lo sguardo. A spostare lo sguardo in modo tale che l’oggetto interessato giaccia entro 0,15° dal centro della fovea. A stabilizzare lo sguardo in modo tale che la velocità di slittamento delle immagini sulla retina sia compresa tra 0,15 e 2-3° affinché la qualità della visione sia buona. Per fare queste due cose, il sistema oculomotorio deve poter controllare la posizione e la velocità delle immagini sulla retina. I movimenti oculari sono quindi funzionali alla visione, c’è relazione tra sistema visivo ed apparato oculomotorio. Tutto questo perché lo scopo del vedere è comprendere.


LE PRINCIPALI DISFUNZIONI OCULARI
I problemi visivi sono dovuti sia ad un deficit di sviluppo del sistema visivo e sia ad un deficit di altri sistemi coinvolti con quello visivo (c.d.DEFICT VISUO-PERCETTIVO-MOTORIO). In maniera più specifica la propriocezione dei muscoli oculari è assistita dalla propriocezione dei muscoli della testa e del collo (oculocefalogiria) e le informazioni derivanti da tutta la catena propriocettiva oculare, insieme a quella di tutti gli arti, generano la percezione spaziale dei segmenti corporei tra di loro e del corpo nello spazio. Ogni movimento del corpo inizia con il movimento degli occhi nella direzione del bersaglio e tutti i movimenti oculari sono associati a movimenti compensatori della testa (ad esempio la contrazione del retto superiore e dello SCM determina lo spostamento della testa all’indietro; la stimolazione dello SCM e dello Splenio determina un movimento oculare di versione orizzontale; la stimolazione del retto mediale di un lato ed il retto laterale del lato opposto determina un’inclinazione del corpo dal lato del retto mediale). In definitiva, l'oculomotricità informa sulla posizione dell’occhio in relazione al vestibolo ed è un recettore fondamentale per il sistema posturale in quanto oltre a dare informazioni visive da anche informazioni di tutto il sistema di propriocezione e vestibolare (otolitica). Nei casi in cui il problema visivo è primario rispetto a quello posturale, il trattamento primario sarà una riabilitazione visiva oppure una correzione con occhiali. Quando invece, il difetto visivo è secondario ad una disfunzione posturale, la rieducazione visiva non sarà risolutiva, ma sarà necessario trattare la causa primaria. Infatti le disfunzioni oculomotorie possono avere un’origine vestibolare ed anche difetti della vista possono derivare da stress, stati depressivi, ed altre cause legate alla sfera emozionale.

Le principali disfunzioni oculari causa dei disordini posturali riguardano:
- Deficit della convergenza è un? alterazione della propriocezione muscolare extra-oculare (endorecezione)
- Eteroforie (o strabismi latenti) sono un difetto di parallelismo degli assi visivi che alterano l’endorecezione
- Alterazione dei movimenti saccadici
- Disturbi dell’accomodazione
- Ametropie: miopia, ipermetropia.
- Disturbi indotti dagli occhiali (errori di centratura ed effetti prismatici indotti)

Difetti di convergenza oculare
La convergenza oculare è il movimento che compiono gli assi visivi quando si passa da una visione da lontano ad una da vicino. E’ un fenomeno complesso che permette di fissare correttamente un oggetto che si avvicina agli occhi. La convergenza oculare è la combinazione di tre diversi meccanismi: fusione, accomodazione e convergenza tonica. Nella visione, il meccanismo piu’ importante è la convergenza fusionale. Il ruolo dei movimenti di fusione è quello di modificare la posizione rispettiva degli occhi affinché le immagini si creino di nuovo su un paia di punti corrispondenti retinici (disparita’ retinica). La convergenza, può essere, come del resto tutti i movimenti oculari, volontaria o riflessa. Alla convergenza si associa una regolazione della quantità di luce che entra nell’occhio (riflesso della miosi). L’insufficienza di convergenza è dovuta all’ipertonia del muscolo retto esterno ed è il principale difetto posturale.

Eteroforie
Si parla di ortoforia, quando gli occhi hanno le linee visive perfettamente parallele. In situazione di fisiologia, quando si guarda un oggetto, entrambi gli occhi si posizionano in modo tale che le linee di sguardo si incontrino esattamente sul punto mirato dell'oggetto, senza che intervenga il riflesso di fusione. Le eteroforie sono invece delle deviazioni degli occhi non manifeste, ossia sono compensate dal sistema fusionale motorio. Esse sono rilevabili eliminando l’azione del sistema fusionale motorio (dissociazione fusionale) e devono essere distinte dalle deviazioni manifeste o eterotropie o strabismi.


ESEMPI DI ESERCITAZIONI PRATICHE CON APPLICAZIONE DEL METODO FELDENKRAIS SULLA FISSAZIONE, ACCOMODAZIONE E CONVERGENZA
ESERCIZIO 1 OBIETTIVO FISSAZIONE: “VISUALIZZATE IL PUNTO ROSSO”
- Focalizzate l'attenzione sulla seguente frase:

felice

> SONO FELICE

- Rendetevi conto del colore rosso del punto
- Lasciate che gli occhi siano liberi di esplorare il segno e la superficie circostante
- Poi abbassate le palpebre e visualizzatelo mentalmente. Se riuscirete ad immaginare il punto completamente nero, gli occhi si coordineranno senza sforzo;
- Sollevate le palpebre e ritornate ad osservare il punto: ora è diventato più nitido;
- Più intenso sarà il nero che riuscirete a memorizzare, più acuta diventerà la vostra capacità visiva.

Potete estendere questo principio di visualizzazione del punto nero agli oggetti che vi circondano nella vita quotidiana, senza dimenticare che gli occhi vedono più chiaramente le cose piacevoli e familiari. E' la mente che attribuisce l'importanza e i significati alle cose che vediamo.
La retina registra le immagini mentre il cervello le interpreta. Per aumentare la capacità di accomodazione potete immaginare di allontanare e avvicinare gli oggetti posti davanti a voi con un movimento uniforme e ritmico per alcuni minuti. Quando l'oggetto si avvicina al viso diventa più grande. Quando si allontana diventa più piccolo.

ESERCIZIO 2 OBIETTIVO ACCOMODAZIONE: “AUMENTATE LA CAPACITÀ DI ACCOMODAZIONE”
- Guardate

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Seduti sulla sedia. Guardate la punta del naso. Fissate più volte la punta del naso per alcuni secondi e ritornate, poi aumentate gradualmente il tempo di fissazione, finché la mente diventa calma e tranquilla. Poi…

- Osservate

viso2

Osservate lo spazio fra le sopracciglia per alcuni secondi, lasciate e ripetete il movimento, prima per alcuni secondi e poi per qualche minuto. La fissazione della punta del naso e dello spazio fra le sopracciglia rafforza la vista e il nervo ottico. Rende lo sguardo brillante e favorisce lo stato di calma interiore.

ESERCIZIO 3 OBIETTIVO CONVERGENZA: “SCORRETE CON LO SGUARDO LUNGO UNA CANNUCCIA”

viso3

- Prendete una cannuccia, portatela alla bocca, sostenetela nel mezzo, mantenendola diritta e immobile
- con le dita scorrete lentamente lungo la cannuccia avvicinandole alle labbra e allontanandole per ritornare nella parte centrale. Scorrere con le dita lungo la cannuccia equivale alla messa a fuoco degli oggetti da vicino e da lontano: gli occhi guardano in dentro e convergono per la visione ravvicinata, mentre divergono separandosi per la visione da lontano.
- Ripetere per diverse volte finché vedrete la cannuccia biforcarsi in due oltre le dita fino a diventare due immagini ben distinte che deviano una a destra e l'altra a sinistra della cannuccia reale:
• se chiudete l'occhio destro vedrete solo l'immagine della cannuccia sinistra.
• se chiudete l'occhio sinistro vedrete solo l'immagine della cannuccia destra.


Bibliografia
- Appunti di posturologia Clinica, Formative Zone
- Laboratorio di posturologia Clinica del Dr Giuseppe Pantaleo, Sistema visivo e postura
- “Il caso Di Nora” di Moshe Feldenkrais, editore Astrolabio

 


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Pubblicato in Fitness news
Venerdì, 30 August 2019 10:20

Il diaframma

CRITERI E VALUTAZIONE PER UN MIGLIORE INQUADRAMENTO POSTURALE

L’attenzione e l’interesse verso il “muscolo diaframma” coinvolge svariati campi del Movimento dal Fitness, allo sport, discipline olistiche e lo studio sul suo comportamento neurofisiologico nel mondo posturale ha sempre richiesto criteri di analisi (Manual Evaluation Diaphragm scale by Bordoni Bruno) ben specifici al fine di valutare funzionalità’, danno in corso, o per la prevenzione di un danno che potrebbe avvenire. Pensiamo alla diversa tipologia di implicazione metabolica relativa alla pratica selettiva di alcuni sport, l’evidenza scientifica differenzia, in soggetti sani, il differente stimolo-adattamento negli sport anaerobici dove si prevedono sollevamenti o spinte di carichi, il diaframma interviene ancora prima che l’atto sportivo si attui; la contrazione che precede il gesto dell’atleta permette di incrementare la pressione addominale, caudalizzando i visceri e permettendo la stabilizzazione della colonna, a proposito di questo, va aggiunto che non solo il diaframma interviene precedendo la performance, grazie ai centri sovra spinali del respiro, quali il centro respiratorio bulbare costituito dal gruppo dorsale con funzione di centro inspiratorio il quale controlla il ritmo di base del respiro, poi abbiamo il controllo nervoso del respiro nel gruppo ventrale con funzione di centro espiratorio che è responsabile dell’espirazione, inattivo nel respiro tranquillo e attivo durante attività fisica e centro apneustico che eccita il centro inspiratorio del bulbo, evocando una contrazione prolungata del diaframma ed infine centro pneumotassico: modula l’inspirazione, limitando l’ ampiezza del volume corrente e regolando la frequenza respiratoria, il tutto migliorandone anche la coordinazione intersegmentaria del corpo e il controllo posturale globale.

Negli sport di lunga durata di endurance, come la maratona, dove la fatica può creare uno sbilanciamento negativo sul controllo dei muscoli respiratori primari, l’avvento della fatica del diaframma è contrastato dall’intervento dei muscoli accessori adibiti alla respirazione; probabilmente, un meccanismo automatico per scongiurare danni al diaframma. Alcuni studi mostrano che il sesso femminile abbia maggiore resistenza diaframmatica durante sforzi prolungati, rispetto alla controparte maschile; probabilmente per una percentuale di fibre ossidative maggiore, rispetto agli uomini. Negli sport dove si richiede potenza muscolare e di lunga durata, come il nuoto, sussiste un meccanismo simile a quello descritto per i sollevatori di peso, gestendo più velocemente le pressioni respiratorie in relazione al movimento del nuotatore. Al fine di ottenere un migliore inquadramento comprensivo a livello posturale, ricordiamoci come il diaframma lavora in fase di inspirazione: l’attivazione dei muscoli intercostali (parasternali intercostali, intercostali esterni) sinergicamente, all’ aumento dei diametri della cassa toracica trasversali (soprattutto per le ultime coste) e anteroposteriore, il diaframma discende caudalmente con alcuni movimenti ventrali e dorsali (scende obliquamente e si allarga). Infatti, il movimento maggiore del diaframma accade latero-posteriormente, per almeno il 40% in più rispetto alla zona anteriore. Vi sono considerazioni posturalmente rilevanti sulla funzionalità del diaframma con assetto gravitario variabile, seduto, supino o in piedi. L’escursione maggiore si ottiene con paziente supino, nonostante lo spettro EMG sia minore, al contrario, in piedi (o seduto), l’escursione è minore e l’attivazione delle sue unità motorie è maggiore. Questo accade non solo per le resistenze viscerali da vincere diverse, ma perché a seconda di come si posiziona il corpo, le funzioni del diaframma cambiano: maggiore sarà la richiesta da parte del corpo per mantenere la postura, e minore sarà il suo intervento nell’atto del respiro. Quando il diaframma è coinvolto in movimenti del tronco e degli arti, è come se si“ rubasse” un terzo della sua capacità contrattile adibita al respiro; un terzo della sua contrazione è deviata e veicolata verso le funzioni posturali. Per riassumere, per mantenere la posizione corporea durante il respiro, il diaframma si contrae maggiormente (all’esame ecocardiografico più spesso in piedi, rispetto alla posizione supina), ma scende in misura minore: due terzi si occuperanno di farci respirare, mentre un terzo della sua massa, in maniera isometrica, fisserà la colonna (Bordoni Bruno ”Il trattamento e la valutazione dei 5 diaframmi. Il respiro sistemico”, 2016).

schema diaframma


VALUTAZIONE DELLA RESPIRAZIONE

Il paziente è supino con arti inferiori in scarico (gambe piegate o arti inferiori sollevati 90° circa su supporto adeguato , a livello popliteo ,che non trazioni l’asse bacino-anca –ginocchio). Prima osservazione, ed eventuale attenta palpazione, è diretta alla zona NON Diaframmatica (muscoli accessori primari inspiratori) e al contenitore ossia la gabbia toracica nelle sue componenti anatomiche e ed in seguito portarsi verso zone direttamente interessate:

1) clavicole-manubrio sternale-corpo-posizione ed orientamento processo xifoideo: non ci dovrebbe essere un coinvolgimento della struttura sternale senso caudo-craniale
2) coste: presenza di una ritmica espansione laterale
3) rampa condro-costale: sede del corpo diaframmatico presenza, ritmica espansione antero-laterale
4) pilastri mediali, valutare aree di densità da D11- a L 4(spazi interspinosi).
5) zona fossa iliaca dx e sx: presenza espansione viscero addominale in fase di inspirazione, anche da seduto.

Se non si ha la manualità necessaria, inizialmente, possiamo verificare la corretta attivazione posturale nel modo seguente:

- porre le mani negli spazi intercostali inferiori e al di sotto delle coste inferiori (se necessita anche da posizione seduta)
- richiedere di respirare verso le dita dell’operatore o di spingere verso di esse, così facendo si verificherà in fase inspiratoria la possibilità di accertarsi della simmetria tonica nei muscoli ed eventuali sincinesie in aree anatomiche come il sollevamento spalle oppure un compenso flessorio della colonna.

 
SPUNTI PER UN’OSSERVAZIONE PIÙ ATTENTA…

Più osserverete, più diventerete competenti nel valutare funzionalmente i vari “dysfunctional breathin’ pattern” che ogni individuo porta con sé…Si, perché “ogni persona ha una sua storia” che dovete ascoltare sempre, poiché ritengo che operare nel settore posturale, porti un reale e continuo mettersi in discussione, nell’aiutare le persone a sentirsi meglio.

* Osteopata D.o.m R.o.i - Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie e Specializzazione in Scienze e Tecnica dello Sport


1. Kawabata M, Shima N, Nishizono H. Regular change in spontaneous preparative behaviour on intra-abdominal pressure and breathing during dynamic lifting. Eur J Appl Physiol. 2014; 114(11):2233-9.
2. Bradley H, Esformes J. Breathing pattern disorders and functional movement. Int J Sports Phys Ther. 2014;9(1):28-39.
3. Poulsen MK, Thomsen LP, Mifsud NL, Nielsen NP, Jørgensen RM, Kjærgaard S, Karbing DS. Electrical activity of the diaphragm during progressive cycling exercise in endurance-trained men. Respir Physiol Neurobiol. 2015; 205:77-83.
4. Guenette JA, Romer LM, Querido JS, Chua R, Eves ND,Road JD, McKenzie DC, Sheel AW. Sex differences in exercise-induced diaphragmatic fatigue in endurancetrained athletes. J Appl Physiol (1985). 2010; 109(1):35-46.
5. Sarro KJ, Silvatti AP, Barros RM. Coordination between ribs motion and thoracoabdominal volumes in swimmers during respiratory maneuvers. J Sports Sci Med. 2008; 7(2):195-200.

Pubblicato in Performance n. 2 - 2019
Mercoledì, 28 August 2019 12:00

ORIZZONTI POSTURALI - Cicatrici & postura

“LA FERITA RISANA, LA CICATRICE RESTA” (cit. Lucio Anneo Seneca)

Partiamo da questa prima provocatoria affermazione, per comprendere che le” offese” al nostro Corpo lasciano nel tempo esiti indelebili, che neanche il tempo può completamente occultare, anzi…. come nel perdurare processo di guarigione della nostra pelle da qualsiasi evento portatore di discontinuità tegumentaria, la ferita nasconde un adattamento di carattere posturale che ruota sull’emozione a se’ riferita e al nuovo condizionamento adattivo sul tessuto fasciale.

Approfondiamo tale argomento analizzando le nuove considerazione di fascia come:

“La pelle è classificata nell'epidermide, nel derma e nel tessuto sottocutaneo ed è considerata un sistema di difesa biologica e un organo sensoriale. Il tessuto sottocutaneo, che avvolge la muscolatura generale ad eccezione dei muscoli cutanei, provvede al passaggio di nervi cutanei, vasi sanguigni e vasi linfatici e svolge un ruolo nel collegare il derma e fascia dei muscoli. Nel campo della riabilitazione e dello sport, la pelle ha recentemente acquisito importanza come membro del sistema locomotorio che assiste i movimenti muscolari. Alcuni ricercatori hanno riferito che il tessuto sottocutaneo si muove rispetto alla fascia del muscolo".
(Anatomical structure of the subcutaneous tissue on the anterior surface of human thigh By Teruki ISHIDA1, Kyoko TAKEUCHI2, Shogo HAYASHI1, Shinichi KAWATA1, Naoyuki HATAYAMA1, Ning QU1, Masakazu SHIBATA3, and Masahiro ITOH1)

Vi sono evidenze sulla naturale connessione del movimento a questo organo cosi affascinante, Nash et al. hanno dimostrato, istologicamente, l’esistenza di un “skin ligament” tra la pelle e la fascia muscolare che sono estensibilmente presenti nella faccia, mano, piedi, e nella zona toracica alta (zona pettorale).

Secondo Nagai, lo stress dei muscoli aumenta per indurre ipertonia, con conseguente comparsa di sensazioni di dolore. Un dispositivo di imaging ad ultrasuoni è utile per la visualizzazione semplice e la determinazione non invasiva della struttura della superficie corporea. L’osservazione anatomica in un cadavere, con imaging ad ultrasuoni e dissezione aperta, ha rivelato che il tessuto sottocutaneo comprendeva diversi strati a livelli prossimali nella coscia. Questi strati facilitano la visualizzazione dei siti di connessioni fasciali, che possono rivelarsi strettamente legate “inter-linliking system” tra il tessuto sottocutaneo e la fascia lata. Se i risultati ottenuti nei cadaveri sono coerenti con l'anatomia nel corpo vivente, l'imaging ad ultrasuoni potrebbe eventualmente essere utile per la valutazione di un paziente che ha dolore alla mobilità di diversi distretti corporei.
“Nagai S: Clinical condition kinematics of hip joint and physical therapy. (Kokansetsu no byoutai-undogaku to rigakuryoho I). J Phys Ther 2007; 24:362–374 (in Japanese).”

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Foto 1. Connessioni strettamente legate. La connessione strettamente legata (asterisco) tra il tessuto sottocutaneo (ST) e la fascia lata (FL) a livello del retto femorale. Le frecce indicano i siti dove le fibre del tessuto connettivo con i nervi emergono in molteplici direzioni verso il derma. Queste strutture sono state osservate su ecografia (Fig. 2D; freccia). Barra della scala: 1 cm

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Foto 2. Tessuto sottocutaneo multistrato e neuronale cutaneo reti del nervo femorale sotto il derma. nervi cutanei (asterischi) emergono dal tunnel (frecce nere) tra gli strati del tessuto sottocutaneo. Contemporaneamente si ramificano, sono anastomizzati (frecce rosse) verso altri rami cutanei nervosi, formando una rete di nervi cutanei. Inoltre, c'erano siti in cui le fibre del tessuto connettivo con i nervi emerse in più direzioni verso il derma. IL: inguinale legamento, HS: iato safeno. TM: trocantere maggiore, NCFL: nervo cutaneo femorale laterale, NFrC: nervo femorale rami cutanei.

Il presente studio ha rivelato i seguenti risultati: il tessuto sottocutaneo della coscia mostra una struttura comprendente più strati, il numero di questi strati diminuisce avanzando distalmente, la presenza di nervi in ogni strato sono, infine, distribuiti nell'epidermide e nel derma e il tessuto connettivo. La presenza nel compartimento “coscia” di diversi fasci di fibre connettive simili a legamenti della pelle, che potrebbero costituire un elemento di limitazione motoria tra il tessuto sottocutaneo e fascia lata , quest’ultima comprende anche fibre nervose cutanee. L'importante distinzione del presente studio comporta un focus sulla struttura morfologica del tessuto sottocutaneo, che potrebbe fornire dati che sono particolarmente utili nel campo dello sport / riabilitazione.

Tale analisi è fondamentale nel migliorare la comprensione sulle Cicatrici e le disfunzioni posturali connesse. La lesione cicatriziale che evidenzia la discontinuità della pelle, manifesta interferenze che partono dal tessuto cutaneo ma si addentrano nella profondità anatomica del nostro corpo. Partiamo dalla constatazione che la nostra pelle è l’organo più esteso 1,8 m2, e ci mette in contatto con le molte informazione che provengono dall’ambiente esterno, le sue funzioni:
• Protettiva
• Sensoriale
• Escretrice
• Nutritizia
• Termo-regolativa
• Ormonale (vitamina D, neuro peptidi cioè messaggeri chimici che modulano molecole complesse legate a molte attività del nostro sistema endocrino e non solo)
• Riconoscimento individuale (ferormoni di allarme e di attrazione sessuale)

Possiamo ora comprendere meglio come la perdita di integrità tissutale nella cicatrice invii messaggi di stress al sistema nervoso simpatico, tramite segnali elettrici, ma anche sostanze chimiche, metaboliche e immunitarie. Questa trasmissione di segnali avviene in maniera afferente ed efferente, indipendentemente dalla funzione del nervo. Esempio una problematica della cute in una particolare area del nostro corpo invierà informazioni di tipo biochimico-metabolico, a livello midollare verso tutti i neuroni ed interneuroni midollari referenti dello stesso livello, creando un fenomeno stressogeno-irritativo ipsilaterale o controlaterale.

La ricezione delle afferenze sensitive in area ipotalamica, termiche, nocicettive, meccanocettive che contribuiscono allo stimolo propriocettivo del controllo muscolare. Tali informazioni partecipano all’autoregolazione del sistema tonico posturale, evidenziato dal collegamento cervelletto-pelle. Tutte queste considerazioni per renderci consapevole della interdipendenza della pelle, in via afferente ed efferente, con tutto il corpo. Riflettiamo sull’attivazione delle ghiandole sudoripare alloggiate nel derma, e nelle ghiandole maggiori nell’ipoderma: sudore emozionale, sudore termo-regolativo. Il suo controllo avviene a più livelli SNC, a livello corticale la corteccia cingolata anteriore (CCA), che nella sua porzione dorsale riceve informazioni sensoriali visive e le rimanda al Tronco e Encefalico per il rapporto tra movimenti occhi e movimenti della testa. L’area ventrale CCA, riceve informazioni sensitive della porzione viscerale e le rimanda al TE, interessante il fatto che è stato dimostrato che l’evocazione di certe immagini attivano la risposta elettrica del sistema simpatico della cute. Recentemente è stato ulteriormente dimostrato che non solo la tipologia dello stimolo e la sua frequenza sono segnali interconnessi cute-snc ma anche lo schema dello stimolo che diversifica strategie di attivazione.

Veniamo al dunque, tutta questa prosopopea, per aiutare a comprendere il nostro corpo, e come nel nostro corpo tutto è non delineatamente chiaro, ma anzi si diverte nel seminare confusione, ed è forse questo l’aspetto che ci affascina, ovvero non saperne mai abbastanza: siamo in continuo upgrade!


CONOSCIAMO LE CICATRICI

La cicatrice è un tessuto fibroso che si forma per riparare una lesione patologica o traumatica, se i processi riparativi, neuro infiammazioni locali, vengono perturbati si avrà una riparazione cicatriziale non fisiologica creando cicatrici ipertrofiche e cheloidi.

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Foto 3. Cicatrice ipertrofica: rossa, irritabile, cianotica, pruriginosa, sbianca alla pressione, non un sito di sviluppo specifico, frequente spontanea regressione, presenza di noduli in profondità o a metà della ferita

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Foto 4. Cicatrice cheloide: lunga evoluzione, invade tessuti circostanti; sedi preferenziali(schiena, anche sterno, spalle, area scapolare, sovrapubica) prevalenza nelle pelli scure, no spontanea regressione perché ’strutturata nel tempo, assenza di noduli, può essere dolorosa al trattamento

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Foto 5. Cicatrice atrofica esiti post acne o post chirurgica, depressione cutanea

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Foto 6. Striae rubrae distensae, si ritrova in donna in gravidanza o adolescenti con abuso di farmaci steroidei e nei soggetti obesi.


SINTOMATOLOGIE COLLEGATE ALLE CICATRICI

Coerentemente a quanto esposto sulla pelle, la presenza delle cicatrici fisiologiche e non fisiologiche porterà comunque un invio di segnali costanti afferenti ed efferenti. La problematica nascerà dal sovrapporsi di segnali da aree disfunzionali e patologiche che altereranno la risposta di ritorno verso il SNC. Occorre sempre controllare le cicatrici anche in apparente condizioni di normalità (Raju S, 2012)


CATENE LESIONALI IPOTIZZABILI

La riduzione di mobilità articolare post operazione chirurgica o un’ustione alla caviglia (Grishkevich VM 2012), può riscontrare problematiche di scorrimento fasciale che interesseranno non solo la cicatrice-ferita ma anche tutti i tessuti coinvolti (Bordoni e Zanier 2014). Alterazioni efferenti di controllo posturali, coinvolgeranno la catena cinetica caviglia-ginocchio-anca, che a volte può interessare l’intrappolamento compartimentale della loggia o parte della loggia supero-laterale della gamba, nervo peroniero comune (Bordoni e Zanier 2014).

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Foto 6-7. Questa è quella che mi piace più di tutte, una cicatrice alla caviglia può generare un problema del sistema trigeminale connesso al tratto di Lissauer o fascicolo dorso laterale (Area quadrangolare di sostanza bianca del midollo spinale, situata dietro la testa del corno posteriore, tra questa e la superficie esterna del midollo. Corrisponde al punto di ingresso nel midollo delle radici posteriori dei nervi spinali, che conducono le informazioni sensoriali dall’apparato muscoloscheletrico e dai visceri). Le fibre si biforcano a T, in un ramo ascendente e uno discendente, formando il tratto di Lissauer, che costituisce una via afferente delle sensazioni dolorifiche (Bordoni Zanier 2013). Il sistema trigeminale a sua volta invierà tali informazioni-segnali alla regione preottica ipotalamica, creando un circolo vizioso con il sistema simpatico e la cicatrice e l’area ad essa coinvolta.


CATENA LESIONALE POST CHIRURGICA (LOMBARE E ADDOMINALE)

La cicatrice periradicolare ed epidurale può provocare decadimento nutritivo dovuto al non corretto scivolamento delle fasce nella zona lesionata post intervento. Ragioniamo sul collegamento core link tra dura madre spinale (esiste anche quella encefalica, porzione di rivestimento più interno meningeo in collegamento con componente ossea):

1) dura madre cranica o encefalica- foro magno-occipite –c2-per arrivare a s2, area estesa del nostro corpo con interessamento lungo il suo percorso delle aree sensibilizzate o disfunzionali.

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Foto 8.

2) collegamento con legamento nucale (una membrana fibrosa che, nel collo rappresenta il legamento sopraspinoso delle vertebre più in basso). Esso si estende dalla protuberanza occipitale esterna e dalla linea nucale media fino al processo spinoso della settima vertebra cervicale. Dalla sua parte anteriore viene fuori una lamina fibrosa, che si attacca al tubercolo posteriore dell'atlante e al processo spinoso delle vertebre cervicali, e forma un setto che la separa dai muscoli dell'altra parte del collo.

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Foto 9-10.

3) C2-area suboccipitale—ganglio spinale trigeminale- e nervo trasverso cervicale con probabile interessamento della mobilità della spalla, o dolore trigeminale al viso in una delle sue tre branche, o all’articolazione temporo-mandibolare, cosi come problematiche cervicali.

4) fascia toraco-lombare (LIFT) Lumbar Interfascial Triangle: area muscolare, come vedete dalla foto sotto, coinvolge moltissimi gruppi toraco-appendicolari e spino appendicolari, coinvolge l’arto inferiore, ampio scenario disfunzionale.

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Foto 11.

FTL (Fascia Toraco Lombare)

Foglietto posteriore o superficiale riveste il muscolo erettore della colonna, si rapporta:
• Superiormente con la fascia nucale;
• Medialmente si inserisce ai processi trasversi delle vertebre toraciche e lombari e sulla cresta sacrale media;
• Lateralmente si inserisce agli angoli costali, alla dodicesima costa e a livello della cresta iliaca si fonde con la lamina anteriore;
• Inferiormente si inserisce al labbro esterno della cresta iliaca.

Lamina anteriore della fascia toraco-lombare
Il foglietto anteriore o profonda è limitata alla regione lombare ed è posta tra il muscolo erettore della colonna all’esterno e i muscoli quadrato dei lombi e ileopsoas all’interno:
• Superiormente si fissa alla dodicesima costa;
• Medialmente si inserisce ai processi costiformi delle vertebre lombari da L1 a L4;
• Inferiormente si inserisce al labbro interno della cresta iliaca;
• Lateralmente si fonde con la lamina posteriore.


CATENA LESIONALE POST CHIRURGICA (ADDOMINALE)

La zona addominale è sede di aderenze cicatriziali, post trauma o post chirurgia, esempio viscerale. La percentuale si aggira al 100% di riscontro (Bruggmann, Tchartchian, Wallwiener 2010), (Hedley 2010),(Bove, Chapelle 2012). La via disfunzionale ipotizzata tra componente viscerale-SNC:

1) afferenze viscerali-Corno dorsale midollare pertinente-tratto spinotalamico arriva ai centri superiori. Il tratto spinotalamico trasmette informazioni sensoriali sulle sensazioni affettive. Queste sensazioni sono accompagnate da una costrizione ad agire. Ad esempio, il prurito è accompagnato dal bisogno di grattarsi, mentre uno stimolo doloroso ci spinge ad allontanarci dalla fonte del dolore.

Sono stati identificati due sottosistemi:
• Diretto (per la percezione diretta e cosciente del dolore)
• Indiretto (per l'impatto emotivo ed eccitatorio derivato dal dolore). Le proiezioni indirette comprendono:
o Fascio Spino-Reticolo-talamo-corticale (che fa parte del sistema di eccitazione ascendente reticolare)
o Fascio Spino-mesencefalico-limbico (per l'impatto emotivo derivato dal dolore).

A questo punto l’elaborazioni di tale informazioni scende in via efferente, impiegando le vie simpatiche, come il Ganglio celiaco- G.Mesenterico superiore- G.mesenterico inferiore-Ganglio sacrale. I sintomi, secondo alcuni studi, coinvolgono: meteorismo, dolori intestinali, dolori addominali cronici, disordini digestivi, e ostruzioni intestinali (Bruggmann 2010).

Una cicatrice post parto cesareo potrebbe condurre ad infertilità, dispareunia, dismenorrea, endometriosi (Morris 1995; Marsden;Wilson 2013; Biswas, Gupta, Magon 2012).

Per ultimo, ipotizzabile la via disfunzionale del N. Vago, Ha componente parasimpatica, controlla tutta la muscolatura liscia non controllata dai nervi oculomotore, faciale e glossofaringeo e dai nervi spinali, che controllano solo alcuni visceri (ad esempio l'ultimo tratto dell'intestino). In particolare innerva sia l'intestino che lo stomaco.

Il nervo vago fornisce fibre parasimpatiche a tutti gli organi, fatta eccezione per le ghiandole surrenali, dal collo secondo segmento della colonna vertebrale. Il vago controlla anche alcuni muscoli scheletrici:
• l'elevatore del velo palatino;
• il salpingofaringeo;
• il palatoglosso;
• il palatofaringeo;
• i muscoli costrittori faringei superiore, medio e inferiore;
• i muscoli della laringe.
• i muscoli dell'esofago prossimale

Questo significa che il nervo vago è responsabile della frequenza cardiaca, della peristalsi gastrointestinale, della sudorazione e di alcuni movimenti della bocca, inclusi i muscoli del parlato e della respirazione (tenendo aperta la laringe). Riceve inoltre sensazioni dall'orecchio esterno (attraverso il nervo di Alderman) e parte delle meningi.

Questo interlink potrebbe causare mal di testa, collegamento con sistema trigeminale, problemi ottici, dolori masticatori.

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Foto 12.

La lettura delle cicatrici porta con sé quadri sintomatici dei più variegati ed ipotizzabili, come appassionati del settore Posturale non possiamo però dimenticare l’impatto emotivo-psicologico della ferita-cicatrice, e anche se l’approccio razionale scientifico è carente di modelli di analisi, non dobbiamo pensare che il rispetto verso emozione-trauma sia sbagliato solo perché’ non confermato da letteratura scientifica. Il buon senso esperienziale ci porta a una rilevanza clinica soggettiva che mette in luce la necessità di una valutazione del dolore in un modello biopsicosociale più ampio, in parole più semplici vi sono fattori che intervengono, a livello delle cicatrici-ferite, come associazione dolore-trauma, ansia e depressione post chirurgica e o traumatica, livello di educazione del soggetto che contribuiscono, per esempio, alla cronicizzazione del dolore stesso(Rosenblom 2013; Strulov,Zimmer 2007 dolore post cesareo).

Trovo che l’analisi del particolare, faccia sempre la differenza…e voi?

Per chi ancora non è partito per il meritato relax ma è in procinto di volarsene via (come il sottoscritto) …ancora Buone ferie… per chi c’è già, un buon proseguimento!


Bibliografia
1) Committee on Japan Anatomical Terminology; Termiologia Anatomica Japonica. Igaku-Shoin, Tokyo, 2007; 513pp
2) Kopsh FR; Integumentum Commune s. Cutis: in Rauber- Kopsh Lehrbuch und Atlas der Anatomie des Menschen. BandII. Georg Thieme Verlag Stuttgart, 1955; 680–731 (in German)
3) Bloom W, Fawcett, DW; Skin. In: A textbook of histology 10th ed. W B Saunders Company, Phyladelphia, 1975; 563–597
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5) Wendell-Smith CP: Fascia: an illustrative problem in international terminology. Surg Radiol Anat 1997; 19:273–277
6) Markman B, Barton FE Jr: Anatomy of the subcutaneous tissue of the trunk and lower extremity. Plast Reconstr Surg 1987;80:284–54  

 


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*Osteopata DOMROI, Docente FIF settore Postura, Laurea in Scienze Motorie, Specializzato in Scienze e Tecnica dello Sport 


VALUTIAMO COME LA BASE ONTOGENETICA DELL'ANATOMIA UMANA POSSA AIUTARE SPECIFICI DISORDINI FUNZIONALI

L’Argomento di oggi è sempre stato per me di grande interesse nello studio in ambito posturale; il tutto è scaturito dalle problematiche occlusive di mio nipote che tendeva sempre ad irrigidirsi con frequenza sul tratto cervicale. L’approfondimento di tale problema, all’inizio dei miei studi osteopatici, mi portò ad approfondire l'embriologia e a valutare come la base ontogenetica dell’anatomia umana possa aiutare la lettura di tali disordini funzionali.

Premessa embriologica
La lingua caratterizzata dalla funzioni primarie del linguaggio, e non solo, si sviluppa embriologicamente con la presenza degli archi branchiali già alla 4° settimana.
Mentre l’embrione (circa di 7mm) si ripiega in avanti l’intestino cefalico si incurva, il tetto della cavità orale si assottiglia, il pavimento si ispessisce, dando vita alla prima forma epiteliale della lingua, mentre tutto il precursore della lingua si allunga longitudinalmente nella fase dell’accrescimento. Successivamente con la crescita della testa si avrà uno sviluppo anche trasversale della lingua, dando vita ad uno stiramento tridimensionale della lingua con la presenza di cellule dalla struttura reticolare, base dello sviluppo muscolare interno della lingua. Dobbiamo sottolineare come la muscolatura della lingua risulti particolarmente innervata già in fase molto precoce, collegandosi in maniera intima con il centro funzionale del nostro cervello. Il fatto che la lingua , nell’organizzazione complessa della sua muscolatura, coordini un quantitativo così diversificato di attività comandate dal cervello, rappresenta un punto fondamentale della cerebralizzazione umana.
Tale strutturalizzazione embriologica consta di un tessuto connettivale e vascolare derivante dalle creste neurali delle cellule mesenchimali, mentre la maggior parte dei muscoli che costituiscono e coordinano la lingua derivano dai somiti occipitali del mesoderma. Ad oggi possiamo comprendere come interagisca una stretta correlazione tra muscoli sub occipitali, lingua, e osso ioide.

Fasi di sviluppo ontogenetico

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Fase di sviluppo embrionale 3°-4° settimana

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CONSIDERAZIONI ANATOMICO FUNZIONALI

Muscoli estrinseci
Muscolo genioglosso è il più voluminoso degli estrinseci. Origina dalla spina mentale e si porta, distribuendosi a ventaglio, all’apice della lingua con i suoi fasci superiori, al dorso linguale con i suoi fasci medi, al margine superiore dell’osso ioide con i suoi fasci inferiori. Con i fasci anteriori abbassa e retrae l’apice linguale, con i fasci medi protrude l’intera lingua, con i fasci inferiori sposta in avanti l’osso ioide. Il muscolo ioglosso ha una forma quadrilatera e prende origine dal margine superiore del corpo dell’osso ioide. Ha un decorso ascendente e si porta al margine laterale della lingua, qui le sue fibre muscolari si dividono in anteriori, che si portano all’apice linguale, medie, che si dirigono in avanti e si portano al setto linguale, posteriori, che hanno una direzione trasversale e si portano al setto linguale. La sua contrazione porta la lingua in dietro e in basso.
Il muscolo stiloglosso origina dal processo stiloideo. Ha una forma fusiforme, si porta anteriormente e medialmente. In prossimità del muscolo ioglosso, si divide in due porzioni, una interna e una esterna. L’interna si inserisce al setto linguale, l’esterna si porta all’apice linguale e si inserisce anch’essa al setto linguale. La sua contrazione sposta la lingua superiormente e dorsalmente.
Il muscolo condroglosso origina dal piccolo corno dell’osso ioide, si porta in alto e anteriormente fino ad arrivare all’estremità posteriore del margine laterale della lingua. Qui i suoi fasci si inseriscono al muscolo longitudinale inferiore. La sua contrazione porta la lingua in basso e in dietro.
Il muscolo amigdaloglosso origina dall’aponeurosi faringea. È un muscolo sottile. Ha una direzione verticale fino alla base della lingua. Qui le sue fibre prendono una direzione trasversale incrociandosi con le fibre controlaterali. La sua azione appiattisce la base linguale sul velo palatino.
Il muscolo palatoglosso insieme al muscolo palato faringeo, restringe istmo delle fauci e solleva la lingua durante la deglutizione.

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Muscoli intrinseci
Il muscolo longitudinale superiore è rappresentato da una lamina impari composta da differenti fasci a direzione sagittale. Tali fasci hanno origine ed inserzione alla lamina propria della mucosa linguale. La loro contrazione provoca un accorciamento della lingua.
Il muscolo longitudinale inferiore origina dalla lamina propria della base linguale. Esso è un muscolo pari che si porta alla faccia inferiore del corpo della lingua. La sua contrazione provoca l’accorciamento della lingua con trazione dell’apice linguale verso il basso e il dietro.
Il muscolo trasverso è interposto tra il longitudinale superiore ed il longitudinale inferiore. I suoi fasci hanno un decorso trasversale e origina dalle due facce del setto linguale e terminano fissandosi alla muscosa dei margini laterali della lingua stessa. La sua contrazione provoca un accorciamento trasversale della lingua accentuandone la convessità dorsale.
Il muscolo verticale origina dalla faccia profonda della lamina propria del dorso della lingua e si inserisce alla sottomucosa della faccia linguale inferiore. La sua contrazione appiattisce la lingua.
Il muscolo palatoglosso partecipa alla costituzione dell’arco glossopalatino. Origina dall’aponeurosi palatina, raggiunge l’estremità posteriore del margine laterale della lingua. Qui i suoi fasci divergono trasversalmente per inserirsi al setto linguale. Esso è il costrittore degli archi glossopalatini.

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CONSIDERAZIONI GENERALI
Molto spesso tendiamo a sottovalutare l’importanza sul nostro STP (sistema tonico posturale) della lingua che gioca un ruolo fondamentale in diverse funzioni del corpo come la deglutizione, la respirazione, la fonazione e masticazione. Alla deglutizione è attribuita particolare importanza perché il suo manifestarsi avviene in maniera istintiva ed involontaria, mentre la fonazione, la masticazione e la posizione di riposo mandibolare sono attività neuromuscolari consapevolizzate secondariamente in relazione alla postura mandibolare, labiale, faringea. La sua azione non è limitata alla cavità orale, ma colpisce l'arto inferiore, la forza muscolare e globalmente la postura. La lingua è un organo che ha un meccanismo autocrino e paracrino, meccanismo d'azione per sintetizzare sostanze diverse per interagire con tutto il corpo; secondo una linea di pensiero è anche un'estensione del sistema enterico. Gli studi hanno dimostrato la rappresentazione altamente organizzata ed estesa della lingua a livelli multipli nel cervello (corteccia, mesencefalo, midollo allungato e sistema limbico), con la massima specificità e integrazione raggiunta a livello corticale, con una chiara organizzazione somatotopica . I cambiamenti neuroplastici nella corteccia dimostrano come il cervello ed il controllo dell'attività della lingua può essere modificato da stimoli ambientali: un miglioramento in funzioni si verifica in caso di stimoli fisiologici; invece, si verificano disordini funzionali con stimoli patologici. Questi stimoli sono dati dalla posizione della lingua all'interno della bocca. Le fibre nervose afferenti del sistema nervoso periferico inviano informazioni al sistema nervoso centrale e l'informazione è in grado di oscillare tra un emisfero e un altro, per garantire l'efficienza ottimale del movimento della lingua, la lingua stessa influenza il controllo neuromotorio dell'arto inferiore. Uno studio pilota ha mostrato un miglioramento significativo nelle prestazioni del ginocchio nell’estensione isocinetica con la lingua posizionata fino alla zona palatina, aumentando le prestazioni dei muscoli della coscia (attraverso l’uso di una macchina isocinetica), per circa + 30% rispetto alla posizione di riposo (durante entrambe le contrazioni di resistenza ed esercizio muscolare ad alta forza ).

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La posizione della lingua influenza tutto il corpo. Se la lingua è posizionata contro il palato, il sistema parasimpatico ridurrà la sua attività sistemica (ad esempio, battiti del cuore e ritmo respiratorio aumentare), ma se è posizionato contro il palato molle, il sistema simpatico ridurrà il suo attività. La posizione della lingua e la sua forza volontaria (o non volontaria) potrebbero variare il volume polmonare. Cambiamenti nella trazione tracheale a diversi volumi polmonari possono alterare il meccanica dei muscoli della lingua e la loro capacità di produrre forza di protrusione, e questi i cambiamenti nel volume polmonare alterano la tensione trasferita attraverso la trachea all'arco ioide.
Lo stiramento polmonare attiva i recettori pleurici che agiscono inibendo il motoneuroni ipoglosso / frenico. Si presume che quando una patologia cronica prende oltre, limitando l'espansione dei polmoni e diminuendo il volume dei polmoni, l'ipoglosso / frenico i motoneuroni sono meno inibiti, con conseguente riduzione del controllo della lingua. Movimenti della lingua, generalmente postero-laterale, attiva la corteccia cingolata anteriore (ACC), che svolge un ruolo importante ruolo nell'elaborazione sensoriale, motoria, cognitiva ed emotiva e nell'elaborazione del dolore; alcuni gli studi che utilizzano la magneto-encefalografia hanno mostrato che l'ACC spesso si occupa di viscerale sensazione. Il comportamento linguale ha un legame con l'amigdala, specialmente per l'apprendimento del gusto, rompere gli schemi motori durante la masticazione. L'amigdala ha molteplici funzioni regolazione dell'umore e delle emozioni. Secondo alcuni autori, la lingua rappresenta il porta d'accesso al sistema enterico, per la presenza di gangli specializzati sulla zona anteriore e area posteriore della lingua; agirebbe come una "spia" chimica, allertando il sistema enterico attraverso l'analisi chimica del cibo durante la masticazione. In questo modo, il sistema digestivo sarebbe già pronto, prima che il cibo arrivi nello stomaco e nell'intestino; la lingua modulerebbe le funzioni digestive.

AUTO ANALISI E VALUTAZIONE POSIZIONE LINGUALE
Cerchiamo di comprendere meglio il nostro funzionamento posizionale della lingua.

• Partiamo nel chiudere gli occhi per fare questo semplice test, ti risulterà più semplice portare l’attenzione sul punto in cui appoggia la lingua. Portiamo ora l’attenzione sulla lingua e ascoltiamo dove appoggia la punta della tua lingua all’interno della bocca. La senti che appoggia in alto, sul palato? Oppure la senti in basso, sul pavimento della bocca? Oppure la senti sospesa, senza alcun appoggio, tra il palato e il pavimento. Eseguilo ora questo test, è importante per comprendere quanto andrai a leggere in seguito. Fatto? Bene. A questo punto, dovete sapere che la lingua dovrebbe rimanere posizionata in un punto preciso all’interno della bocca. Porta ora la lingua sul palato. Avanza fino a sentire i denti incisivi superiori, ora da qui spostati un centimetro indietro: questo è esattamente il punto in cui dovrebbe appoggiarsi la lingua e si definisce SPOT LINGUALE. La lingua, su questo punto, non dovrebbe premere eccessivamente ma semplicemente appoggiarsi molto delicatamente, con una leggera pressione. Quando la lingua si posiziona correttamente in questo punto, avvengono tutta una serie di connessioni con il cervello. Non è casuale infatti che i bambini piccoli quando si succhiano il pollice, vanno a stimolare precisamente questo punto. Devi sapere, però, che la lingua non ha un comportamento costante, perché interagisce con varie aree di funzionalità che sinergicamente collaborano e si integrano. Questo sta a evidenziare che appena può sfugge da questo punto. Pensa ad esempio cosa succede in caso di mancanza anche di un solo dente (edentulazione parziale) esattamente, la lingua continuerebbe ad infilarsi nello spazio creatosi dal fatto che manca il dente. Questo continuo movimento anomalo della lingua, crea tutta una serie di tensioni muscolari che si ripercuotono sul collo, sulle spalle, sulla schiena fino ad arrivare addirittura ai piedi. Ogni ipo o iper funzionalità della lingua porta a compensazioni che coinvolgono il nostro allineamento posturale su tutti i livelli, considerando che deglutiamo:
• circa 150 volte durante i pasti nel corso delle 24 ore;
• spontaneamente una volta ogni 45 secondi durante la veglia;
• circa ogni 20 minuti durante il sonno. Un totale di più di 1000 volte durante le 24 ore

Tali movimenti della lingua si dividono in:
1) volontari (che tutti conosciamo);
2) ritmici; in cui sono volontari l’inizio e la fine del movimento. Quando decidiamo di mangiare, è volontaria la scelta del cibo, la sequenza dell’introduzione di cibo solido o di acqua. Sarebbe troppa fatica pensare a tutti i movimenti necessari alla masticazione (automatica).
3) involontari come i riflessi.

Dopo la masticazione la lingua spinge il bolo verso la parte posteriore del palato e contro la faringe. Questa cosa stimola i meccanocettori a livello del sistema nervoso centrale (SNC) in una zona denominata bulbo e da qui prendono il via una serie di neuroni che compongono una rete complessa che fa passare il bolo dall’esofago alla faringe. La deglutizione non dovrebbe coinvolgere i muscoli mimici della bocca, quando questi sono coinvolti si parla di deglutizione atipica.

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Esempio di deglutizione atipica con coinvolgimento muscoli facciali

Nella deglutizione atipica, la punta della lingua invece che appoggiarsi al palato nel cosiddetto “spot palatino” si posiziona dietro ai denti superiori od inferiori, altre volte addirittura tra le arcate dentali. i denti sono messi in una posizione determinata dal bilanciamento della spinta verso l’esterno della lingua e una verso l’interno dei muscoli buccinatori della guancia. se la lingua non si muove in maniera coordinata è spesso presente “palato stretto“, altre volte se la punta della lingua si pone dietro i denti superiori questi “si sventagliano anteriormente” (denti sventagliati) condizione detta di seconda classe dentale. quando la lingua spinge in maniera anomala i denti inferiori spesso c’è una situazione di terza classe solo dentale, ma spesso associata a crescita eccessiva della mandibola terza classe ossea.

Pensate che la spinta della lingua contro i denti può arrivare fino a 20 N e non tutti i soggetti con deglutizione atipica presentano malocclusione dentale, spesso è associata a disturbi cognitivi e/o alterazioni genetiche come la sindrome di Down.
L’analisi della lingua, all’interno del pavimento buccale porta constatazioni articolate in ambito posturale integrato al Movimento, questi sono alcuni spunti di partenza.
Oggi l’interesse ci porta a studi ed elaborazioni di funzionalità ben più complesse che si inseriscono in molti campi come l’apnea notturna ostruttiva che ha correlazioni con altre patologie metaboliche quali il diabete, oppure scompenso cardiaco, ipertensione, malattie polmonari e la più importante causa è la disfunzione della lingua e della sua attività elettrica alterata, cambiamento di forma, e alterazione attività muscolare.

Ricordiamoci come Tecnici ed Appassionati del Movimento che le sopradette considerazioni vanno sempre inglobate in una attenta valutazione di tutti gli altri “diaframmi” del nostro corpo, nella percezione e nella ricerca di un equilibrio che è in costante rielaborazione dall’interno verso l’esterno e dall’esterno verso l’interno, l’equilibrio delle parti nel tutto, l’equilibrio di tutto nelle parti. Vi aspetto con argomenti posturalmente appetibili, magari più piacevolmente accomodati sotto il cielo della vostra meritata Vacanza! Buon relax a tutti!!


BIBLIOGRAFIA
1. Valdés C, Astaburuaga F, Falace D, Ramirez V, Manns A. Effect of tongue position on masseter and temporalis electromyographic activity during swallowing and maximal voluntary clenching: a cross-sectional study. J Oral Rehabil. 2014; 41(12):881-9.
2. Murakami K, Hirano H, Watanabe Y, Edahiro A, Ohara Y, Yoshida H, Kim H, Takagi D, Hironaka S. Relationship between swallowing function and the skeletal muscle mass of older adults requiring long-term care. Geriatr Gerontol Int. 2015; 15(10):1185-92.
3. Butler SG, Lintzenich CR, Leng X, Stuart A, Feng X, Carr JJ, Kritchevsky SB. Tongue adiposity and strength in healthy older adults. Laryngoscope. 2012;122(7):1600-4.
4. Niethamer L, Myers R. Manual Therapy and Exercise for a Patient With Neck-Tongue Syndrome: A Case Report. J Orthop Sports Phys Ther2016;46(3):217-  

 


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