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Mercoledì, 25 March 2020 12:00

ORIZZONTI POSTURALI - I neuroni specchio e le importanti implicazioni nella didattica dell'educazione posturale e non solo!

Scritto da Viviana Fabozzi
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LE SCIENZE MOTORIE DETTANO LE PRINCIPALI INDICAZIONI DA ATTUARE DURANTE LA DIMOSTRAZIONE DELLA “TECNICA DA IMITARE”

I neuroni specchio sono un argomento in cui non c'è nulla di banale; se ne sono infatti occupati la Piscologia, la Fisioterapia Riabilitativa, dagli esperti di Autismo, andandosi addirittura a fondersi con tematiche importanti come l'empatia.
È fondamentale addentrarsi nella conoscenza delle sue leggi e dei suoi complessi meccanismi per riuscire ad apprezzarne l'efficacia sull'apprendimento motorio attraverso una didattica mirata.
I neuroni specchio sono “un ciuffo” di neuroni motori scoperti all’inizio degli anni novanta del secolo scorso che consentono al nostro cervello di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne “il significato”.
Da questa definizione si evince che il nostro sistema motorio non è più da considerarsi un mero esecutore passivo degli impulsi provenienti dagli organi di senso, quanto semmai un sistema adibito alla comprensione degli atti altrui, includendo la possibilità di codificare tipo, modi, tempi di realizzazione e anche l'esecuzione di un'azione. I neuroni specchio consentono quindi di capire la dinamica intenzionale del gesto, anticipando l'esito cui corrispondono i movimenti iniziali del soggetto osservato. Fondamentale per il riconoscimento dell'intenzione è il contesto in cui l'azione avviene. Il Focus del nostro articolo è l'apprendimento via imitazione, attraverso il quale l'allievo ha dunque la possibilità di imitare agevolmente nel momento stesso in cui il gesto da imitare fa parte del suo patrimonio motorio. E' importante dunque che le proposte tecniche di noi Istruttori /Educatori debbano tenere in considerazione questo fattore. E' di fondamentale importanza, per un apprendimento più rapido ed efficace, che i nostri allievi possiedano schemi motori di base già "strutturati", cioè esperiti quanto basta; tale importanza risiede nel fatto che più esperienze motorie sono state fatte, più a queste esperienze motorie si possono legare i nostri insegnamenti, anche specifici della disciplina, che diventano imitabili tanto più l'allievo ne riconosce il senso attraverso un rispecchiamento che avviene al suo interno, che però avviene agevolmente nella misura in cui ciò che viene osservato è in parte conosciuto, in parte dunque esperito, insomma familiare.

A tal fine le Scienze Motorie raccomandano di insistere sin dalla giovane età sulla cosiddetta multidisciplinarietà, vale a dire esercizi, “giochi” non sempre direttamente inerenti l'attività specifica, proprio per fornire agli allievi tutte quegli schemi motori di base ai quali se ne legheranno altri e sui quali costruire in un secondo momento le tecniche specifiche della disciplina.

L'imitazione è la possibilità di apprendere via imitazione ed è data dunque da un rivivere all'interno di noi stessi ciò che stiamo osservando, e questo può avvenire se c'è un patrimonio motorio, almeno in parte, condiviso; ne risulta chiaramente che in vero non si insegna mai qualcosa di completamente nuovo! In età scolare, in pochi eccezionali casi, si potrebbe incorre, in qualità di educatori al movimento, in qualche allievo che capisce e replica con spiccata immediatezza; si tratta di soggetti per i quali esiste la possibilità di apprendere per intuizione, per insight, una caratteristica che non può essere considerata la regola e che implica caratteristiche e meccanismi psicofisici poco comuni, spesso legati ad un patrimonio genetico peculiare di quella persona. Premesso ciò, è importante considerare che non sempre è opportuno ed efficace chiedere ad un allievo di imitare una tecnica: in quel momento potrebbe non essere in grado di riprodurla, né dal punto di vista motorio, né da quello attentivo, specialmente se quella tecnica non rispecchia il suo patrimonio motorio. I neuroni specchio, come già detto, ci danno la possibilità di codificare le intenzioni, e anche il risultato di un'azione, poiché, più che meri gesti staccati da un contesto specifico, i neuroni specchio codificano azioni.

scimmia

A tale scopo le Scienze Motorie hanno stabilito alcune importanti indicazioni inerenti il momento in cui viene mostrata una tecnica da imitare:
1) Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in submovimenti
2) Farla vedere alla "giusta" velocità, né troppo lentamente, né troppo velocemente
3) Far vedere la tecnica dalla "giusta" angolazione, cioè dalla prospettiva dalla quale poi l'allievo la dovrà ripetere
4) Dichiarare che quella tecnica andrà imitata, evidenziando l'obiettivo da raggiungere
5) Cosa avviene nell'insegnamento di un movimento "nuovo", che cioè non fa parte del repertorio motorio dell'allievo
6) La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
7) Come agisce il sistema specchio sull'insegnante
8) Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti
9) Lo spazio peripersonale (SPI – Spazio Personale Immediato)
10) I metodi deduttivi e i metodi induttivi
11) Empatia e apprendimento

Analizziamo ogni singolo punto nel dettaglio al fine di creare la migliore strategia comunicativa didattica per un facile ed efficace apprendimento dei nostri allievi.


1- Far vedere da subito la tecnica per intero senza frammentarla in submovimenti
"I neuroni specchio sono interessati più all'obiettivo che al dettaglio"

I neuroni specchio codificano sempre “azioni” e una delle caratteristiche più stupefacenti è la loro capacità di discernere il tipo di azione osservata in riferimento allo scopo, ovvero di codificare le “intenzioni”. Mostrare quindi l'azione per intero dovrebbe aiutare a capire il senso dell'azione, cioà a comprendere l'intenzione di chi mostra l'azione ed infine di prevederne il risultato finale. Un ulteriore aiuto a comprendere le intenzioni dell'esecutore può essere il mostrare l'azione in un contesto generale più ampio. Posso mostrare dunque la tecnica per esempio in un contesto di postural training chiedendo solo di osservare, senza pretendere l'imitazione, ma con il solo scopo ottenere che in questa fase l'allievo si crei una prima immagine del movimento e ne comprenda il senso, il fine, lo scopo. Quando mostreremo la tecnica al fine di riprodurla la mostreremo da fermi, evidenziando pochi input salienti e cercando di portare a focalizzare l'attenzione degli allievi su di essi. Una delle evidenze sperimentali sui neuroni specchio ha mostrato che ogni neurone risponde ad un’intera azione e non a parti della stessa, questo lascia intendere che vi sia una naturale predisposizione ad apprendere unità di senso. Charles Edward Beevor (1854-1908) neurologo e anatomista inglese, oltre a svariate scoperte, coniò il cosiddetto "Assioma di Beevor" secondo cui il cervello non conosce il singolo muscolo e la sua azione, ma il movimento in generale. Ciò non implica che gli esercizi più analitici non debbano andare bene, ma semmai che vengano proposti successivamente, e soprattutto che ne venga via via chiarito il senso e lo scopo, così che l'allievo possa sempre ricollegare l'esercizio alla tecnica completa, cioè ad un'unità di senso compiuto. La corretta giustapposizione delle azioni di base può avvenire solo nell’ambito dell’esecuzione di un’azione complessa.


2- Dimostrare il gesto con la giusta velocità

Mostrare la tecnica alla giusta velocità, quindi né troppo lentamente né troppo velocemente è un ulteriore accorgimento per indurre una giusta percezione nell'allievo, in quanto, se la tecnica è mostrata troppo velocemente l'allievo può non fare in tempo a registrare l'immagine correttamente, lo stesso dicasi di un'esecuzione troppo lenta, che sfalsa la dimostrazione rispetto alla reale immagine che se ne intende dare.


3- Dimostrare il gesto dalla giusta angolazione

Far vedere la tecnica dalla "giusta" angolazione, vale a dire nella prospettiva dalla quale poi l'allievo la dovrà ripetere. Se l'Insegnante si pone frontalmente rispetto agli allievi, questi la ripeteranno dalla parte opposta, cioè in maniera speculare. E' dunque opportuno collocarsi dalla stessa angolazione dell'allievo, oppure far collocare gli allievi nella maniera giusta. Jakson, Meltzoff e Decety (2006), tre ricercatori impegnati da molto tempo nello studio dell’imitazione, da risultati di esperimenti hanno verificato inequivocabilmente che la prospettiva in prima persona è quella che determina la performance migliore, confermando così l’importanza della prospettiva nell’apprendimento motorio.


4- Dichiarare che la tecnica andrà imitata e non solamente osservata, evidenziando l'obiettivo da raggiungere

scudo

È stato sperimentato, attraverso movimenti sconosciuti al patrimonio motorio degli sperimenattori, che sapendo preventivamente che dovrò cercare di riprodurre quanto visto, l'attenzione si attiverà maggiormente rispetto a quanto si possa attivare durante la semplice osservazione di un atto, senza quindi avere la preoccupazione di replicarlo. Ne scaturisce che direzionando il focus attentivo su punti essenziali alla comprensione dell'azione, il sistema specchio viene maggiormente attivato, ma vengono implicati anche processi cognitivi di alto livello attivati dal sistema specchio che portano ad una memorizzazione più stabile della stessa azione. La conseguenza pratica è che l’esperienza motoria deve essere “significativa”, ovvero che il “senso”, quindi l’obiettivo, che l’azione persegue deve essere esposto chiaramente.


5- Consapevolizzare cosa avviene nell'insegnamento di un movimento "nuovo", che cioè non fa parte del repertorio motorio dell'allievo

Il sistema specchio si può attivare anche in presenza di movimenti estranei al nostro patrimonio motorio, creando a livello neurologico una prima immagine, una prima traccia del movimento, ma come detto sopra, ciò implica un'attivazione di processi cognitivi e attentivi che l'allievo deve poter mettere in gioco. La possibilità o disponibilità che riesca a fare quel gesto dipende in parte dalla volontà o meno di farlo, ma soprattutto dal grado di maturazione neurofisiologica che si ha a disposizione in quel momento.

In pratica i neuroni specchio nell'osservazione di un atto motorio non presente nel nostro repertorio si attivano prima spezzettando in più frammenti l'atto osservato, poi ricomponendolo nella sequenza temporale adeguata. "Ogni frame corrisponde ad un movimento già immagazzinato, che sia transitivo o non, e tramite la collaborazione di altre aree frontali, tutti questi frammenti vengono riassemblati per permettere poi la riproduzione del gesto motorio, definendo un nuovo pattern (modello) motorio. Appare dunque evidente come i processi attentivi siano importantissimi durante la visione dell'atto motorio."

Risulta chiaro che in questa fase l'insegnante può influire nel saper direzionare l'attenzione degli allievi, può essere determinante nel sostenere la loro motivazione, ma può anche imbattersi nei limiti motori, attentivi, cognitivi degli allievi, attraverso i quali capire se proseguire su quella strada o magari cambiare direzione, aspettando momenti più favorevoli, agendo nel frattempo in altri modi.


6- La ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
“L'apprendimento di una disciplina motoria risiede nella memoria a lungo temine”

Se il sistema specchio è adibito all'imitazione, creando un'immagine, una traccia neurologica di quel movimento nel nostro cervello, il movimento andrà poi sgrezzato, raffinato e perfezionato attraverso le ripetizioni, vale a dire l'apprendimento per prove ed errori.

Questo tipo di apprendimento, richiede una maturità neurofisiologica da parte dell'allievo, il quale si dovrà adoperare ad eseguire “ripetizioni consapevoli” al fine di riuscire ad apprezzare le correzioni dell'insegnante o meglio ancora al fine di autocorreggersi e non incorrere, attraverso una pura ripetizione meccanica, nel fissare errori o vizi motori, abitudini motorie, che saranno poi molto difficili da correggere poiché la traccia neurale creatasi da queste ripetizioni sarà comunque molto forte, magari correggibile, ma con una certa difficoltà.

L'apprendimento dunque non è ascrivibile unicamente al sistema specchio, ma anche al lavoro per prove ed errori, quello che aiuta a passare dalla coordinazione grezza alla coordinazione fine.

Tuttavia risulta altrettanto evidente che sia l'apprendimento via imitazione che quello per prove ed errori hanno un'efficacia comprovata se gli allievi sono neurofisiologicamente maturi per questo tipo di metodi.

Da sottolineare infine il ruolo l'importante dell'Area 46 di Brodmann, in particolare due funzioni di quest'Area:
- una è quella legata alla "ricombinazione dei singoli atti motori e della definizione di un nuovo pattern d'azione, il più possibile corrispondente a quello esemplificato dal dimostratore";
- l'altra è quella di "supervisore" del sistema specchio, che cioè inibisce o facilita l'attivazione del sistema specchio.

L'area 46 di Brodmann è dunque una specie di organismo "esecutivo" del sistema specchio, che "decide" dunque quando questo debba entrare o meno in azione.


7- Valutare come agisce il sistema specchio sull'insegnante
“Anche l’istruttore non si limita ad osservare il gesto di un allievo, ma lo ripete internamente”

Quando analizziamo un gesto in condizioni di attenzione e sufficiente competenza, infatti, contestualmente “carichiamo” e “facciamo girare” sul nostro sistema motorio il programma del movimento esaminato. Grazie all’azione dei neuroni specchio il movimento osservato viene «provato» internamente in maniera automatica. Si comprende come l'Insegnante competente, alla vista di un movimento dell'allievo, abbia, grazie al suo sistema specchio la possibilità di processare l'intero movimento comparandolo con il proprio (cioè rivivendolo al proprio interno) e da ciò scorgere gli errori o le imperfezioni, cioè tutti quegli aspetti che differiscono dalla propria esecuzione, che si suppone sia quella corretta. A tal fine e' di fondamentale importanza che l'Insegnante abbia molto chiaro quel movimento se vorrà apportare le giuste correzioni al movimento dell'allievo.


8- Dare spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe, e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti

parole

"Ogni atto linguistico è un ATTO COMUNICATIVO, cioè portatore di significato, esattamente come gli ATTI MOTORI FINALIZZATI"
(Attilio Rossi )

Generalmente predomina l'aspetto visivo, dunque va posta la massima attenzione sul fatto che le istruzioni verbali devono essere coerenti con quanto mostrato, altrimenti gli allievi rifaranno quel che vedranno e non ciò che udiranno, anche se quello che vedono contiene un errore. Le indicazioni verbali secondo le Scienze motorie devono all'inizio essere poche e concentrate su pochi aspetti della tecnica, senza insistere sui particolari che verranno proposti ed affinati successivamente. La possibilità di condividere, che si tratti di un gesto motorio o una parola, o un rumore, quindi di rispecchiarsi in essi poiché evocativi di un piano motorio, continua ad essere alla base del funzionamento del sistema specchio. Tanto più quello che dico, e come lo dico, cioè il mio linguaggio, si avvicina a quello dei miei allievi, tanto più essi potranno comprenderne i contenuti, cioè condividerne il senso, il significato.
Pensiamo a come sia più facile carpire l'attenzione dei bambini se la nostra spiegazione si riferisce a giochi, ad animali, ad ambientazioni cioè a loro vicine, familiari, conosciute, piuttosto che se mi esprimo con un linguaggio tecnico, più asettico o semplicemente descrittivo del movimento. Questo ci suggerisce che anche le nostre istruzioni verbali si possano colorare di contenuti a loro vicini, condivisi, nei quali appunto si possano rispecchiare, ritrovare, con i quali ci sia un'assonanza. Anche i rumori e i suoni possono facilmente attivare il sistema specchio: da studi fatti nel basket, ad esempio, c'è un riconoscimento di ciò che sta avvenendo in base alla percezione del suono del pallone, di come rimbalza, del suono dell'afferramento e così via.

Inoltre è importante tener presente che il livello di comprensione di un bambino è differente rispetto a quello di un adulto: l'adulto può poggiare su un pensiero astratto, ipoteticodeduttivo, capace di compiere operazioni complesse, di astrarre appunto concetti e applicarli, il bambino si basa su un pensiero meno complesso delle operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. E' chiaro che noi Insegnanti dobbiamo operare una distinzione tra allievi adulti (comunque dall'adolescenza in poi) e bambini, adeguando ad essi il nostro linguaggio, le nostre spiegazioni verbali.


9- Lo spazio peripersonale

spazio

Lo spazio intorno a noi, sia quello più vicino, peripersonale, " a portata di mano", sia quello più lontano, cioè da raggiungere, assume significati diversi a seconda delle azioni che noi possiamo fare o pensare relativamente a questi spazi. Queste diverse percezioni di vicino e lontano possono variare a seconda delle possibilità d'azione che ho all'interno di questo spazio, rimodulando così il concetto di vicino e lontano, a seconda appunto dell'interazione con lo spazio e/o con gli oggetti in esso contenuto. La mia percezione ad esempio di una palla lontana cambierà al momento in cui la palla si avvicina.

La nostra possibilità di interagire con gli oggetti cambia la percezione dello spazio peripersonale ed extrapersonale, un pallone lontano, uno che si avvicina, uno vicinissimo, uno lanciato lentamente, uno lanciato velocemente... Perché lo spazio è anche qui, uno spazio di senso, è uno spazio che evoca azioni potenziali, è dunque uno spazio interpretato, a seconda delle nostre abilità motorie e a seconda della nostra disciplina di riferimento, o più semplicemente a seconda della nostra esperienza di vita.


10- I metodi deduttivi e i metodi induttivi

lente

Parliamo dei metodi didattici e della possibilità di ricezione degli stessi da parte degli allievi.
Si tratta del Metodo induttivo e del Metodo deduttivo

Per rispondere a questa esigenza di seguito presentiamo una prima tabella in cui sono riportate alcune tra le più comuni sintomatologie riferite dai pazienti/clienti all'osteopata per ognuna delle quali indichiamo, in modo naturalmente generico, le principali integrazioni di supporto tecnico del Personal Trainer. 


METODO INDUTTIVO METODO DEDUTTIVO
Della risoluzione dei compiti Prescrittivo-deduttivo
Della scoperta guidata Metodo misto
Della libera esplorazione Dell’assegnazione dei compiti
Sperimentazione - Osservazione - Comparazione
Astrazione - Generalizzazione
Spiegazione – Dimostrazione
Esecuzione - Correzione
Protagonista del processo di insegnamento
apprendimento è l’allievo/atleta
Protagonista del processo di insegnamento apprendimento
è l’istruttore/educatore
EDUCARE= TIRAR FUORI EDUCARE= METTERE DENTRO

Atteggiamento dell’allievo è attivo
molto aderente al principio della polivalenza:
coinvolgimento motorio emotivo-sociale-cognitivo-buono

Atteggiamento dell’allievo
è passivo
poco aderente al principio della polivalenza


Da questa tabella si può sintetizzare la differenza tra metodi induttivi e metodi deduttivi partendo dal presupposto che nei metodi induttivi la conoscenza parte dal soggetto, si dice "dal particolare all'universale", nei metodi deduttivi parte dall'oggetto, si dice “dall'universale al particolare”. Nei metodi deduttivi l'insegnante è al centro, detta il da farsi e come lo si deve fare, attraverso esempi, dimostrazioni da imitare. Nei metodi induttivi viene sostenuto un processo d'apprendimento più libero, dove lo svolgimento del compito è condizionato dalla soggettività dell'allievo, dove l'insegnante da' certamente delle consegne, ma lascia anche la libertà di eseguirle a loro modo. L'apprendimento via imitazione rientra ovviamente nei metodi deduttivi, in quanto si dà per buono che venga replicato, imitato un movimento partendo dalla realtà del movimento mostrato dall'insegnante, dunque dalla tecnica. Mentre nei metodi induttivi il processo è inverso, si arriva alla tecnica (o comunque ad un obiettivo da raggiungere) attraverso un processo di sperimentazione da parte dell'allievo. E' il processo, in questo caso, che ci interessa e che va sostenuto, anche cambiando le consegne di volta in volta.


11- Empatia e apprendimento

teste

In psicologia, l'empatia è la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d'animo o nella situazione di un'altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva.

Nella critica d'arte e nella pubblicità, è rappresenta la capacità di coinvolgere emotivamente il fruitore con un messaggio in cui lo stesso è portato a immedesimarsi.

Nelle scienze umane, dunque l'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l'empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie.

Perché l'empatia dovrebbe interessare noi istruttori/educatori?
Un insegnante, qualsiasi materia insegni, non potrà in alcun modo non dare anche informazioni su se stesso, su cosa prova, su quello che è. Gli attori sanno bene questo, per poter comunicare devono poter mettere gli spettatori in una situazione empatica.

Paul Watzlawick, un'autorità nella trattazione della comunicazione umana, ci dice che "è impossibile non comunicare", spiegando che la comunicazione ha sempre due aspetti, quello che riguarda la notizia, e quello che riguarda la relazione. Benchè il compito di insegnante imponga di insegnare una qualsiasi materia, non avverrà mai solo questo. I fattori umani che abbiamo citato sopra, fanno si che un insegnante possa venire percepito come simpatico, antipatico, affabile, autoritario, despota, disponibile ecc.; l'insegnante quindi verrà riconosciuto e connotato anche, o forse soprattutto, per le sue caratteristiche umane, oltre che per la sua competenza o meno nella materia che insegna.

Dunque, se noi insegnanti possiamo fare leva sulle capacità empatiche dei nostri allievi, e sulle nostre, per facilitarli nel loro compito di apprendere, possiamo considerare altrettanto seriamente l'altra faccia dell'empatia, quella per cui i nostri allievi molto spesso saranno portati a imitarci anche nelle nostre convinzioni, nei nostri valori, in quello che realmente noi siamo e manifestiamo. Essi si vedranno attraverso i nostri occhi... Una persona che entra a fare parte di un gruppo ha bisogno di essere accettata, e per essere accettata ne deve condividere i valori portanti. Questo comportamento nasce da un fattore biologico: iniziamo con la famiglia, a fare nostro il modello educativo della famiglia non certo per una scelta ragionata e ponderata, quanto per la necessità biologica di fare parte del nostro sistema familiare, poiché quella famiglia ci ha generati, cresciuti, nutriti, accuditi, per cui, a livello profondo è come se il sistema familiare fosse indiscutibile. E' l'istinto di sopravvivenza che ci porta ad adattarci, quello che dai primordi dell'umanità ci ha portati a costituirci in gruppi sociali per poter meglio affrontare le insidie del mondo, perché il genere umano, se fosse stato costituito da singoli individui e non da gruppi non sarebbe sopravvissuto di certo. Oltretutto nasciamo in un primo gruppo sociale naturale, che è appunto quello della famiglia, per cui noi siamo biologicamente predisposti a stare con gli altri, e per fare ciò rinunciamo ovviamente ad una parte, a qualche parte della nostra individualità. Il nostro problema, diciamo il nostro fulcro di interesse sta nel fatto che quando l'apprendimento non riguarda più la sopravvivenza in sé per sé, quando l'insegnamento fa propri anche certi precetti educativi, ci possiamo porre la questione che riguarda la nostra personale influenza sui singoli e sul gruppo, tenendo ben presente , che ci piaccia o no, che SIAMO DEI LEADER E DETENIAMO UN POTERE.

Rossini parla di due maniere, di due stili di potere, di due visioni, una la definisce PRETESA DI DOMINIO, l'altra l'ETICA DEL SERVIZIO.

La Pretesa di dominio parla di un potere che si autoalimenta, che si accresce nel rapporto con gli altri, che si autoconserva e tende a mantenere la propria posizione dominante.

L'etica di servizio viceversa lavora per fare crescere l'effettivo valore degli altri, implicando con ciò una riduzione del proprio dominio, è un potere questo che paradossalmente rema contro se stesso. E' orientato a formare un individuo il più possibile libero e consapevole.

L'arma vincente che può delineare il successo di un educatore sta nella possibilità di scegliere!

Che si tratti di scegliere un metodo didattico, uno stile di conduzione di potere, un atteggiamento da usare nelle più disparate occasioni, tale capacità di scelta fa parte non solo della competenza di un insegnante in quanto portatore di una materia, ma anche e soprattutto nel suo essere persona educante, che come tale avrà una grande influenza,sui propri allievi, sui propri allievi e sulle generazioni a venire.


Conclusioni

Riepilogando...

- Abbiamo evidenziato che se si parla di apprendimento per imitazione al momento in cui l'imitazione non è immediata o comunque relativamente facile (come nel caso di imitazione di movimenti in parte conosciuti, cioè che appartengono almeno in parte ai programmi motori dell'allievo), subentrano processi attentivi e cognitivi importanti, sui quali gli allievi devono poter fare leva.
- Abbiamo altresì aggiunto che imitare non basta, poiché all'imitazione deve poi seguire l'esercitazione, l'apprendimento per prove ed errori, che anch'esso presuppone una maturità da parte dell'allievo, che deve di volta in volta "controllare" il movimento e non ripeterlo automaticamente.
- Abbiamo infine visto come tutto ciò non sia sempre nella disponibilità dei nostri allievi, non tanto perché siano malevoli, maleducati o distratti, quanto semmai perché non hanno ancora maturato quei processi neurofisiologici, attentivi e cognitivi che sottendono a questo tipo di apprendimento. Perciò, per un insegnante, sembrerebbe opportuno ed efficace poter fare leva anche sui metodi induttivi, che partono dalla realtà dell'allievo e su di essa si conformano, attraverso esercizi mirati che siano adatti al loro livello, alle loro reali capacità. Non perché, ovviamente, i metodi deduttivi siano sbagliati, quanto perché a volte sembrano non essere efficaci, sembrano non essere la via migliore per arrivare ad un risultato.  

 


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