Le regole principali da rispettare per allenarsi
L’IMPORTANZA DI UN BUON PROGRAMMA ALIMENTARE CHE DEVE ESSERE PERSONALIZZATO A SECONDA DELL’ATLETA E DELLO SPORT PRATICATO.
Una delle priorità di ogni atleta è riuscire a “costruire” un buon programma alimentare. Molto semplicemente basterebbe bilanciare quantitativamente (calorie totali) e qualitativamente (percentuale di principi alimentari: proteine, carboidrati, lipidi, vitamine, minerali e acqua) le calorie utilizzate per il consueto fabbisogno giornaliero e per l’allenamento a quelle introdotte nell’organismo con il cibo. Cosa non proprio così semplice, perché a seconda della persona e dello sport praticato è necessario ricercare un programma nutrizionale che soddisfi in modo equilibrato la funzione energetica, plastica e regolatrice. L’obiettivo si ottiene: individuando il giusto quantitativo di carboidrati, utile a bilanciare la spesa energetica; grazie a un corretto apporto proteico, necessario a garantire il mantenimento (o l’aumento) della massa muscolare; ricercando l’adeguato consumo di grassi, i quali svolgono insieme ai carboidrati, una funzione energetica e plastica (oltre a svolgere una mediazione ormonale fondamentale per i recuperi); assumendo la frutta e la verdura, necessaria per l’azione plastica e regolatrice determinata dalle vitamine e dai sali minerali. Anche se non esistono formule magiche, si sa che l’organismo umano per la spesa calorica dei soli processi vitali (metabolismo basale), in linea generale, utilizza circa 1 kcal per kg corporeo all’ora (24 in un giorno), mentre per la donna il coefficiente è di soli 0,9 kcal per kg/h (21,6 in un giorno). Quindi un modo per poter calcolare il proprio metabolismo basale teorico è proprio quello di moltiplicare il peso in kg corporei per 24 nell’uomo e 21,6 nella donna (tabella 1).
Tabella 1: Calcolo del Metabolismo Basale (MB)
Detto questo, per conoscere il proprio fabbisogno giornaliero (FG), è necessario aggiungere al MB le calorie che si consumano nelle attività svolte durante la giornata. Per calcolare in modo semplice questo dato, è sufficiente aggiungere una percentuale del MB in base all’attività praticata (tabella 2)
Tabella 2: Calcolo del fabbisogno giornaliero
A seconda dell’obiettivo, sport, età, personale tolleranza, etc., l’atleta dovrà bilanciare in modo diverso il rapporto tra carboidrati, proteine e grassi. In generale, i carboidrati da prediligere dovrebbero essere quelli complessi e con un basso indice glicemico (pane e pasta integrale, frutta, etc.). Il quantitativo di quest’ultimo macronutriente si dovrebbe raggirare sul 40-50% delle kcal tot. Le proteine dovrebbero provenire da fonti diverse (pesce, carne, uova, legumi, etc.) in quantità del 15-30% delle kcal tot. Nella tabella 3 viene indicato l’apporto proteico consigliato dal JISSN – Journal of the International Society of Sports Nutrition.
Tabella 3: valutazione del fabbisogno proteico giornaliero da un recente studio (Kreider et al. 2010) pubblicato sul JISSN
I grassi da consumare preferibilmente sono quelli insaturi, specialmente se ricchi di omega 3 e 6. Il quantitativo si dovrebbe aggirare dal 15-30% delle kcal tot. Dato che “Noi siamo ciò che mangiamo”, molto importante è la qualità del cibo da assumere. Con un prodotto di qualità inferiore, anche se corretto come tipologia di alimento e come quantità, chiaramente non si riuscirà a ottenere lo stesso risultato.
Quando l’obiettivo è il calo del peso, naturalmente è necessario creare un deficit tra le calorie introdotte e quelle spese a vantaggio di quest’ultime. L’importante è non creare mai un programma alimentare che scenda al di sotto delle Kcal che rappresentano il MB. Il deficit calorico non dovrebbe superare le 100 kcal giornaliere per ogni 10 kg di peso corporeo (in un soggetto di 70 kg il deficit massimo deve essere di circa 700 kcal al giorno). Naturalmente il calo del peso sarà molto più veloce nei primi mesi per poi rallentare man mano che ci si avvicina all’obiettivo. Il modo migliore di affrontare un dimagrimento è quello di suddividere gli obiettivi in piccoli cicli che non superino il 5-10% del peso iniziale. Naturalmente il risultato migliore si otterrà cercando di rifinire il programma nutrizionale, personalizzandolo al meglio alla caratteristiche dell’atleta. Semplicemente, per tentativi, si dovrà modificare sia la percentuale di macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) sia il loro apporto totale calorico. Una prima modifica si può fare semplicemente mantenendo inalterato l’apporto calorico totale, ma sostituendo una porzione di carboidrati con una dello stesso equivalente calorico di proteine. In ogni tentativo la variazione nutrizionale non dovrebbe superare i 50-100g e deve essere mantenuta per almeno un paio di settimane. Valutando l’andamento del rendimento dell’atleta, si riuscirà a raggiungere il programma alimentare che risulta migliore. Al fine di aumentare l’assorbimento dei nutrienti e di impedire all’organismo umano di instaurare una condizione di “risparmio” in cui il MB si abbassa, è utile suddividere il quantitativo calorico in più pasti giornalieri (almeno cinque). Infatti, se tra un pasto e l’altro passano più di tre ore, l’organismo umano tende già rallentare il MB. Allo stesso modo non bisogna alimentarsi troppo spesso per non ingolfarsi, ma è necessario lasciar passare almeno 2-3 ore. In ogni pasto principale devono essere presenti le verdure e gli ortaggi per poter fornire all’organismo il necessario quantitativo di fibre e micronutrienti, mentre è consigliabile consumare la frutta durante gli spuntini. Concepire i grassi come il peggior nemico dell’atleta è l’errore più grande che si possa fare. Esistono grassi essenziali, altri considerati insaturi (di origine prevalentemente vegetale e da consumare con moderazione) e saturi (di origine prevalentemente animale e da limitare), ma tutti devono far parte della nostra alimentazione anche se in quantità diverse. Se si considera che ogni cellula corporea è rivestita da una membrana di grasso e che la maggior parte del tessuto del Sistema Nervoso Centrale) è grasso, allora si comprende istantaneamente l’importanza di questo alimento. Gli acidi grassi essenziali sono contenuti ad esempio nel tonno, salmone, pesce azzurro, sgombro, olio di oliva, semi crudi, frutta secca (non tostata), etc.
I latticini, anche se rappresentano un’altra categoria di alimenti utili all’organismo umano, dovrebbero essere inseriti con moderazione nel programma alimentare destinato al dimagrimento. Nei soggetti che non li tollerano bene, o si cambia alimento oppure si cerca di rintrodurli in piccole dosi da aumentare poi gradualmente per poter stimolare nuovamente la produzione della lattasi. L’acqua rappresenta il 70% del nostro peso corporeo ed è responsabile di tutte le funzioni biochimiche organiche, quindi limitare il suo consumo è un errore grandissimo. Soprattutto nel caso degli sportivi che dovrebbe cercare di bere almeno la quantità che si pensa di eliminare con la pratica sportiva.
Allenamento, nutrizione, integrazione e competizione
Specialmente quando si svolgono due sedute di allenamento al giorno, come di consueto accade negli sportivi agonisti, per favorire il recupero bisognerebbe consumare immediatamente dopo l’allenamento uno spuntino composto principalmente da carboidrati a rapida assimilazione. In questo specifico momento le finestre metaboliche sono totalmente aperte e recettive, quindi la frutta svolge un ruolo cruciale ricostituendo velocemente le scorte di glicogeno e fornendo l’importante apporto di vitamine e sali minerali, entrambi consumati durante l’allenamento. Inoltre molti frutti hanno anche un buon potere alcalino (abbassano l’acidità), quindi facendo la giusta selezione, si può contrastare anche l’acidità indotta dallo sforzo fisico. Per velocizzare ulteriormente il recupero e ricostituire rapidamente le scorte di glicogeno (o semplicemente per stimolare la crescita della massa muscolare), si può assumere con la frutta del glucosio, saccarosio, fruttosio e una piccola quantità di aminoacidi essenziali. Per quanto mi riguarda, consiglio di assumere immediatamente nella prima mezzora post-training, un cucchiaio di miele con una spremuta di agrumi diluita in acqua della frutta di stagione e un pool di aminoacidi. Il pasto successivo all’allenamento, per creare il giusto ambiente metabolico, deve presentare un giusto apporto di carboidrati (sono preferibili a basso indice glicemico, meglio se alimenti integrali), di proteine (ottimo il pesce e le carni magre) e di grassi (soprattutto quelli vegetali). Naturalmente la scelta deve essere indirizzata soprattutto agli alimenti che si riescono a digerire meglio.
Quando si inizia a praticare in modo importante un’attività sportiva, specialmente se si tratta di sport di categoria in cui spesso si segue un’alimentazione ipocalorica, è consigliabile assumere degli integratori, quali proteine in polvere, aminoacidi ramificati, creatina, etc. Le prime possono essere assunte al mattino o in alcuni spuntini per completare il bilancio proteico in un’alimentazione ipocalorica; gli aminoacidi ramificati compongono il 60% degli aminoacidi del muscolo scheletrico e la loro assunzione prima e/o dopo l’attività migliora il recupero favorendo l’anabolismo muscolare; la creatina assunta dopo allenamento migliora la ricostruzione delle scorte di fosfocreatina (fonte indiretta di riserva energetica) e favorisce anche lo stimolo anabolico. Un miglior assorbimento della creatina si ha quando la sua integrazione è associata a dei carboidrati ad alto indice glicemico che, stimolando in modo importante l’insulina, fungono da veicolante. L’integrazione può essere utile in quei casi in cui l’alimentazione non riesce a soddisfare le richieste nutrizionali. Deve però essere gestita in maniera personalizzata sull’atleta. Quali alimenti prediligere nel pasto pre-gara? Quelli a base di carboidrati, specialmente a basso indice glicemico, senza però escludere i grassi e le proteine. Per gli sport aerobici-anaerobici intermittenti di breve durata, un buon pasto da consumare tre ore prima delle gare – per esempio – potrebbe essere costituito da pane integrale con un po’ di burro spalmato sopra e qualche fetta di prosciutto crudo sgrassato.
Estate: mantenersi in forma in vacanza e durante la stagione estiva
DUE SETTIMANE DI STOP POSSONO STARCI, MA TRE MESI SONO ECCESSIVI. PER MANTENERSI, BASTANO DUE SEDUTE A SETTIMANA CHE SI POTREBBERO FARE ANCHE A CASA, SE SI DISPONE DI MANUBRI, UN BILANCIERE, UNA FIT BALL, DUE CAVI PER IL SUSPENSION TRAINING.
La stagione estiva è da sempre sinonimo di “rallentamento” degli allenamenti. Così, dopo lo sprint primaverile dove tutti vorrebbero in due mesi risolvere tutti i loro problemi per presentarsi con un perfetto fisico da spiaggia, ecco che all’improvviso la sala pesi si libera, con grande gioia dei frequentatori 360 giorni all’anno che vedono liberarsi tutte le macchine e postazioni. In questo fuggi fuggi generale, che ha la sua apoteosi nel mese di agosto, c'è però del masochismo: infatti, abbandonare completamente per troppo tempo l'attività porta a una inevitabile regressione dei risultati; e se questi su un ventenne sono appena percepibili, dai 30 in su il declino del tono si fa vedere proporzionalmente al tempo di ‘abbandono’. Una volta presa coscienza di questa drammatica realtà credo che in fondo la soluzione sia semplice: basta organizzarsi. Certo che due settimane di stop possono starci, ma tre mesi sono certamente eccessivi. Alla fine per mantenere i risultati ottenuti bastano due sedute a settimana e, a onore del vero, si potrebbero fare anche a casa. Basta poter disporre di manubri, un bilanciere, una Fit Ball, due cavi per il suspension training. Per esperienza posso dirvi che tantissime persone dispongono già di questa attrezzatura e comunque il costo è abbordabile, infatti l'investimento più grosso sono i due manubri con il set di dischi; ma in fondo sono necessari un 30 kg di dischi con varie pezzature per fare già dei buoni allenamenti. Fermo restando la possibilità di complementare l'attività settimanale con del nuoto piuttosto che con del functional training all’aperto (unendo alla corsa, degli esercizi a corpo libero) proveremo a concentrarci su quello che si può fare ‘indoor’ con esercizi più tradizionali. Le proposte che seguono hanno una durata media di 45 minuti e sono orientate in modo generico e generale al mantenimento del tono muscolare cercando anche di coinvolgere la propriocettività di base.
Ogni scheda ha 4 super set ripetuti 3 volte ciascuno, per un totale di 12 super serie. Considerando circa 90 sec ciascuna, sono circa 18 minuti di allenamento vero a cui vanno sommati altri 10/12 min di pause. A questo proposito, le pause hanno un margine voluto dove si parte con il margine inferiore e durante l'esecuzione dei 3 super set la pausa (secondo i bisogni) può aumentare fino a 60/70. Abbiamo poi Il tabata finale che richiede altri 4 minuti; il computo temporale di tutta la scheda è quindi abbondantemente sotto i 40 minuti. Le schede sono semplici, molto facilmente personalizzabili e senza la pretesa di avere sottesa chissà quale sofisticata filosofia allenante; solo uno stimolo metabolico che possa sostenere anche il tono, il tutto “easy” senza troppi vincoli e con la possibilità di cambiare gli esercizi. Lo scopo è quindi quello, anche per i più sbilanciati verso il body building di provare per un periodo – diciamo di sei settimane – un tipo di condizionamento che sia distante da quelli convenzionalmente usati in sala pesi. Naturalmente per ottimizzare il tutto un occhio all'alimentazione eviterà di indugiare troppo sulle molteplici tentazioni che l’estate offre… ma questa è un'altra storia. Che la calda forza dell’estate sia con voi!
Plogging, la corsa che aiuta la natura
Arriva dalla Svezia ed è un mix di jogging e raccolta dei rifiuti, mantiene il fisico in forma e dà una mano all’ambiente.
Si tratta del plogging, parola che deriva dal verbo svedese ‘plocka up’, ovvero raccogliere, e jogging. Sostanzialmente si tratta di combinare la classica corsa sportiva con la raccolta dei rifiuti che si trovano lungo il percorso, spazzatura che va raccolta e portata con sé in appositi sacchetti da depositare poi in discarica. Una tendenza che viene dalla Svezia, paese che da sempre è caratterizzato da una forte anima green. Chi l’ha sperimentata assicura che questa nuova disciplina è dura, capace di allenare tutta la muscolatura.
Lo sport ideale per chi vuole mantenersi in forma e insieme salvare il mondo dalla spazzatura. La cosa potrebbe far sorridere, ma in Svezia il plogging è diventato una disciplina strutturata già nel 2016, con una propria pagina Facebook di riferimento (www.facebook.com/plogga/) e, dallo scorso anno, ha cominciato a diffondersi in altri Paesi, dalla Germania fino agli Stati Uniti.
Meglio allenarsi in compagnia che da soli
Secondo numerose ricerche scientifiche, l’esercizio fisico provoca il rilascio nel cervello di antidolorifici naturali. Detto questo, l’antropologa Emma Chen della Oxford University ha dimostrato nel 2010 che la soglia del dolore dei membri di una squadra di canottaggio era più alta dopo gli allenamenti di gruppo rispetto a quelli in solitaria. Questo perché c’è un maggior rilascio delle endorfine naturali che agiscono come una sorta di antidolorifico che alleggerisce la fatica. La ricerca suggerisce inoltre che, se le persone si allenano con gli amici, è meno probabile che abbandonino l’attività fisica.
Vietato circuitare
STRATAGEMMI PER RENDERE PIÙ VERSATILE UN CIRCUITO DA ESEGUIRE IN PALESTRA
Vietato “circuitare”. Non cercate questa parola sul dizionario, è puro frutto della mia perversa fantasia, ma credo renda l'idea. Attenzione: il divieto a “circuitare” non è certo legato a pericoli fisici o metabolici per chi li esegue. Anzi, ho sempre sostenuto e continuo a ribadire che gli allenamenti a circuito siano la forma di allenamento più divertente, efficace, motivante e versatile che esiste. Purtroppo basta immaginare una palestra, in particolare una sala pesi/attrezzi un lunedì sera, e vedere cosa succederebbe se ci si presentasse con una scheda a circuito. L’utente verrebbe prima guardato male per poi correre il rischio di fare scoppiare una rissa in quanto, per eseguire il suo caro circuito, dovrebbe occupare quasi contemporaneamente più attrezzi. Questo è logisticamente ingestibile e porterebbe quasi certamente alla reale impossibilità di realizzare quel tipo di allenamento. Ci sono stratagemmi che possono servire per rendere più versatile un circuito da eseguire in sala pesi (anche se non sempre sono applicabili). Fra questi ricordo:
• Posizionare la macchine cardio vicino alla zona macchine/pesi in modo che camminando , pedalando o altro, sia visibile la sala e individuare preventivamente la disponibilità dell'attrezzo che si desidera fare dopo il cardio.
• Nella costruzione del circuito, non indicare in modo specifico gli esercizi che lo compongono ma più genericamente il gruppo muscolare, questo fa in modo che l'allievo possa selezionare autonomamente un esercizio disponibile.
• Cercare di consigliare di non usare macchine ma esercizi da eseguire a corpo libero o con pesi liberi.
Quanto detto può funzionare in palestre con sale “medio – piccole” dove, infatti, di frequente le macchine cardio sono posizionate in ambienti separati o comunque distanti dagli attrezzi; analogamente non è detto che ci siano nella sala spazi adeguati per fermarsi a fare gli esercizi (anche a corpo libero) presenti nel circuito. Occorre evidenziare come nell'evoluzione degli anni i “circuit training” si siano sempre più spostati all’interno delle sale corsi, con allenamenti di functional training che nella maggioranza delle loro applicazioni sono effettuati con delle formule a circuito. Preso atto di queste difficoltà è logico che nella maggioranza dei centri la famosa scritta “vietato circuitare” magari non appare ma il divieto è sottinteso e sottolineato nel momento stesso in cui si cerca di metterlo in atto. A questo punto, onde evitare lo scontro fisico, si possono cercare delle soluzioni dove si ottiene comunque un valido stimolo metabolico senza dovere però ricorrere alla forma ortodossa del circuito.
Una prima proposta (scheda A/B/C) prevede che gli esercizi vengano svolti in Super Set: si unisce quindi a ogni serie un esercizio per gli addominali (per le donne potrebbe essere per i glutei) e il recupero è sempre medio breve. Da notare che l’indicazione generica di “addominali” consente di rimediare semplicemente mettendosi a terra di fianco all’attrezzo ed eseguire un classico Crunch. Come ripetizione viene indicata una forbice (esempio 8/12) che indica le ripetizioni massime e minime: quindi, se con il carico scelto si superano agilmente il numero massimo previsto occorre aumentare il carico, se durante l’esecuzione delle 3/4 serie il numero di ripetizioni scende al di sotto del minimo previsto occorre invece alleggerire il carico. Durante i super set non sono mai occupate due macchine contemporaneamente. Anche in questo caso (se si ha a che fare con atleti esperti), anziché indicare il nome esatto dell'esercizio (esempio, panca orizzontale), si potrebbe genericamente indicare il gruppo muscolare (pettorali).
Nelle schede D/E/F si propone invece un classico allenamento con l’esercizio base eseguito con forbice di reps da 15 a 10 facendo recuperi brevi (1 minuto), logico quindi che si vada rapidamente a esaurirsi visto che le serie da eseguire sono 10 sarà inevitabile calare il peso. A seguire, c'è un esercizio “metabolico” che può essere il tabata sullo squat oppure il calare le ripetizioni a tempo di rec crescente e peso fisso (in pratica si punta a 12 reps, pausa 10 sec, si passa a 9 reps, recupero 15 sec, si passa a 6 reps, pausa 20 sec, si passa a 3 reps); a questo punto pausa da 1/1,15 e si ripete per 3 volte. In tutte e 3 le schede si conclude con un Tabata proposto sugli addominali, l'esercizio proposto è il classico sit-up con tutte le accortezze del caso come velocità di esecuzione non troppo elevata, ginocchia ben piegate, non arrivare mai a toccare la panca con la schiena. Alla fine, se tempo ed energie lo prevedono, si inseriscono 6/8 ripetute di cardio hi-lo. Questo potrebbe essere sul tappeto alternando camminata e corsa oppure mettendo il tappeto in camminata veloce e a ogni minuto alternare pianura e massima pendenza. Utilizzabile anche bike o ellittica semplicemente variando il freno. Le proposte possono essere tantissime e vi assicuro tutte divertenti ed efficaci e ben applicabili senza intasare troppo la palestra. Proposte metabolico/dimagranti che ben si sposano con questa stagione dell'anno; fra l'altro tutte che non richiedono più di 45/60 minuti di tempo, l'ideale per l'utente medio. Va poi da sé che ogni istruttore avrà modo di personalizzare e adattare queste proposte in base all’utente e al tipo di attrezzatura di cui dispone.
Che “la resistenza” sia con voi!
I fantastici 4 del pilates funzionale
QUATTRO ESERCIZI A CONFRONTO, DUE TECNICHE DI ESECUZIONE, UN UNICO OBIETTIVO.
Non gli unici, ma sicuramente i più immediati e riconoscibili. Così ho definito “I fantastici 4”, cioè i quattro esercizi portanti sia del programma Pilates che del functional training. Le due tecniche si differenziano in alcune essenzialità di esecuzione, dal timing di lavoro, dal numero di ripetizioni, dall’inserimento nella ruotine, dal tipo di allenamento impostato, ma unico rimane l'obiettivo, cioè lo stimolo neuromuscolare insito nella natura stessa dell’esercizio: l’attivazione della catena agonista, accompagnata sinergicamente dall’azione di stabilizzazione eccentrica dell’antagonista, laddove la forza del core riveste sempre il ruolo di ‘leader’ in ogni momento del workout, in entrambe le tecniche. Considerando i principi fondamentali che sempre devono essere tenuti presenti quando si esegue una routine Pilates, e cioè la concentrazione, il controllo, la respirazione, la centralizzazione, la precisione, la fluidità, l'economia del movimento, confrontandoli con le caratteristiche sulle quali si basa l’allenamento funzionale e cioè la mobilità articolare, la flessibilità muscolare, la coordinazione motoria, l'alta sinergia muscolare, la multi-planarietà dei movimenti, la ricerca dell'instabilità per il potenziamento del core, è possibile osservare come le peculiarità di ciascuna delle due tecniche interagiscano e si sovrappongano tanto da convergere verso un unico e solo obiettivo: il focus dell’allenamento, ossia la finalità che mi porta a utilizzare quell’esercizio specifico in quella determinata routine, utilizzando una modalità o l'altra.
Ecco gli esercizi nella loro esecuzione specifica. Dopo averli confrontati, offrirò una valutazione del comune obiettivo, il “focus”.
1. PUSH UP
• PILATES: partendo dalla standing position, eseguire un roll down fino a terra, compiere tre passi in avanti appoggiandosi sulle mani fino a raggiungere la plank position, tenendo le gambe completamente estese e stabilizzando il tronco per tenere le curve fisiologiche dell’intero rachide. Inspirare e contemporaneamente piegare le braccia cercando di avere i gomiti vicini al busto, avvicinando il petto al pavimento senza ‘spezzare’ la linea del core. Espirare estendendo le braccia, eseguendo un press up. Dopo aver ripetuto tre volte, dalla plank position compiere tre passi camminando verso i piedi e spingendo il bacino verso l’alto, mantenendo estese le gambe. Espirando risalire alla standing position eseguendo un roll up.
• FUNCTIONAL: partenza dalla plank position in appoggio sulle mani e sugli avampiedi, con il corpo proteso in allineamento neutro della colonna vertebrale, mediante una forte attivazione degli obliqui e del trasverso che creano una co-contrazione dei muscoli antero-posteriori della cintura addominale. Eseguire un piegamento sulle braccia inspirando in fase eccentrica, stendere poi le braccia espirando in fase concentrica attivando una spinta delle mani in extrarotazione per potenziare l’azione dorsale (come se volessi ‘avvitare’ le mani nel pavimento!). Il push up come esercizio basilare dell’allenamento funzionale prevede molteplici variazioni (monopodalico, spider push up, side to side push up, one arm push up, etc.) e un’alta dose di ripetizioni, ovviamente sempre in rapporto al tipo di workout impostato.
• OBIETTIVO: allenare e rinforzare sia la catena anteriore che quella posteriore, stimolando sinergicamente le muscolature di entrambe e coinvolgendole in ugual percentuale. È sicuramente un potente lavoro di stabilizzazione del cingolo scapolo-omerale e del bacino attraverso un richiamo isometrico di tutta la muscolatura del core.
2. ROLL UP - SIT UP
• PILATES ROLL UP: dalla posizione supina, sollevare le braccia verso l’alto perpendicolari al corpo mentre si inspira, mantenere stabilizzate scapole. Espirando iniziare la flessione del busto, cercando il contatto a terra della zona lombare e il distacco lento e controllato delle vertebre una dopo l’altra, le braccia saranno in posizione parallela al pavimento, raggiungendo così la posizione seduta. Da qui inspirare allungando l’intero rachide verso l’ alto e iniziare espirando la fase di ridiscesa al pavimento “Roll down”, necessariamente verrà attivata una forte contrazione del pavimento pelvico e del trasverso, portando quindi il tronco in “C curve”, spingendo le anche in avanti, sganciando le vertebre lentamente e portandole una dopo l’altra di nuovo in appoggio al pavimento, ritrovando la posizione supina di partenza. I livelli di esecuzione e difficoltà varieranno a seconda della posizione tenuta dagli arti inferiori: con le gambe piegate, oppure una gamba tesa e una piegata, oppure tutte due tese. Consigliato ripetere 5/6 volte.
• FUNCTIONAL SIT UP: la differenza principale con la precedente versione sta nella dinamica di esecuzione sicuramente più veloce e nella tecnica respiratoria più breve: si espira nella fase concentrica di salita e si inspira in quella eccentrica di discesa. Partenza sempre dal decubito supino, gambe piegate con i talloni saldamente fissati al pavimento, salire in posizione seduta, braccia in naturale accompagnamento al movimento normalmente 90° rispetto al busto. Medio-alto il numero di ripetizioni, variabile sempre in funzione del workout.
OBIETTIVO: miglioramento della forza della cintura addominale, della mobilità del rachide vertebrale e della flessibilità della muscolatura del dorso. Importante il ruolo dei flessori dell'anca che lavorano concentricamente nella fase di salita ed eccentricamente nella fase di discesa, mentre contemporaneamente gli estensori dell’anca agiscono concentricamente.
3. ROLLING LIKE A BALL - ROCK UP
• PILATES ROLLING LIKE A BALL: partenza da seduti in equilibrio controllato sugli ischi, con le gambe flesse raccolte al petto e mani in presa alle gambe, sotto alle ginocchia o abbracciandole saldamente da sopra. Inspirando rotolare sulla schiena fermandosi non più in alto delle scapole, cercando di mantenere le spalle abbassate e una uguale distanza tra petto e cosce, collo in allungamento e allineato alla “C curve” del rachide. Espirando rotolare in avanti fermandosi in equilibrio controllato seduti sugli ischi, cercando di ritrovare e mantenere la posizione iniziale.
• FUNCTIONAL ROCK UP: si parte dalla standing position, scendendo in massima accosciata fino a percepire l’appoggio dei glutei al pavimento per iniziare a rullare sulla colonna vertebrale, fermandosi all’area scapolare (mai quella cervicale!). Le braccia seguono il movimento fermandosi verso l’alto o proseguendo in overhead. Iniziare la risalita rotolando sulla schiena per ritornare in massima accosciata ed estendere poi gli arti inferiori con grande azione di forza ed equilibrio, riconquistando la standing position iniziale. L’allenamento funzionale prevede anche la variante sia in discesa che in risalita con una gamba tesa e una piegata (propedeutica allo Squat pistol).
• OBIETTIVO: è un esercizio dinamico con passaggio di posizione (da seduta a sdraiata a seduta, o da standing a sdraiata a standing) che richiede notevoli doti di stabilità e di equilibrio, nonché una cospicua dose di concentrazione durante l’esecuzione. Permette di operare un grande lavoro di contrazione dei fasci addominali e un contrapposto allungamento dei fasci dorsali, sia in fase di roll che in fase di risalita, ed è fondamentale l’azione di stabilizzazione attraverso le muscolature più profonde in ogni istante di esecuzione del movimento.
4. SIDE BEND - SIDE PLANK
• PILATES SIDE BEND: definito anche “Advanced Mermaid” in quanto la ‘sirenetta’ prepara la corretta esecuzione di questo esercizio che richiede un forte intervento di sostegno a carico di un solo degli arti superiori e un grandioso allungamento ad arco dell’emicorpo opposto, unito a un’eccezionale azione di tono e rinforzo delle catene muscolari laterali. Partenza dalla posizione laterale distesa con appoggio su gomito e avambraccio nella fase più ‘facile’, in appoggio sulla mano col braccio teso nella fase ‘intermedia e avanzata’, bacino in seduta laterale su un’anca con le gambe piegate in posizione a triangolo. Espirando, attivare la contrazione della muscolatura del core sollevando il bacino verso l’alto, contemporaneamente estendere entrambe le gambe e spingere il braccio opposto a quello di appoggio sopra la testa, formando un arco con tutto il corpo. Inspirare e ritornare alla posizione di partenza.
• FUNCTIONAL SIDE PLANK: partendo dalla posizione di Plank, o con appoggio sui gomiti o con le braccia tese, ruotare l’intero corpo lateralmente in appoggio unilaterale – sull’avambraccio o sulla mano a seconda della base di partenza – sostenendo fortemente l’intero peso corporeo. L’appoggio degli arti inferiori è bi podalico, articolandosi sull’interno di un piede e sull’esterno dell’altro e attivando le muscolature abduttrici e adduttrici di gambe e cosce, nonché i fasci di tutto il core, che agiscono sinergicamente per mantenere il bacino in allineamento al corpo intero. Dal side plank o cosiddetta “T position”, ritorno alla centralità del Plank per passare al lato opposto. Va considerato che, nell’ambito della tecnica funzionale, la modalità di partenza in appoggio su gomiti/avambracci o sulle mani/braccia tese non viene intesa come livello di difficoltà, ma come variazione di intervento sulle muscolature che devono sostenere la fase di contrazione isometrica per un determinato tempo. Infatti, più il corpo è vicino a terra (plank/side plank sui gomiti), più la forza di attrazione gravitazionale agisce stimolando intensamente la catena muscolare vicina al suolo. Contemporaneamente l'appoggio distribuito sull'avambraccio costituisce una base più ampia e stabile, capace di alleggerire il carico sulla spalla. Viceversa l’appoggio sulla mano a braccio teso risulta più instabile e quindi sicuramente più intenso e impegnativo per tutto il cingolo scapolo-omerale, mentre tronco e arti inferiori subiranno una minore incidenza gravitazionale rimanendo più distanti da terra. I tempi di esecuzione e il numero delle ripetizioni variano sempre in relazione al tipo di workout.
• OBIETTIVO: stimolare potentemente le catene muscolari laterali, migliorando la forza e la stabilità, partendo dal cingolo scapolo-omerale per arrivare agli arti inferiori passando attraverso dorsali (soprattutto muscolo dentato) e core (particolarmente gli obliqui). È un esercizio di grandiosa sinergia muscolare.
Come evidenziato nell’introduzione, questi non sono gli unici esercizi che la tecnica Pilates e il functional training hanno in comune. È anzi auspicabile un maggiore utilizzo e interazione degli stessi, in modo da attivare tutti i nove schemi motori umani fondamentali cioè sollevare, spingere, tirare, ruotare, lanciare, deambulare/correre/saltare, trasportare/trascinare, rotolare, squat/accosciata, e utilizzandoli anche come elementi di transizione tra un decubito e l’altro, tra una posizione “standing” e una “sitting”. Ottimizzando così le routine, favoriremo lo scambio tra le due tecniche, rendendo il Pilates sempre più funzionale.
Clicca qui per vedere l'articolo completo con le immagini di ogni singolo esercizio consigliato.
Il functional training per le donne
L’EVOLUZIONE DEL MOVIMENTO AL FEMMINILE.
Rispetto all’allenamento tradizionale, il functional training si occupa del corpo nel suo insieme e dona naturalezza.
La donna sin dalla lontana era paleolitica ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione della famiglia. Non soltanto in virtù del suo dedicarsi alle attività domestiche per le consuete mansioni di madre e moglie, ma anche e soprattutto come procacciatrice, alla stessa stregua dell’uomo, di cibo e altri beni necessari per il sostentamento metabolico dei familiari e dell’intero gruppo di nomadi a cui apparteneva. Più in dettaglio, se l’uomo ricopriva il ruolo di “cacciatore” la donna rivestiva infatti quello di “raccoglitrice”. La sopravvivenza della comunità era assicurata dalla raccolta di erbe, tuberi e frutti, nonché dalla caccia di piccoli roditori, una funzione per l’appunto assolta dalle donne del gruppo. Nel corso delle loro “battute” curavano le piante commestibili, sarchiando, eliminando le erbacce e talora concimando il suolo. Molto tempo è passato da allora, ma tuttora le donne continuano a fare lavori quotidiani simili, dal fare la spesa, allo svolgere le faccende di casa, dal gestire una maternità, pre e post parto alla cura di un animale domestico. E ieri come oggi, le funzioni organiche e metaboliche legate alla biomeccanica di questi gesti necessari allo svolgimento di tali mansioni ‘al femminile’, non possono non riportarci alle differenti scelte tecniche che caratterizzano in generale l’allenamento funzionale. Ossia, più nello specifico, un appropriato allenamento con schemi che riconducono le donne a svolgere quei movimenti presenti nella loro memoria motoria, seppur in un era dove la civilizzazione ne ha modificato le gesta. Il functional training rappresenta infatti la disciplina che – per eccellenza – riattiva la gestualità globale, la sua specifica tridimensionalità, la sua multiplanarità stimolando e talvolta ricostruendo una armonia del movimento e rinforzando le diverse capacità motorie, quali la mobilità, l’equilibrio e la forza da cui ne consegue il significato vero del termine funzionale: atto a donare uno perfetto stato di “wellness” tipico degli organismi sani.
Il nuovo programma di functional training rivolto alle donne, con le sue specifiche caratteristiche – che verrà proposto dalla FIF Academy nel prossimo autunno – si prefigge come obiettivi principali il continuo controllo della postura stimolando il ripristino della consapevolezza del corpo attraverso schemi motori fisiologici eseguiti per catene muscolari, nonché il miglioramento della componente cardio-respiratoria-circolatoria. Il programma del functional training per le donne prevede lo sviluppo delle seguenti componenti:
• la mobilità globale e la propriocettività di tutte le articolazioni
• la stabilità statica e dinamica
• la coordinazione
• la reattività
• l’adattamento a esercizi asimmetrici e l’utilizzo del piano trasversale, entrambi più utilizzati nella vita quotidiana
• l’utilizzo di sovraccarichi esterni e carichi interni progressivi attraverso un lavoro misto di resistenza aerobico e anaerobico.
Generali e specifici saranno i vantaggi di un programma funzionale così articolato:
• miglioramento della liposintesi e un conseguente miglioramento dell’umore per ridotta produzione di cortisolo
• influenza positiva sugli estrogeni responsabili dell’insorgenza della cellulite
• abbassamento del rischio di infortuni
• riduzione dell’insorgenza di patologie osteoarticolari
• maggiori effetti curativi su cervicalgie, lombalgie, osteocondrosi e primi stadi di possibili scoliosi.
Il functional training per le donne permette tra l’altro, di esaltare ancor di più le loro peculiarità caratteriali che sono alla base della loro spiccata leadership, con la possibilità di riuscire a ottenere grandi risultati in breve tempo.
Uno studio condotto dall’azienda Caliper, una società di consulenza accreditata che ha analizzato a fondo lo stile di 59 donne leader, ha riscontrato infatti che le donne:
• sono più persuasive degli uomini. Le donne cercano di far cambiare prospettiva e far sposare il proprio punto di vista all’interlocutore più spesso degli uomini che tendono a convincere con la forza delle proprie posizioni. Ne consegue una ottimizzazione dei tempi di cui si dispone
• hanno maggior necessità di fare, sono quindi più pragmatiche
• hanno maggiori capacità interpersonali (flessibilità, empatia, socialità)
• ascoltano di più e meglio degli uomini, perché utilizzano di più quello che hanno ascoltato
• sono generalmente più inclusive e, in particolare, presentano un modo di decidere e risolvere i problemi che coinvolge maggiormente gli altri membri del team. Tengono moltissimo ad arrivare alla miglior decisione possibile più che a difendere il loro punto di vista iniziale.
Tutte prerogative che rendono la donna l’allieva o l’atleta che ogni Functional Trainer vorrebbe allenare nel percorso della sua carriera: tenace, caparbia, determinata, pronta al cambiamento e predisposta alle sfide pur di raggiungere il traguardo stabilito. Per un corpo “naturalmente” più sano che doni una qualità di vita “davvero” più alta, la volontà di mettersi in gioco, di sperimentare e sentire i segnali del proprio corpo, permettendo di riscoprire il proprio potenziale e l’essere determinate e costanti nella pratica, sono dunque i requisiti fondamentali per un allenamento funzionale “al femminile” decisamente vincente!
Gli stabilizzatori della spalla
ESERCIZI MIRATI PER RINFORZARLI E RIDURRE L’INCIDENZA DI INFIAMMAZIONI E INFORTUNI.
La spalla, una delle articolazioni più complesse, viene messa costantemente sotto carico sia negli esercizi di spinta (come i piegamenti a terra o la panca piana/inclinata, le croci, le spinte con manubri, kettlebell, bilancieri, etc.), sia negli esercizi di trazione (come i pull up, il rematore o le tirate al mento), che provocano costantemente uno stress articolare.
Oltre a questi movimenti che sono sì dinamici ma in cui si ha un maggior controllo, se si aggiungono esercizi come lo snatch, da eseguire con il kettlebell o con il bilanciere, l’OHS (Over Head Squat), il MU (Muscle Up) o le trazioni con kipping, il rischio di infortuni alla spalla aumenta sostanzialmente per due motivi: prima di tutto, per l’instabilità stessa della spalla, poi per l’esecuzione tecnica sbagliata. Prima di spiegare come poter evitare o almeno abbassare il rischio di infortuni alla spalla, bisogna capire come essa è costituita.
La spalla, è formata da un complesso di cinque articolazioni, tutte indispensabili per la sua fisiologica meccanica. Esse sono:
• Gleno – omerale: tra omero e scapola
• Acromion – claveare: tra scapola e clavicola
• Sterno – claveare: tra sterno e clavicola
• Scapolo – toracica: falsa articolazione data dallo scivolamento tra scapola e le coste della gabbia toracica
• Sottodeltoidea: falsa articolazione data dallo scorrimento dei foglietti della Borsa sottodeltoidea.
Tra queste, le articolazioni Gleno-omerale, Scapolo-toracica e Acromion-claveare, sono quelle maggiormente coinvolte in processi traumatici e cronici. Gli stabilizzatori (muscoli) della spalla che formano la cuffia dei rotatori sono:
• Sovraspinato: con la sua azione, abduce e ruota all’esterno (extraruota) il braccio, in sinergia con l’azione del deltoide
• Sottospinato o infraspinato: con la sua azione, ruota esternamente il braccio e rinforza la capsula dell’articolazione scapolo omerale, stabilizzandola.
• Sottoscapolare: con la sua azione, adduce e ruota verso l’interno il braccio (intrarotatore)
• Piccolo rotondo: con la sua azione, sinergica nei confronti dell’infraspinato, ruota debolmente verso l’esterno il braccio.
Quello che bisogna fare dunque, è rinforzare i muscoli stabilizzatori della spalla – troppo spesso sottovalutati – affinché si riduca l’incidenza di infiammazioni e di infortuni alla spalla stessa.
Analizziamo insieme gli esercizi da fare:
1. INTRA/EXTRA ROTAZIONE OMERO DALLA STAZIONE ERETTA
Il primo semplice esercizio da fare prevede l’utilizzo di due kettlebell con un peso relativamente leggero (8/12 kg). Dalla stazione eretta, con le braccia lungo i fianchi e i due kettlebell tenuti in mano, si extraruotano le braccia fino al massimo range articolare, e poi si intraruotano mantenendo sempre il massimo del rom. Durante l’esecuzione tecnica le braccia devono sempre rimanere lungo i fianchi e molto vicino al corpo.
Eseguite 3 serie da 12/15 ripetizioni per lato.
2. HALO
Si esegue sempre con un kettlebell relativamente leggero, anche se si potrà azzardare un carico leggermente più alto (12/16 kg). Dalla stazione eretta, si afferra il kettlebell in “bottom up” (con la “palla” rivolta verso l’alto) e si eseguono delle circonduzioni intorno alla testa, con l’attrezzo che resta sempre molto vicino al capo. I gomiti devono restare sempre vicini tra loro e mai allontanarsi. L’addome e i glutei devo sempre essere attivati per tutta la durata del movimento rispettando le curve fisiologiche del rachide.
Eseguite 3 serie da 10/12 ripetizioni.
3. SHRUG SHOULDER IN LOCK OUT CON KETTLEBELL
Dalla stazione eretta, con il kettlebell in lock out (incastro sopra la testa), si eseguono delle piccole spinte elevando e abbassando la scapola. Anche qui vanno rispettate le naturali curve fisiologiche della colonna, mantenendo l’addome e i glutei attivi.
Eseguite 3 serie da 8/10 ripetizioni per lato.
4. SHRUG DALLA POSIZIONE DI BODY ROW
Dalla posizione di body row (trazioni orizzontali con le ginocchia flesse a 90 gradi e le piante dei piedi ben salde a terra), si afferra la sbarra con le mani in pronazione alla larghezza delle spalle e – rimanendo sempre con le braccia tese – si portano le scapole in retrazione e poi in protrazione. I glutei restano contratti per tutta la durata del movimento.
3 set da 10 ripetizioni.
L’esercizio più avanzato potrà esser fatto alla sbarra con le braccia tese in alto. Questa volta le spalle non si “avvicinano e allontanano” ma dovranno scivolare prima verso il basso e poi verso l’alto (l’idea è quella di eseguire la parte iniziale della trazione ma senza flettere i gomiti). Attivate l’addome spingendo leggermente le vostre gambe in avanti mantenendole unite e tese.
3 set da 10 ripetizioni.
5. SHRUG INVERSO ALLA PARALLELE
L’esecuzione tecnica di questo esercizio è simile al precedente (shrug avanzato) ma questa volta cambia la posizione delle braccia. Mentre prima erano in sospensione verso l’alto, in questo esercizio si troveranno lungo i fianchi in appoggio sulle parallele. Mantenendo glutei e addome contratto, si dovrà anche qui fare una “scrollata” di spalle affinché le scapole possano prima scivolare in basso e poi in alto.
Eseguite 3 set da 10/12 ripetizioni.
Raccomandazioni
Gli esercizio sopra elencati, che aiutano a migliorare e a rinforzare la stabilità della spalla, non dovranno essere eseguiti tutti nella stessa sessione di allenamento. Un consiglio pratico è di allenarvi in base al vostro obiettivo. Per i lavori a terra, sono molto utili gli esercizi 1, 2 e 5. Per i lavori alla sbarra, con kettlebell o bilancieri, sono consigliati maggiormente gli esercizi 3 e 4 (sia nella forma semplice che in quella avanzata).
Buon allenamento a tutti!
Il recupero è parte integrante dell'allenamento
SPESSO SI TENDE A RISPETTARE IL RECUPERO TRA LE RIPETIZIONI DI UN ESERCIZIO, MA NON QUELLO A MEDIO-LUNGO TERMINE TRA UN'ALLENAMENTO E L’ALTRO.
LA FATICA È LA DIMINUZIONE, SIA PERCEPITA SIA OGGETTIVAMENTE MISURATA, DELLA CAPACITÀ FISIOLOGICA (NERVOSA E MECCANICA) DI ESEGUIRE UN LAVORO SENZA IL RECUPERO, INTESO COME PARTE INTEGRANTE DELL’ALLENAMENTO, LA PRESTAZIONE ATLETICA NON PUÒ PROGREDIRE NEL MIGLIORE DEI MODI.
Quando si parla di recupero, i più fanatici dell’allenamento tendono a snobbare questo argomento, continuando ad allenarsi, ignorando i campanelli di allarme che il proprio organismo invia. Anche io, ero uno di quelli che pensava solo ad allenarsi, portando al limite del possibile ogni singolo allenamento 6 giorni su 7. Più spingevo sull’acceleratore e più la mia prestazione invece di migliorare, si stabilizzava o addirittura regrediva. Se vi chiedessi ora quali sono le variabili più importanti per il raggiungimento della massima performance, probabilmente rispondereste l’allenamento e l’alimentazione. Ma se vi chiedessi qual è la variabile che limita i vostri progressi, la risposta che vi darei io sarebbe: molto probabilmente, il recupero.
Prima di porvi un’altra domanda, ci tengo a precisare quanto segue: esistono diversi tipi di recupero, sicuramente i primi due li applicherete in modo meticoloso: il recupero immediato che avviene tra le ripetizioni di un esercizio; il recupero a breve tempo tra le serie di un esercizio. Il nostro organismo (sia le strutture periferiche e sia il SNC) infatti deve necessariamente recuperare nell’immediato e nel breve tempo per portare a termine le ultime ripetizioni e fronteggiare l’esercizio o la serie successiva. Vedremo più avanti cosa accade e cosa viene ripristinato nel breve periodo.
Fatta questa premessa, eccovi ora l’altro quesito: non credete, quindi, che sia importante recuperare tra una sessione di allenamento e l’altra? La risposta la troviamo nel terzo tipo di recupero: il recupero a medio-lungo termine che avviene tra una sessione di allenamento e l’altra. Tornando alla domanda precedente, per comprendere bene il motivo del recupero a medio-lungo tempo, bisogna capire cos’è la fatica! Essa può essere avvicinata a quella sgradevole sensazione di stanchezza fisica e mentale.
Dopo una seduta di allenamento (stress fisico) più o meno intensa, la prestazione atletica subisce un calo, ed essa richiede un periodo di tempo variabile affinché possa essere ripetuta. La riduzione della performance prende dunque il nome di fatica. L’allenamento (o stimolo) provoca uno stress sia periferico (fibre muscolari, struttura tendineo-articolari etc.) che centrale (SNC). Se lo stimolo risulta essere allenante e se passa un “adeguato” periodo di riposo, allora la prestazione atletica dovrebbe migliorare; viceversa se lo stimolo risulta essere poco allenante, o se addirittura il volume di allenamento risulta essere eccessivo e il recupero troppo breve o nel caso contrario troppo lungo, la prestazione potrebbe subire un decremento. La fatica quindi può essere definita come la “diminuzione sia percepita, sia oggettivamente misurata, della capacità fisiologica (nervosa e meccanica) di eseguire un lavoro”.
Ecco dunque che il recupero risulta essere fondamentale per poter “azzerare” la fatica e “cancellare” i danni causati dall’allenamento. Possiamo definire il recupero come “un processo integrante dell’allenamento senza il quale la prestazione atletica non può progredire nel migliore dei modi”.
Due tipi di fatica:
LA FATICA PERIFERICA
L’allenamento, come visto in precedenza, provoca un danno. In questo caso la fatica periferica è data da un danno metabolico o tessutale che rende il muscolo incapace di rispondere meccanicamente o biochimicamente in modo ottimale agli stimoli. I fattori che determinano la fatica periferica sono:
1. esaurimento delle scorte energetiche (glicogeno muscolare, CP, ATP);
2. microlesioni muscolari;
3. accumulo dei prodotti del metabolismo (lattato, ammoniaca, radicali liberi, H+);
4. riduzione dell’eccitabilità muscolare;
5. alterazione dell’equilibrio ionico;
6. alterazioni ormonali;
Osservando questi fattori, possiamo riassumere che:
1. Le scorte energiche, quali la creatinfosfato (CP), vengono ripristinate entro i 2 minuti per l’80 per cento circa, entro i 4 minuti per il 90 per cento ed entro gli 8 minuti per il 100 per cento. Le scorte di glicogeno, a seconda dell’attività svolta e del tipo di alimentazione che viene seguita (una % maggiore glucidica favorisce il recupero del glicogeno), vengono ripristinate entro le 24/36 ore.
2. Il recupero totale da microlesioni muscolari (DOMS - Delayed Onset Muscle Soreness) avviene dai 2 ai 5 giorni (dipende dal grado di allenamento e dal carico di allenamento)
3. la quantità di lattato nel sangue torna a valori normali tra i 45 e 90 minuti circa (a seconda del grado di allenamento del soggetto e di quanto lattato verrà prodotto).
4. Il riequilibrio ormonale e della creatinfosfochinasi (CPK) entro le 60 ore.
LA FATICA CENTRALE
La fatica centrale si traduce in una diminuzione delle scariche elettriche da parte del sistema nervoso centrale (SNC) per produrre la massima forza. Per poter recuperare a pieno dai lavori di forza pura, il nostro SNC ha bisogno di recuperare per circa 70 ore. Oltre a questo, il SNC si “stanca” anche quando vengono introdotte nuove abilità tecniche o schemi motori, ed è richiesto un lasso di tempo affinché essi vengano poi “metabolizzati”. Non solo la struttura periferica ha bisogno di recuperare, ma anche il nostro SNC ha bisogno di recuperare dai lavori di forza massima o sub massimale e di “riprogrammarsi” quando vengono introdotti nuovi schemi o abilità motorie (neuroplasticità). Conoscendo ora la fisiologia e la biochimica, basterebbe alternare i lavori metabolici quali aerobici e lattacidi, ai lavori di forza (neuronali) per poter recuperare nel migliore dei modi. Basterebbe quindi variare volume, intensità, esercizi o distretti muscolari ed il gioco è fatto. Questo risulta essere vero fino ad un certo punto, in quanto non esistono allenamenti puri. Ogni allenamento, metabolico o neuronale, stressa con percentuali diverse, i due sistemi. Infine, non bisogna sottovalutare altri elementi che influenzano il recupero e che vengono classificati come intrinseci ed estrinseci.
• Fattori intrinseci (immodificabili): sesso, età, peculiarità individuali.
• Fattori estrinseci (modificabili): quantità e qualità del sonno, nutrizione, stress allenante, stile di vita e strategie per poter meglio recuperare.
Strategie per un recupero più veloce:
1. Alimentazione sana e bilanciata sia tra i macronutrienti (carboidrati, grassi e proteine) sia tra i micronutrienti (vitamine, minerali e oligoelementi).
2. Idratazione ottimale.
3. Stile di vita sano e regolare
4. Altre strategie che potrebbero accelerare il recupero anche se non ci sono reali evidenze scientifiche sono:
a) recupero attivo a bassa intensità post allenamento. Questa strategia aiuta a smaltire più rapidamente il lattato, ma non ci sono evidenze scientifiche che nel medio lungo termine possa accelerare il recupero.
b) Massaggi, foam roller: sembra che applicati post allenamento aiutino a recuperare dai DOMS e dalla fatica periferica.
c) Immersioni in acqua fredda: questa tecnica sembra che possa ritardare e ridurre le infiammazioni, i DOMS e la fatica percepita.
d) Stretching: esso risulta veramente importante per altri fattori, ma nel caso del recupero non sembra ci sia una reale evidenza scientifica, ne tanto meno per prevenire l’insorgenza dei DOMS.
Preso in considerazione quanto detto, è chiaro che ogni programma di allenamento dovrà essere cucito addosso variando i volumi di allenamento, l’intensità, i sistemi energetici e metabolici, e tenendo conto di tutte le caratteristiche individuali.
Un consiglio che posso dare sul recupero per soggetti poco allenati è di non superare i tre giorni a settimana. Chi invece è allenato e ha molta esperienza, può provare la strada del 2/1, ossia alternare due giorni di allenamento con un giorno di riposo. Ciò significa riuscire ad allenarsi 5 giorni su 7 senza sovraccaricare in modo eccessivo l’organismo. Date però ascolto sempre al vostro organismo, che resta sicuramente il miglior consigliere per i vostri allenamenti!
Allenamento con i pesi: si o no?
LE LINEE GUIDA DI NSCA E AAP INDICANO COSA FARE E COSA INVECE EVITARE. SI TRATTA DI UNA GRANDE POTENZIALITÀ PER GETTARE LE BASI DI FUTURI ATLETI MENO SOGGETTI A TRAUMI, PIÙ PROPORZIONATI E CERTAMENTE PIÙ SANI E PRESTANTI. STA AI TECNICI SFRUTTARE E PROPORRE ADEGUATAMENTE TALI OPPORTUNITÀ.
Quella dell’allenamento con i carichi sugli adolescenti è una questione annosa che da sempre trova pareri discordanti. Il dato di fatto è che, in molti casi, chi è contrario si affida più a luoghi comuni che non a certezze derivanti da ricerche scientifiche. Come sempre l'invito è di fare una scorribanda su PubMed per verificare cosa c'è. Digitando le parole “Resistance Training Young”, oppure “Resistance Exercise and Youth” o “Strenght Training Children and Adolescents”, ecco comparire una ricchissima bibliografia dove personalmente non sono riuscito a trovare studi che evidenzino malformazioni e problematiche derivate da questo tipo di allenamento. Anzi, praticamente tutta la bibliografia ne esalta il potenziale. Anche partendo ‘solo’ dagli anni Ottanta, uno studio di Merch su gemelli monozigoti di undici anni – di cui uno dei due eseguiva resistance training 2/3 volte a settimana e l’altro giochi di squadra – non evidenziava nessuna problematica scheletrica o diversità di altezza, ma grandi differenze sullo sviluppo muscolare e sulla prestazione. Ne è seguita una marea di studi, fra cui due importantissime linee guida da parte della NSCA (National Strenght Counceil Association) e della AAP (American Academy of Pediatrics) che, anche come categoria, si espongono in modo chiaro e incontrovertibile a favore dell'allenamento con i pesi. Sembrerebbe che l'età adatta sia quella indicata come Turgor Secundus, cioè intorno agli 8/9 anni, anche se a quell'età – così come anche in quelle a seguire – l'allenamento a circuito, ma con esercizi che comprendano l’uso dei carichi, pare essere una delle forme più adatte e divertenti. Questo fino al cosiddetto Turgur Terzius (13/15 anni) dove la maturazione ormonale e la maggiore precisione degli schemi motori determina una verticale crescita delle potenzialità legate all'allenamento con i sovraccarichi. È proprio in questa età che c'è la grande differenziazione fra maschi e femmine poiché queste ultime, pur continuando a “reggere” molto bene carichi in volume, ‘soffre’ invece un po’ in quelli ad intensità. Comunque, anche nelle età più giovani si notano interessanti aumenti di forza (circa 20/25 per cento in 8 settimane), questo a conferma che l'adattamento è soprattutto nervoso e non influenzato dall'intervento ormonale.
Tutti gli studi, ma soprattutto le linee guida delle organizzazioni insistono sul punto base: la sorveglianza competente e attenta da parte di un tecnico, la necessità di fare apprendere tecniche perfette e con la giusta progressione pedagogica.
Assurda e purtroppo ancora frequente la tendenza a fare incrementare l'intensità (il carico) su posture sbagliate e tecniche inesatte; questo è l'unico vero rischio, rischio che è comunque presente anche negli adulti dove, troppo spesso, facendo svolgere esercizi con i carichi in gruppo, si porta il soggetto a instaurare un regime di competizione che inevitabilmente punta in modo esclusivo alla prestazione cadendo spesso in grossolani errori di esecuzione e conseguenti alte possibilità di infortunio e traumi.
Una volta evidenziato questo punto chiave della sorveglianza e della tecnica, le linee guida della NSCA sono – in forma riassuntiva – le seguenti:
✔ Iniziare ciascuna sessione di allenamento con 5-10 minuti di riscaldamento dinamico
✔ Iniziare con carichi relativamente leggeri (non portati a esaurimento) e focalizzarsi sempre sulla tecnica corretta di esecuzione degli esercizi
✔ Eseguire 1-3 serie di 8-15 ripetizioni di vari esercizi per la parte superiore e inferiore del corpo
✔ Includere esercizi specifici che rafforzino il Core
✔ Focalizzarsi sullo sviluppo muscolare simmetrico e sull’equilibrio muscolare appropriato a livello delle articolazioni
✔ Aumentare la resistenza gradualmente (5-10%) di pari passo con il miglioramento della forza
✔ Eseguire il defaticamento con esercizi calistenici meno intensi e con lo stretching statico
✔ Iniziare l’allenamento contro resistenza 2-3 volte a settimana, a giorni alterni.
Riguardo alla progressione dei carichi, secondo le linee guida, è bene partire con 12, per poi passare con lo stesso carico a 14 e poi a 16. Quando si è in grado di fare l'obiettivo di ripetizioni preposte, tornare a 12 e aumentare (anche di poco, tipo 1 kg) e riprendere la progressione. Sui soggetti più grandini si può anche provare dalle 15 a scendere a 6, aumentando il carico e poi cercando di migliorare le ripetizioni. Fino ai 14 anni, i recuperi vanno bene anche di solo 1 minuto (per questo funzionano bene anche i circuiti); crescendo vanno aumentati. Da notare come l'uso dei carichi non influisca negativamente su flessibilità ed elasticità muscolare, se si ha la semplice accortezza di continuare ad allenarla e di non concentrarsi solo sul potenziamento (ma questa raccomandazione è valida anche sugli adulti). La scelta degli esercizi sarà, dove possibile, principalmente con movimenti multi articolari e preferibilmente con carichi liberi, evitando al massimo le macchine (anche se per i dorsali un lat machine è il benvenuto). Si può tranquillamente insegnare anche gesti potenti come le girate, tralasciando la ricerca del carico e perfezionando gesto e coordinazione.
La AAP conferma le linee guida sopra esposte, aggiungendo alcune raccomandazioni come:
✔ Gli adolescenti e preadolescenti devono evitare il power lifting e il body building e i sollevamenti con carichi massimali fino al raggiungimento della maturità scheletrica;
✔ Nei programmi finalizzati alla prevenzione e alla salute generale è bene integrare l'allenamento della forza con il lavoro aerobico
✔ Usare l’intera escursione articolare per ogni articolazione impegnata;
✔ Privilegiare i pesi liberi, sia perché le macchine sono tarate su misure adulte, sia per il maggior controllo dell’equilibrio che impongono questi attrezzi
✔ Importante ascoltare sempre ciò che l'adolescente comunica e creare un ambiente empatico fra trainer, genitori, compagni.
Da segnalare come gli insegnanti debbano primariamente personalizzare il lavoro. Infatti nelle fasce di età interessate a queste considerazioni è facile vedere, a parità di età, strutture fisiche con sviluppi completamente diversi che richiedono quindi non schemi precostituiti ma appositamente confezionati in base alla maturità muscolare e coordinativa del soggetto. Analogamente il trainer deve ben conoscere il carico settimanale complessivo di lavoro che l’adolescente svolge. Non è infatti anomalo trovare un adolescente che, oltre a 2/3 sedute di potenziamento, svolge anche allenamenti per giochi di squadra e altre attività tipo nuoto o giochi personali svolti con amici. Nonostante in queste fasce di età i recuperi siano ai massimi livelli, è sempre bene avere un quadro degli impegni e del tipo di vita che il giovane allievo svolge.
I benefici dell’allenamento con i carichi sui giovani è ben evidenziato dalla Tabella 1 tratta da “Pediatric Resistance Training: Benefit, Concerns and program design Consideration”, Faigenbaum e Myer ACSM 2010.
TABELLA 1
• Aumenta la forza muscolare
• aumenta la potenza muscolare
• aumenta la resistenza muscolare locale
• migliora le prestazioni delle abilità motorie
• aumenta la densità minerale ossea
• migliora la composizione del corpo
• migliora la sensibilità all'insulina
• migliora il profilo lipidico nel sangue
• riduce il rischio di lesioni legate allo sport
• migliora le prestazioni sportive
• stimola un atteggiamento maggiormente positivo verso l'attività fisica durante la vita
Da notare come si parli di miglioramenti della body composition. Infatti gli allenamenti con carichi, sia da soli che eseguiti a circuito, hanno dato grandi risultati anche nei ragazzi in sovrappeso nel migliorare il metabolismo (tra i punti c'è anche la sensibilità insulinica) e nel favorire la perdita di massa grassa e aumentare la massa magra. Certamente l'allenamento con i carichi è una grande potenzialità che permette di creare le basi per futuri atleti meno soggetti a traumi, più proporzionati e certamente più sani e prestanti. Sta ai tecnici sfruttare e proporre adeguatamente tali opportunità.