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Dhea, salute o prevenzione
LA STORIA DI GIORGIO BORTOLOZZI

bortolozzi

di Roberta Bezzi


Sospeso per doping a 79 anni, ritiene che sia sbagliato impedire agli atleti più anziani di assumere il DHEA che serve per garantirsi una vecchiaia più serena, e non migliori prestazioni sportive.

L’assunzione del DHEA serve solo per contrastare l’invecchiamento o anche per migliorare la performance di un atleta? Mentre esistono numerose ricerche che ne avvalorano l’effetto antiaging, non c’è certezza in merito all’aumento di prestazione. E se è vero che lo sport fa bene a tutte le età, cosa succede quando un atleta master assume il DHEA ‘a scopo terapeutico’? Risulta positivo all’antidoping. Come è capitato all’atleta trevigiano Giorgio Maria Bortolozzi (79 anni), il 28 febbraio 2016 ad Ancona, la cui storia ha fatto il giro del mondo. Bortolozzi è una delle icone del ‘masterismo’ italiano: recentemente vanta, infatti, i due titoli mondiali master M75 di Porto Alegre nel 2013, il duplice titolo europeo master M75 a Izmir l’anno dopo sempre nel lungo e triplo e il titolo mondiale nel triplo nel 2015 a Lione. Non bisogna dimenticare anche che Bortolozzi è una sorta di pioniere, essendo stato tra i primi a partecipare ai Campionati mondiali master di Goteborg nel lontano 1977, quando era M40. Da allora si contano anche oltre quaranta titoli italiani master, tra indoor e outdoor, e da qualche anno è considerato il ‘capitano’ della nazionale master. Nel dicembre 2015, inoltre, la FIDAL gli ha conferito il Premio alla Carriera, insieme al discobolo ultraottantenne Carmelo Rado. Ma c’è un altro particolare che rende particolare la vicenda di Bortolozzi: di professione ha fatto il medico e, dopo 20 anni alla Clinica Universitaria di Milano, è stato fino al 1999 primario di Ginecologia dell’Ospedale di Conegliano Veneto.

Dott. Bortolozzi, cosa pensa della squalifica di quattro anni che le è stata assegnata e contro la quale ha deciso di non fare ricorso?
«Mi è stato spiegato che l’attuale regolamento dell’antidoping prevede appunto una squalifica di questo tipo per chi dichiara di avere assunto scientemente un prodotto ‘dopante’, come è il mio caso, nonostante prendessi il DHEA a scopo terapeutico fin dal 2002. Già allora, dopo sei mesi di assunzione, ero stato testato e lo avevo dichiarato al medico controllore, come risulta da verbale. Solo che a quei tempi – così dicono – non c’era ancora la metodica atta a riconoscere nell’urina la presenza di un ormone di provenienza esogena, cosa proibita anche in dosi minimali, come si vede quasi ogni giorno a carico di sportivi illustri, ‘dopati’ per il semplice uso di una crema per le labbra! In definitiva, anche se io avevo ammesso di assumere il DHEA come terapia ormonale sostitutiva – cosa invece consentita alle donne con gli estrogeni, dopo la menopausa - , se questo non veniva rilevato all’esame chimico (anonimo), potevo continuare ad assumerlo, secondo un concetto che mi lascia veramente perplesso. Mi avessero dato allora una eventuale ammonizione, forse avrei smesso di fare atletica agonistica!».

Vista la definizione di doping della legge 376/2000, ritiene che l’utilizzo di un prodotto come il DHEA – da parte di una persona in cui le condizioni fisiologiche ne giustifichino l’uso a sostegno della salute – rientri fra le situazioni che prevedono un’esenzione terapeutica come da regolamento Coni?
«La legge sicuramente è fatta per gli atleti giovani, che si presumono sani e non necessitano quasi mai di terapie particolari, a parte i tanti ‘asmatici’, mentre non prende sicuramente in considerazione le persone oltre i 65-70 anni, che in gran parte fanno uso di varie medicine per le patologie dell’età avanzata e che non ne possono trarre profitto alcuno in termini di miglioramento delle prestazioni sportive. Quando ho iniziato ad assumere il DHEA – considerato negli Stati Uniti un semplice integratore – ho seguito le indicazioni della Società Italiana di Gerontologia, essendo affetto già allora dalla PADAM (Sindrome di parziale deficienza ormonale), diagnosticata mediante gli esami ematochimici, ripetuti più volte. Purtroppo, il DHEA non è ancora in libero commercio in Italia, tuttavia si può farlo preparare in farmacia come prodotto galenico. Manca tuttora una sperimentazione su larga scala, che consenta di farlo inserire nell’elenco delle specialità farmaceutiche dell’Unione Europea, non considerando sufficiente quella fatta negli USA da vari anni, che ha portato alla fine a considerare il prodotto un semplice integratore e non uno steroide anabolizzante – cosa smentita da recenti articoli scientifici – come ritiene la WADA».

Non ha mai pensato di perseguire la strada di richiedere tale permesso direttamente al CONI?
«Ho provato a chiedere l’esenzione TUE, rivolgendomi alla apposita Commissione del CONI, ma mi è stato risposto immediatamente “Denied” (ndr, “Negato”) via mail, dato che evidentemente non c’è competenza al riguardo, ossia su un ormone su cui da anni sono state scritte decine di articoli ed è suggerito come terapia anti-age dai gerontologi. Ovviamente, essendo quasi un pioniere in questo senso, per lo meno tra gli sportivi, in questi 15 anni mi sono sottoposto a regolari controlli ematici e, anche recentemente, ecografici, tutti risultati nella norma, a parte un leggero diabete da pochi mesi, a proposito del quale il DHEA è considerato un vantaggio per il miglior utilizzo dell’insulina».

Che lei sappia esistono studi che evidenzino come il DHEA possa decretare aumenti di prestazioni?
«Gli studi fatti finora non hanno dimostrato, dopo una certa età, un effetto anabolizzante, di aumento della massa muscolare o di riduzione della massa grassa – cosa che si persegue con altri prodotti ormonali – né miglioramento delle prestazioni, per lo meno ai dosaggi utilizzati nelle varie sperimentazioni cliniche (50 mg/die). Nei giovani – utilizzatori in passato – si sono addirittura verificati effetti collaterali spiacevoli, tipo aumento del seno, per cui da tempo questa terapia è stata abbandonata come tentativo di doping».

Secondo lei lo sport agonistico è sempre salutare oppure con l’alterazione di determinati parametri, anche fisiologicamente dovuti all’età, si corre il rischio diventi uno stress eccessivo?
«Sicuramente lo sport – agonistico o no – si dimostra salutare a tutte le età, sotto tutti i punti di vista, purché non porti a eccessi che sono in grado di ridurre le risposte anticorpali, per eccesso di stress, sia fisico che psichico. Il discorso è abbastanza complesso e spetterebbe a ognuno di noi scegliere sia lo sport meno a rischio, anche dal punto di vista traumatologico, che l’intensità degli allenamenti, a meno che non lo si consideri una professione e allora cade ogni barriera sulla prevenzione dei possibili danni, in funzione del guadagno o della gloria anche effimera. Personalmente ho praticato vari sport agonistici, però sempre pensando che la mia professione sarebbe stata quella di medico, per cui non ho perso un anno di università, pur giocando a basket in Serie A e arrivando a vincere due titoli italiani assoluti nel salto in lungo, a 25 e 27 anni, dopo la laurea, senza mai ricavare una lira/euro dallo sport».

Che tipo di reazione ha suscitato fra le persone a lei vicine, sia atleti che amici e pazienti, tutto questo polverone suscitato dalla sua vicenda?
«A parte qualcuno fuori del coro, la mia ‘privacy’ è stata abbastanza rispettata, anche perché dovevo spiegare a ognuno – medici compresi – cos’era il DHEA e a cosa serviva nel mio caso, cosa quasi sconosciuta. Una delle poche note stonate è stata l’intervista del presidente del Comitato provinciale della FIDAL, che asseriva che io davo ai giovani un cattivo esempio, per aver avuto cura della mia salute negli ultimi quindici anni. Spero allora di aver dato un buon esempio ai vari anziani, che da allora mi contattano per telefono o via mail, per avere consigli».

Crede che occorra più informazione e conoscenza fra sportivi e medici sul reale impatto psico-fisico che molte molecole viste con sospetto, possono avere anche come riscontri salutistici?
«L’argomento si presta a varie considerazioni, visto l’uso e l’abuso di integratori e prodotti vari, spesso contaminati, da parte di sportivi poco esperti, magari consigliati da medici non preparati o del tutto ignoranti di farmacologia. Quello che io pretenderei, da parte del sistema antidoping, sarebbe considerare prima la persona e poi l’atleta, evitando di vietare a chi fa sport di utilizzare medicine usate dalla gente comune, specie se anziani, e magari acquistabili senza alcune ricetta in farmacia o nei supermercati, per un possibile effetto dopante che, per la maggior parte delle sostanze incluse nella lista proibita, non è mai stato dimostrato con sperimentazioni cliniche. Invece, attualmente, con questo atteggiamento discriminatorio, gli sportivi – anche amatoriali – vengono spesso trattati come delinquenti a tutte le età, visto che il ‘doping’ in Italia è reato penale, rischiando così anche per il semplice uso di una pomata cicatrizzante di essere mandati a processo, previa visita e perquisizione dei Nas a domicilio».


LEGGE 376/2000 - DEFINIZIONE DI DOPING
1. Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.
2. Ai fini della presente legge sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2.
3. In presenza di condizioni patologiche dell'atleta documentate e certificate dal medico, all'atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento purché sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tale caso, l'atleta ha l'obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione e può partecipare a competizioni sportive, nel rispetto di regolamenti sportivi, purché ciò non metta in pericolo la sua integrità psicofisica.


IL PARERE DELL’ENDOCRINOLOGO ALVISE PASCOLI
IL DHEA NON È L’EPO. SÌ COME ANTIETÀ.

Che cos’è il DHEA?
«È un ormone prodotto dalla ghiandole surrenali che si trasforma in androgeno (ormone mascolino) oppure in estrogeno (ormone femminile), a seconda del sesso e dell’età della persona. Il DHEA ha un suo percorso fisiologico: è bassissimo appena nati, poi aumenta in età pediatrica e adolescenziale, mentre raggiunge il culmine a 25 anni. Dopodiché, diminuisce progressivamente e oltre i 75 anni, può scendere persino del 90 per cento».

Fa bene o fa male l’assunzione del DHEA a scopo anti-età?
«Personalmente non sono un grande distributore di questo prodotto che, fra l’altro, non è di grosso uso perché difficile da reperire e preparato per lo più in forme galeniche. Secondo numerose ricerche scientifiche, nell’anziano può rallentare gli effetti dell’invecchiamento».

L’assunzione del DHEA, quale conseguenza può avere in un atleta giovane o in atleta master?
«Sull’atleta giovane non va bene. La somministrazione non è giustificata in quanto il ventenne ha già una secrezione alta di questo ormone, per cui l’effetto ‘sommatorio’ diventa certamente doping. Diverso il caso di un atleta master: se preso a scopo anti-età nulla da dire, se per migliorare la performance invece non ha senso. Non si può ‘tornare indietro nel tempo’ e l’atleta di una certa età deve rassegnarsi a fare prestazioni in linea con i suoi coetanei. Forse sarebbe il caso di fare controlli antidoping diversi in base all’età dell’atleta. In ogni caso, anche l’atleta più anziano deve rispettare le regole, almeno fintando che non cambino. Pur essendo una cosa ‘aggiunta’ nel corpo, il DHEA non va però demonizzato: non è l’EPO».


IL PARERE DEL MEDICO DELLO SPORT ALBERTO MARIO BARGOSSI
DHEA: NON CI SONO PROVE EVIDENTI CHE AUMENTI LA PERFORMANCE O FUNZIONI COME ANTI-AGING

«In via di principio, credo che le leggi vadano rispettate. Se è il caso, si può valutare se emendarle e correggerle. Anticipo che, come medico e medico dello sport, ritengo che – quando esistano condizioni patologiche – non dovrebbe esser concessa o dovrebbe essere sospesa l’idoneità medico-sportiva all’attività sportiva agonistica, per tutelare prima di qualsiasi altro interesse la salute del praticante. Nel caso del dott. Bortolozzi, non vedo motivo per discostarmi dal principio di obbedienza. Ecco alcuni punti che mi preme approfondire.

1. PROBLEMA DHEA
Sul Dhea le opinioni sono divergenti. Sulla base della mia esperienza come esecutore dei controlli antidoping per diverse federazioni del Coni, so – da confidenze riservate e per così dire ‘fuori verbale’ – che per anni e fino a quando le tecniche analitiche erano insufficienti a individuare somministrazione di ormone di origine esogena, atleti importanti ne hanno fatto uso seguendo il consiglio di chi li aveva convinti che ne avrebbero tratto un vantaggio in termini di performance. Evidenza questa mai dimostrata, però. Inutile a quanto so, ogni mio intervento dissuasivo. Più facilmente si crede ciò che si desidera.

2. AUTOSOMMINISTRAZIONE
L’argomento secondo cui l’auto-somministrazione ripristini uno stato fisiologico mi vede contrario: se un atleta non può competere senza farmaci esogeni di tipo ormonale, io non rilascerei l’idoneità agonistica per il periodo durante il quale è in terapia. Lo stesso varrebbe se il farmaco ormonale in questione fosse l’eritroproteina! L’esempio Armostrong-testosterone può valere da monito.

3. APPROCCIO ANTI-AGING
Diverso è l’approccio anti-invecchiamento. Secondo alcuni gerontologi, il Dhea esogeno potrebbe esser capace di reintegrare una progressiva minor sintesi endogena. Analogo ragionamento è fatto per GH, etc. E qui, non dovremmo sottovalutare il passaparola senza fact checking, né l’enorme interesse commerciale in una popolazione che sta invecchiando. Ma anche qui, più facilmente si crede ciò che si desidera. Anche in tal caso, il modello di reintegro e conseguente miglior stato di salute-benessere non è supportato da prove forti di evidenza. Vale per il Dhea e vale per il GH. Si vede solo un aumento della concentrazione plasmatica il cui significato fisiologico però è tutto da capire.

4. UROLOGI DIVISI
Anche gli urologi sono divisi in due parti: quelli secondo cui il Dhea esogeno faciliti l’iperplasia prostatica e quelli per cui l’iperplasia prostatica sia indifferente al Dhea, tanto che anche una eventuale maggior problema prostatico sia comunque indipendente dalla terapia con Dhea.

5. IL CASO BORTOLOZZI
Con il massimo rispetto per il collega Bortolozzi, che certamente fa bene a continuare nella sua attività sportiva – e di questo sì che esistono prove forti di evidenza –, mi pongo la domanda che posi una decina di anni fa a me stesso: se davvero siamo convinti che gareggiare nelle categorie master (nel mio caso, salire ancora sul tappeto per incontri di lotta greco-romana) abbia un senso diverso dal gratificare il nostro ego?».