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L’ACRO PHYSICAL THEATRE DI PAOLO BENEDETTI

 

di Roberta Bezzi

 

 

Quando va a teatro, il pubblico ama essere incuriosito, coinvolto e sorpreso. Questo è uno dei motivi per cui l’elemento acrobatico è sempre molto apprezzato nella danza. Forte della sua esperienza prima di atleta e poi di  performer, Paolo Benedetti è riuscito a maturare nel tempo una visione contemporanea delle tecniche acrobatiche, in grado di integrare la spettacolarità e l’armonia che la danza da sempre regalano. Ha utilizzato cioè la danza contemporanea come strumento con cui contaminare le sue conoscenze dell’acrobatica. Come docente, la sua didattica è frutto di una personale sperimentazione e contaminazione delle esperienze trasversali direttamente vissute. 

Paolo Benedetti, da ginnasta a danzatore...

«Come ginnasta, ho fatto attività agonistica dai 6 ai 18 anni, poi ho dovuto interrompere a causa di un piccolo infortunio. In quel periodo, ho sentito la necessità di non disperdere il bagaglio acquisito e di mettere a disposizione la mia esperienza in un altro settore che ha sempre al centro il movimento. La danza contemporanea è stato il linguaggio più efficace in cui ho trovato subito interesse e una piena soddisfazione».

Quali sono state le tue prime esperienze artistiche, prima di approdare in Kataklò?

«Per un paio d’anni, dal 2005 al 2007, ho lavorato in piccole formazioni. Insieme all’attore Massimiliano Burini e alla coreografa Arianna Cianchi, ho contribuito alla crescita della compagnia di teatro-danza, “OcchiSulMondo”. Fondamentale è stata anche l’esperienza di studio con German Jauregui, ex danzatore della compagnia Ultima Vez di Wim Vandekeybus che, grazie a uno stile molto fisico e contemporaneo, mi ha aiutato a unire l’acrobatica con la danza. Nel 2007, spinto dall’amico Burini mi sono presentato a un’audizione di Kataklò. Ero scettico perché avevo già 28 anni e da nove anni non mi allenavo più ad alto livello. Con grande sorpresa, sono stato preso, prima come danzatore e, dopo quattro anni di esperienza sul palco, come assistente coreografo. Nel 2014 ho interrotto la collaborazione, anche se sono rimasto in ottimi rapporti con Giulia Staccioli, la fondatrice della compagnia».

Che ricordo hai del periodo passato con i Kataklò?

«È stata l’esperienza più significativa e totalizzante mai fatta, quella che più ha dato identità a tutto il mio percorso. Un grande arricchimento, in quanto mi ha consentito di costruirmi a livello fisico, artistico e coreutico. Grazie a Giulia, ho avuto il privilegio di prendere parte a grandi tournée in giro per il mondo con quattro produzioni: “Play”, “Up”, Livingstone” e “Love Machines”. Porterò per sempre nel cuore anche l’esibizione durante le Olimpiadi della Cultura, antecedente i Giochi Olimpici di Pechino 2008, un grande sogno che si è realizzato. Nel 2011 poi, quando ho sospeso l’attività performativa, mi sono dedicato alla didattica ed è come se si mi si fosse aperto un nuovo mondo che desideravo ardentemente scoprire e sviluppare».

Qual è stata la maggiore difficoltà nel processo di contaminazione e di dialogo fra questi due mondi?

«Senza dubbio, la mia trasformazione, l’adattare il mio corpo alle richieste dell’universo della danza. Da ginnasta, ho dovuto ‘spogliarmi’ di quel controllo e di quella rigidità a cui ero abituato, e che un codice dei punteggi mi imponeva. Una sorta di destrutturazione, per ammorbidire i gesti e farli diventare quelli di un danzatore. Però ho avuto la fortuna di essere presto premiato dei tanti sacrifici fatti».

Attualmente, l’insegnamento riveste una parte importante della tua professione. Come nasce questa attitudine?

«Ben prima di quella di performer. Dopo il mio infortunio, mi sono laureato in Scienze Motorie e, parallelamente, ho cominciato a insegnare nella società, dove in precedenza svolgevo l’attività di atleta, insegnando nel settore maschile e femminile di ginnastica artistica e in quello del trampolino elastico. Quando sono entrato in Kataklò, già da dieci anni insegnavo acrobatica e presentavo in giro per l’Italia seminari di acrobatica rivolti a breaker o sportivi di altre discipline, dallo snowboard al volteggio equestre. Ho sospeso l’attività solo negli anni in cui ho danzato, per poi riprendere affiancando Giulia Staccioli nell’Accademia Kataklò, come direttore operativo e responsabile della formazione».

Come insegna l’acrobatica ai danzatori?

«A seguito del mio processo di contaminazione e della mia esperienza scenica, il contenuto dei miei corsi non è più la mera tecnica acrobatica ma un’esperienza trasversale che amo definire acro physical theatre. In genere, propongo tre diverse tipologie di seminari: acrobatica contemporanea; physical contact, ossia lo studio del contact e della biomeccanica nel lavoro di partnering, atto alla costruzione di prese dinamiche; acrofloorwork, che è un’integrazione e contaminazione delle tecniche di acrobatica contemporanea con quelle di floorwork».

Quali ostacoli incontra un danzatore che si avvicina all’acrobatica?

«Le difficoltà sono uguali sia per un danzatore, sia per chi ha già una componente acrobatica acquisita. Questo perché il mio linguaggio rimescola le singole competenze, generando un’ampia e nuova cooperazione tra le parti in gioco: acrobatica, danza, teatro.  Il danzatore che è già in possesso di competenze specifiche, nel momento in cui viene introdotto in un altro contenitore, tende ad ‘azzerare’ le proprie abilità primordiali, così come l’acrobata. Si riparte insieme, nella consapevolezza che il lavoro di contaminazione è diverso per tutti e mira a valorizzare le singole doti. Iniziando dal recupero della parte più istintiva del movimento, che in fase adulta spesso viene a perdersi o a impoverirsi, si avvia il processo di studio del movimento, analizzando la sua struttura, attraverso i principi della biomeccanica, e il recupero del concetto funzionale delle azioni. L’intento è di svestirsi di ogni tecnica, per permettere il sincero recupero della percezione dell’azione, allontanandosi dall’approccio celebrale e razionale, e riappropriarsi dell’autonomia del movimento, fondamenta necessarie, sulle quali, in seconda fase poggiare le competenze tecniche dei vari linguaggi». 

 

Paolo Benedetti  è insegnante I.D.A. per il corso  di AcroFloorWork. Maggiori informazioni su www.idadance.com

 

©  Expression Dance Magazine - Dicembre 2015