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Mercoledì, 01 January 2020 12:00

E dopo gli sgarri delle feste natalizie?

UN APPROCCIO “PIÙ OLISTICO” PER OTTIMIZZARE I GIORNI DI “RECUPERO” TRA LE FESTE COMANDATE

Siamo giunti alle feste natalizie che, quasi inevitabilmente (ci sono anche i maniaci full diet) lasciano qualche strascico sia in kg reali che in “sensi di colpa”. Come fare per evitare di appesantirsi troppo senza rinunciare al piacere di piatti trasgressivi o al fatto di ritrovarsi in famiglia per festeggiare? Come sempre non esistono formule magiche, si potrebbe andare dal semplice “assaggia tutto ma riduci al minimo le porzioni” fino al “massacrati di attività fisica”. Entrambi i suggerimenti potrebbero funzionare, ma si può usare un approccio più olistico. Certamente fare attività fisica va bene, ma non è necessario fare per forza quello che fate durante l’anno, a volte introdurre lunghe passeggiate è già un modo per tenere metabolismo e digestione attivi, logico che se siete in vacanza, esempio in montagna, sarà divertente fare sci piuttosto che sci di fondo, ma anche del trekking invernale. Se rimanete a casa potete anche andare nella vostra “solita” palestra ma prediligete dei training diversi, magari dei circuiti, provate a frequentare delle classi (se abitualmente fate la sala pesi) o viceversa. Uscire dagli schemi può essere anche un fattore di motivazione che ci fa poi tornare ricaricati al programma iniziale. Segue poi il collegamento sul punto numero uno, cioè di non esagerare con le porzioni e soprattutto non è detto che se ci sono 3 primi occorra per forza “sorbirseli” tutti e tre...

Il punto cardine potrebbe però essere nei giorni di “recupero”, vale a dire nei giorni non di “festa comandata”. In questi giorni è importante fare attività fisica, ma soprattutto organizzare uno o due giorni di depurazione. Andiamo quindi di tè verde + 1 yogurt con dentro della fibra al mattino, poi pranziamo con passati o minestroni, nel pomeriggio solo se si ha fame mangiamo 1 frutto, ceniamo con una grande insalata mista (ma anche verdura cotta) con 1 pacchetto di crackers e solo se si ha veramente fame del tonno o 1 uovo sodo. La regola del bere molto vale sempre: vanno benissimo anche tisane o tè verde. Può sembrare banale, ma questa è una “formula” che funziona e cerca di creare una “compensazione” calorica con il surplus dei giorni precedenti. Il periodo delle feste può essere visto come un buon momento anche per fare un attimo di stop dalla normale routine di palestra, provare a fare qualche cosa di alternativo e questo suggerisce quindi di uscire anche dal normale approccio alimentare. Dal punto di vista integrativo c’è un altro buon motivo per abbandonare aminoacidi, creatine e altri supporti, bene invece degli antiossidanti e degli stabilizzatori glicemici come il cromo o il lipoico. Se siete abituati ad usare degli omega 3 continuate pure. Alcuni usano con soddisfazione dei “risparmiatori” nei confronti di grassi e carboidrati tipo dei mix di Chitosano e la Garcinia Cambogia (si usano nei 20 minuti prima dei pasti ma non vi aspetate miracoli e non lo usate come “alibi” per mangiare di più con la scusa tanto non l’assimilo...). Come tisane sono ottime quelle a base di carciofo, tarassaco e cicoria, da bere soprattutto a stomaco vuoto con una azione positiva sul gonfiore e sul fegato. Valutare poi anche l’inserimento di ceppi misti di Probiotici; gli stravizi non sono amici della flora batterica e, anche per evitare fermentazioni, un ciclo di integrazione che vi accompagna fino a dopo il 6 gennaio non è male. Una nota particolare si può indicare per l’alcool, ma questa vale sempre, va bene che per le feste i brindisi sono d’obbligo, ma ogni sportivo sa che l’alcool è un NON alimento, che altera metabolismo e trigliceridi, cercare quindi, al di là dei momenti ludici in compagnia, di ridurlo al minimo e , soprattutto nel post feste, provare a fare un periodo di disintossicazione. Stesso discorso per le bibite, anche le famose light, per un po' provare a ridurle o toglierle dona certamente un input positivo. Riassumendo , nessun segreto, moderazione nelle dosi di tutto, grande utilizzo di verdure e liquidi nei giorni di “depurazione”, continuare a fare attività fisica anche di tipo diverso dall’abituale. Come in molti casi può sembrare fin troppo semplice, ma spesso le cose semplici sono quelle che funzionano meglio. Il “problema” è quasi sempre la nostra mente che entra in un pericoloso “loop” dove per quasi 15 gironi ci si concede ogni eccesso dicendoci (sapendo di mentire) tanto poi recupero… questo non considerando che poi ci sono da finire gli avanzi ed i vari panettoni e leccornie ricevuti in regalo…

Buon “post feste” a tutti!  

Pubblicato in Fitness news

DUE STUDI SCIENTIFICI PER UN'ANALISI PIÙ APPROFONDITA SULLE PROBLEMATICHE DELL’APPORTO PROTEICO NELLA MALATTIA RENALE CRONICA E SULL’INCIDENZA DELLE PROTEINE VEGANE NELLA RIDUZIONE DEL CANCRO E DELLE PATOLOGIE METABOLICHE

So bene che il titolo è vastissimo, un poco presuntuoso e dalle molteplici interpretazioni, ma ritenendomi persona di apertura mentale mi sembrava giusto condividere la lettura di un paio di studi. Chi mi conosce sa che non sono vegano e che nella mia filosofia trovo difficoltà ad abbracciare in toto una tale scelta nutrizionale; ciò non toglie che ho il massimo rispetto per chi segue questo tipo di corrente. Ho voluto però analizzare i contenuti di 2 studi, uno recente (marzo 2019) e l’altro più datato (1999); entrambi analizzano le “potenzialità” di alimentazioni a base vegetale. Il primo ha come titolo “Adequacy of Plant-Based Proteins in Chronic Kidney Disease”, quindi l’analisi dell’uso delle proteine vegetali nelle malattie renali; uscito su J Ren Nutrition marzo 2019 (Joshi S). In questo studio si analizzano le problematiche dell’apporto proteico nella malattia renale cronica. Le linee guida che emergono sottolineano come “potenzialmente” le proteine animali possano contribuire al peggioramento di altri parametri come la pressione sanguigna, l’acidosi metabolica e l’iperfosfatemia. Le proteine di origine vegetale possono invece essere sufficienti per soddisfare i requisiti sia di quantità che di qualità. È stato osservato che coloro che consumano principalmente diete a base vegetale consumano circa 1,0 g / kg / giorno di proteine, questo considerando che normalmente nei pazienti con insufficienza renale cronica consigliano 0,7-0,9 g / kg / die di proteine. In chi ha sostituito le proteine animali con quelle vegetali non si sono riscontrati effetti negativi; inoltre hanno mostrato una riduzione della gravità dell’ipertensione, dell’iperfosfatemia e dell’acidosi metabolica. La conclusione è che le proteine vegetali, se consumate in una dieta variata, non sono solo particolarmente adeguate dal punto di vista nutrizionale, ma hanno effetti che inducono molteplici cambiamenti positivi nei pazienti con insufficienza renale cronica. Si sottolinea che occorre ben dosare le componenti aminoacidiche degli alimenti per evitare carenze di essenziali che comporterebbero, soprattutto in una alimentazione con quota proteica così bassa, un possibile catabolismo, questo soprattutto in presenza di attività fisica.

Il secondo studio, pubblicato su med Hypotheses nel dicembre 1999 (McCarty), ha come titolo “Vegan proteins may reduce risk of cancer, obesity, and cardiovascular disease by promoting increased glucagon activity”, quindi come le proteine vegane possono ridurre il rischio di cancro, obesità e malattie cardiovascolari promuovendo una maggiore attività del glucagone. Quella che riporto in seguito è in pratica la traduzione dell’abstract. “Gli aminoacidi modulano la secrezione di insulina e glucagone, quindi anche le proteine che assumiamo possono farlo. Le proteine di soia sono più elevate negli aminoacidi non essenziali rispetto alla maggior parte delle proteine alimentari di origine animale e, di conseguenza, dovrebbero preferibilmente favorire la produzione di glucagone. Agendo sugli epatociti, il glucagone promuove (mentre l’insulina inibisce) i meccanismi che riducono la regolazione degli enzimi lipogenici e la sintesi del colesterolo. Vengono invece regolati i recettori LDL epatici (colesterolo “cattivo”). Le proprietà insulino-sensibilizzanti di molte diete vegane - ad alto contenuto di fibre, a basso contenuto di grassi saturi - dovrebbero amplificare questi effetti riducendo la secrezione di insulina. Inoltre, il contenuto di aminoacidi essenziali relativamente basso di alcune diete vegane può ridurre la sintesi epatica di IGF-I (ottimo per l’ipertrofia ma molti oncologi ne guardano con timore gli eccessivi sbalzi). Pertanto, ci si può aspettare che le diete a base di proteine vegane abbassino i livelli sierici di lipidi, promuovano la perdita di peso e diminuiscano l’attività IGF-I circolante. In effetti i vegani tendono ad avere lipidi sierici bassi e una riduzione del rischio per alcuni tumori tipicamente “occidentali” (carcinoma mammario e del colon, nonché al carcinoma prostatico); hanno però fisici magri e mediamente una statura più bassa. Una dieta vegana ha documentato l’efficacia clinica nell’artrite reumatoide. L’elevata attività dell’IGF-I associata alla forte ingestione di prodotti di origine animale potrebbe essere in gran parte responsabile dell’epidemia di tumori tipici nelle società benestanti. Un aumento dell’assunzione di sostanze fitochimiche (come quelle contenute in molti alimenti vegetali) può potenzialmente contribuire alla riduzione del rischio di cancro nei vegani. La regressione delle stenosi coronariche è stata documentata durante le diete vegane a basso contenuto di grassi (soprattutto se abbinate ad allenamento); tali regimi tendono anche a migliorare notevolmente il controllo diabetico e abbassare la pressione sanguigna. Il rischio di molti altri disturbi degenerativi può essere ridotto nei vegani.

Come sempre, se ci si diletta a cercare sui motori di ricerca scientifici, è facile trovare anche tesi opposte; a mio avviso , come spesso accade, la verità sta nel mezzo e non possiamo parlare genericamente di alimenti se non sappiamo come sono stati allevati gli animali da carne oppure che tipo di coltivazione (ed in quale contesto) sono state cresciute le piante da cui si traggono alcuni alimenti. Alla base ci dovrebbe essere la ricerca della qualità nella catena alimentare, poi certamente occorre fare la scelta delle fonti, dove anche qui sono certo che occorra avere una varietà di opzioni dove tendenzialmente non si dovrebbe escludere nulla. Lo so, sembrano i consigli della nonna ma queste soluzioni vanno poi calibrate in base a gusti, obiettivi e biotipologia fisica. è molto difficile avere la soluzione preconfenzionata adatta a tutti. Vorrei sottolineare che studi anche recenti evidenziano come, in persone sane (e soprattutto sportive), una alimentazione con importante componente proteica non crea particolari problemi renali. Questo per “tranquillizzare” i tanti amanti del fitness e del resistance training che seguono alimentazioni con una sostanziosa presenza proteica. L’importante, come sempre, è non esagerare!

Pubblicato in Performance n. 3 - 2019
Mercoledì, 13 November 2019 12:00

Il virtual coach per percorsi alimentari digitali

Oggi è possibile perdere peso, cambiare stile di vita e migliorare il proprio stato di salute grazie ad innovativi programmi alimentari con un supporto continuo via app, email, WhatsApp!

Alla già innovativa figura del Personal Coach Virtuale che propone programmi di allenamento che portano ad uno stato di forma ideale si affianca la figura di un Digital coach attraverso il quale seguire un programma di formazione ed educazione alimentare fondamentali per il raggiungimento di un completo stato di fitness e wellness. Il coaching risulta infatti fondamentale per assistere, sia in termini motivazionali sia psicologici e comportamentali, tutti coloro che affrontano un percorso alimentare che per essere efficace non può esaurirsi in pochi mesi, ma necessita di essere supportato costantemente.

Nascono a tale scopo le prime applicazioni con apposite piattaforme attraverso le quali è possibile ricevere aiuto ogni giorno. Le parole d'ordine di questi progetti sono: “Supporto continuo, su misura e in sicurezza”! Una task force di professionisti quali specialisti della nutrizione, ortopedici, cardiologi, psicologi, medici dello sport ed esperti del fitness, ha generato un confronto produttivo che ha portato alla realizzazione di programmi di coaching per seguire soggetti alle prese con un nuovo regime alimentare sotto specifica prescrizione medica.

Un primo esempio di protocollo può seguire questa tipologia di iter: dopo la visita medica si stabilisce un primo colloquio di persona o via Skype, a cui segue un costante contatto giornaliero attraverso un messaggio al giorno su WhatsApp, via mail o con sms, a seconda della necessità di tipo motivazionale o pratico/organizzativo, con lo scopo di inviare delle pillole educative verso una filosofia di vita funzionale incentrata sulla prevenzione. Il percorso poi prosegue con una telefonata a settimana per la raccolta di informazioni cliniche da condividere con lo staff medico.

Una seconda tipologia di programma digitale di attuale applicazione prevede un percorso digitale di 90 giorni che guida le persone verso il loro peso forma: si comincia con un test necessario a fornire i dati antropometrici e calcolare il peso forma, l'indice di massa corporea, il fabbisogno calorico giornaliero e il peso ipotetico raggiungibile. Il coach, anche in questo caso designato per educare ad uno stile di vita sano ed equilibrato, contatta i suoi “adepti” con una mail al giorno oppure una mail ogni cinque giorni, con lo scopo di motivarli e potenziarli attraverso anche un costante invito ad incrementare l'allenamento per dare una spinta al metabolismo.

La progettualità dei percorsi alimentari digitali si sta dimostrando un ottimo strumento per realizzare un ricchissimo database che viene utilizzato per effettuare continue ricerche in ambito nutrizionale e ad oggi ha evidenziato notevoli miglioramenti su alcuni disturbi fisici, come cefalee croniche e ipertensione, in molti utenti che hanno intrapreso un percorso dietetico corretto. Un nuovo passo della tecnologia verso la ricerca di un ideale stato di benessere fisico e mentale!  

Pubblicato in Fitness news
Martedì, 15 October 2019 15:18

Alimentazioni chetogeniche

Uno dei nomi più sentiti e letti nel settore del dimagrimento, fitness è “chetosi”, una parola che si collega ad fenomeno metabolico che molte volte viene associato alle diete iperproteiche; in realtà la chetosi è legata specificatamente al metabolismo dei grassi e non delle proteine; infatti dal metabolismo proteico possiamo ricavare energia da quel processo più genericamente chiamato neuglucogenesi, cioè quella degradazione che permette di produrre glucosio a partire da precursori non saccaridici come il piruvato, lattato, glicerolo e, per l'appunto, gli amminoacidi di derivazione proteica. Per attuare una dieta chetogenica occorre quindi non tanto ci siano tantissime proteine, ma tanti grassi e soprattutto pochissimi carboidrati (per i motivi che vedremo poi).

Ma queste diete sono veramente così pericolose come molti studiosi affermano? Oppure tutto sommato hanno una logica metabolica che le fa rendere “interessanti” e perlomeno “gestibili” nella fase più delicata di un alimentazione volta al dimagrimento?
Molte diete attualmente di grande modo sono infatti ispirate alla chetosi; storicamente la più famosa è la Aktins ;però e utile ricordare che in tale filosofia alimentare la scelta 0 carb è da associare solo al primo periodo, poi subentra un graduale reinserimento di questi ultimi (selezionati nella tipologia) fino a trovare il “punto di equilibrio” quantitativo per quel determinato soggetto.
Stiamo quindi parlando di scelte alimentari che riducono a pochi grammi i carboidrati totali giornalieri, questo senza eseguire riduzioni caloriche, l’essenza è dunque nella scelta degli alimenti, non è quantitativa ma qualitativa.
Infatti una delle convinzioni dei sostenitori delle diete chetogeniche è che le riduzioni caloriche (magari sempre più restrittive) abbattono il metabolismo, così come l’estremizzazione, cioè il digiuno è il primo stimolo per innescare il catabolismo derivato dalla neoglucogenesi del muscolo (prima menzionata) e certamente meno è il muscolo e minore è il metabolismo.

Nel concetto di Chetosi l’attenzione è quindi centrata sui grassi, questo perché gli acidi grassi possono facilmente nutrire il muscolo di energia però non possono passare (come tali) la barriera ematoencefalica, quindi non riescono a fornirne al SNC (Sistema Nervoso Centrale).
Importante ricordare che il SNC utilizza una parte considerevole del fabbisogno metabolico energetico ed è logico che questo si faccia sentire in qualsiasi situazione di carenza glucidica, sia essa il digiuno che l’apporto di nutrizione prevalentemente a basi di grassi e proteine.
In quest’ultima situazione l’energia viene prodotta dai corpi chetonici.
I corpi chetonici sono essenzialmente 3, l'acetone, l'acetoacetato e il 3-idrossibutirrato (tutti derivati da Acetil Coenzima A).
I tessuti del SNC possono utilizzare ottimamente i corpi chetonici come energia, ma, nella normalità, con situazioni di alimentazioni normo o iper glucidica, questi sono presenti in quantitativo molto basso (< 0.3 mmol) confronto al glucosio (circa 4 mmol).
Per fare il modo che il SNC centrale possa “cambiare il carburante” occorre che la situazione si capovolga con la concentrazione di Corpo Chetonici che supera il glucosio.
I Corpi Chetonici possono partire da circa 0.1 mmol dopo il digiuno notturno, salire a 3 mmol dopo 3 giorni di digiuno fino ad arrivare a 7-8 mmol nei digiuni prolungati (>24 giorni).
Questo del resto può rappresentare un valido sistema di difesa che la macchina uomo ha a disposizione per permettere la sopravvivenza anche in situazioni estreme o anomale dove cambia la disponibilità di cibo. Con il calo drastico o l’assenza di carboidrati glucosio ed insulina calano mentre il glucagone aumenta (ormone che inoltre ha una importante azione lipolitica antagonista a quella svolta dall’insulina). Questa situazione fra l’altro crea la tanto ambita “calma insulinica”, meta ricercata da quasi tutte le alimentazioni di ultima generazione, situazione in cui anche con apporti di cibo consistenti, quindi con conteggi calorici elevati il corpo ha difficoltà a stoccare grasso di deposito (funzione invece che riesce perfettamente in presenza di grossi quantitativi di insulina). Quando la concentrazione di Corpi Chetonici sale fino ad un valore >4 mmol/L si osserva che la fame diminuisce in modo marcato e si registra un effetto definito anoressizzante ed euforizzante; questi ultimi 2 fattori sono quelli che determinano la mancanza di fame dopo i primi 3/4 giorni di dieta e la sensazione di benessere che la maggioranza dei soggetti registra durante questo tipo di nutrizione.

Questo descritto non è altro che l’adattamento del corpo alla carenza di glucidi e non deve essere confusa con la pericolosa chetoacidosi associata con un diabete di tipo 1 scompensato.
Il diabetico non deve infatti spingersi ad alimentazioni chetogeniche, su di lui infatti c’è una difficoltà metabolica ad utilizzare convenientemente i corpi chetonici, inoltre ha difficoltà a tamponare eventuali eccessi nella produzione di corpi chetonici (cosa che invece viene fatta senza grandi difficoltà nell’individuo non diabetico).
Nel diabetico un eccesso che chetoni “potrebbe” portare ad una acidosi metabolica con le conseguenze critiche del caso (anche il coma).
Le diete chetogeniche inoltre introducono, contrariamente alle condizioni prolungate e non salutari di digiuno assoluto, una quantità adeguata di proteine che possono preservare la massa magra ed essere convertite nella minima quantità di carboidrati necessari. Nelle diete chetogeniche il quantitativo di proteine non deve comunque essere eccessivo, infatti come già detto il carburante principale è derivato da grassi; questo del consumo sconsiderato di proteine è un errore che spesso, soprattutto sportivi e body builder, commettono senza accorgersi che limitando quello dei grassi vanificano la filosofia stessa della dieta. Inoltre l’eccessivo carico proteico può creare svariati problemi metabolici.

Purtroppo nella nostra società esiste la “fobia dei grassi”, una pausa quasi atavica che negli ultimi 50 anni ha colpevolizzato questi nutrienti facendoli intendere sempre e comunque come nemici e come componenti da evitare. Tornando alle alimentazioni chetogeniche e con il loro “funzionale” apporto di proteine è da sottolineare come l’introduzione di solo 20-30 g di carboidrati al giorno (quantitativo massimo consentito durante le diete chetogeniche) costringe l’organismo da una parte (come abbiamo visto) ad utilizzare energia da corpi chetonici, dall’altra parte a ricavare mediamente altri 60-65 g di glucosio a partire dalle proteine (alimentari, non muscolari) con la neoglucogenesi.
Per fare questo si innesca un’ulteriore “booster”, infatti normalmente 100 g di proteine forniscono circa 57 g di glucosio quindi per ricavare i 60/65 gr di glucosio di cu abbiamo precedente parlato e di cui il corpo abbisogna, occorre metabolizzare circa 110 g di proteine, tutto questo con un costo energetico aggiuntivo per tale processo di circa (4/5 Kcal/grammo) per un totale di circa 400/500 Kcal/die. Le diete chetogeniche hanno quindi una loro funzionalità legata sia al controllo insulinico, all’aumento metabolico e all’incentivo al consumo dei grassi, sono però comunque delle diete sbilanciate (considerando “bilanciata” la classica alimentazione mediterranea 60 carboidrati, 20 grassi e 20 proteine).
Per questo motivo una alimentazione di questo tipo non può mai essere fatta a cuor leggero e, seppure siano meno pericolose di quello che molti credono, il controllo sia preventivo che durante da parte di uno specialista è senza dubbio auspicabile. Sia ha infatti che in alcuni soggetti si possano registrare fastidiosi effetti collaterali come cafalea, alitosi, astenia, stipsi E’ quindi molto utile (se non indispensabile) che una tale scelta nutrizionale sia arricchita di vitamine e minerali ed in qualche caso di fibre. Detto questo occorre anche guardare avanti, cioè al “dopo chetogenica”, infatti chi si sottopone diligentemente alle linee guida della chetogenica che il nutrizionista ha indicato, ottiene mediamente dei buoni risultati, il difficile viene quando le persone “si stancano” o decidono autonomamente di tornare alla normalità.

Purtroppo dopo una “cheto” non è possibile pensare di tornare all’improvviso ad una alimentazione normo o iper glucidica, spesso questa scelta è latrice di molti kg di aumento in pochi giorni con effetti devastanti sulla ritenzione idrica e sulla psiche (depressione da insuccesso). Occorre un passaggio graduale ed un tempo congruo che deve essere proporzionato al tempo che si è restati in un regime chetogenico. Tutte le diete ipoglucidiche hanno infatti questo rischio che deve essere preventivato considerando un graduale ritorno a regimi più “zuccherini” e magari valutando di fare delle settimane di media assunzione di carboidrati anche durante le settimane di chetogenica.

Le diete chetogeniche sono quindi un valido sussidio per il dimagrimento, ma occorre conoscerne i risvolti e vanno eseguite con un monitoraggio e una pianificazione che non può essere solo dettata da moda ma fatta dopo una analisi metabolica precedente e poi seguita da un professionista.


Per saperne di più:

CONVEGNO FIF ANNUAL https://www.fif.it/index.php/convegno-fif-annual-2019?type=16-CON-00-000149

CORSO DI NUTRACEUTICAL SPORT CONSULTANT https://www.fif.it/formazione/corso-europeo-sport-nutrition-cnm.html

MASTER DI TECNICO DI FITNESS E NUTRIZIONE https://www.fif.it/index.php/tecnico-fitness-e-nutrizione?type=16-IEM-00-000125

Pubblicato in Fitness news

Come vi avevamo già anticipato nello scorso numero di Performance abbiamo iniziato un progetto di collaborazione con la prestigiosa azienda Tisanoreica di Gianluca Mech e siamo certi che questa unione porterà belle novità nel mondo dei Personal Trainer.

Vogliamo per questo darvi un’anticipazione per quanto riguarda il convegno del 26 ottobre a Bologna, infatti la Gianluca Mech collabora da oltre 10 anni con il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e fra i tanti studi portati avanti c’è anche quello dal titolo:
“Effetti di una dieta a basso tenore di carboidrati (Very Low Carbohydrate Ketogenic Diet VLCKD) su composizione corporea, sezione trasversa del muscolo, forza muscolare, metabolismo e performance sportiva in calciatori semi-professionisti”.

Questa ricerca ha ricevuto il primo premio da parte della nutrizionista del Barcellona FC dr.ssa Antonia Lizarraga, presso il secondo congresso ESNS (European Sport Nutrition Society – Milano, Marzo 2019).

Attualmente è in attesa di pubblicazione su una rivista specializzata, ed è l’ultima ricerca del Mech-LAB, e riguarda l’uso della dieta chetogenica (TISANOREICA) in calciatori semi-professionisti. La dieta VLCKD (Very Low Carbohydrate Ketogenic Diet), applicata in questo caso con i prodotti Tisanoreica della Gianluca Mech, è un regime alimentare basato su una drastica riduzione dei carboidrati, associato ad un relativo aumento della quota proteica e lipidica. Lo studio condotto ha voluto verificare se questa dieta, già dimostrata come efficace nella perdita di peso e nel miglioramento di altri indici di salute, possa essere applicata anche nella prestazione sportiva.

Si è così dimostrato che l’utilizzo della VLCKD in un gruppo di calciatori semi-professionisti può rivelarsi utile e sicuro per la rapida perdita di peso senza compromissione di forza, esplosività e massa magra. Questo lavoro scardina l’ultimo limite della dieta chetogenica, ovvero l’applicazione di questo regime alimentare in ambito sportivo. Allenatori e atleti dovrebbero considerare l’utilizzo delle VLCKD come uno strumento veloce, efficace, sicuro e praticabile per una rapida perdita di peso.

Per tutti quelli che vogliono approfondire l’argomento consigliamo di NON MANCARE a Bologna il 26 ottobre al convegno all’interno della FIF ANNUAL, fra i relatori ci sarà anche il Prof. Antonio Paoli che ha partecipato attivamente a questo studio e potrà rispondere a tutte le vostre domande.

Per tutte le informazioni: https://www.fif.it/index.php/convegno-fif-annual-2019?type=16-CON-00-000149

e-mail
tel. 0544-34124  

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Venerdì, 30 August 2019 12:24

Gallette e glicemia

GALLETTA DELLE MIE BRAME CHI È LA PIÙ BUONA DI TUTTO IL REAME?

Come sempre l’ambiente del fitness vive di miti che ciclicamente godono momenti di gloria e poi cadute cosmiche. La mia generazione ha iniziato con l’incubo del pane, che ancora oggi persiste anche se le possibilità di averne di vari tipi ne ha ampliato di molto la possibilità di utilizzo; comunque “ai tempi” il sostituto che ci veniva proposto erano le gallette di riso. Oddio, non che la palatabilità fosse eccelsa ma tutto sommato pur di sgranocchiare qualche cosa poteva andare. Poi con il passare del tempo qualche dubbio è arrivato; ancora prima degli studi ci sono le dichiarazioni degli utilizzatori che dicono nella maggioranza dei casi che più ne mangiano e più ne mangerebbero. Situazione questa tipica dei cibi ad alto indice glicemico.

Come è logico il tutto va razionalizzato non al singolo alimento ma alla composizione del pasto; per intenderci se mangiate 300 g di pane e 30 g di gallette con 300 g verdura a foglia e 10 g di olio l’indice glicemico globale del pasto rimane per forza basso perché l’IG della gallette poco influisce su quello degli altri alimenti. Ma se in uno spuntino, come fanno molte donne, usare le gallette è un suicidio che non vi sazierà. Qui verrebbe da fare una lunga disquisizione fra fame biologica e fame nervosa ma entriamo in un ginepraio da cui è difficile uscire e che richiederebbe molto più spazio. Comunque da diversi anni si sa che il tipo di lavorazione che il cibo subisce altera l’IG, addirittura si sa che c’è molta differenza fra riso “scotto” e riso al dente; più si cuoce più il rilascio degli amidi è veloce con conseguente picco di glicemia (e di insulina). Questo avviene per molti cereali sottoposti a “soffiatura” tipo anche il riso soffiato. Le gallette sono invece ricavate per estrusione; infatti Il macchinario le tratta attraverso una pressione molto alta che in pratica cuoce il prodotto creando delle gallette; queste poi si raffreddano a contatto con l’aria si gonfiano aumentando di volume. Questa lavorazione pone alcuni dubbi (alcuni da confermare) fra cui la formazione di Acrilamide; una molecola potenzialmente cancerogena. Con l’estrusione l’amido diventa altamente digeribile ma anche facilmente e velocemente assimilabile con conseguente indice glicemico elevato. Logico quindi che per chi ricerca una alimentazione a controllo glicemico le gallette possono non essere la risposta ideale. Sempre per la tipologia di lavorazione le vitamine vengono disperse e sembrerebbe che anche alcuni amino acidi, fra cui la Lisina vengano distrutti; quest’ultimi sono però particolari poco rilevanti in quanto non si mangiano certo gallette per cercare fornitura di vitamine o amino acidi. Purtroppo la situazione non cambia con gallette di farro o di mais (quest’ultimo con IG alto già senza trattamento di estrusione).

Ricordando che il “problema” non è di qualche povera galletta (così non lo è per l’innocua carotina che in molti disprezzano per l’IG alto dimenticando che l’IG si calcola a parità di carboidrati per 100 g e per fare 100 g di carbo da carote ne occorrono circa 1,3 Kg..). Forse si potrebbe prendere in considerazione il pane, certamente a bassi lieviti e fatto con cereali come la segale e l’avena (controllate sempre l’etichetta perché essendo farine difficili da lavorare vengono spesso miscelate con altre farine). Le calorie sono sulle 250 per 100 g ma quello che importa è l’IG basso. Comunque se siete dei “puristi” la scelta dovrebbero essere le fette secche di segale (facciamo pubblicità, diciamo le fette WASA fibre); sia ha un IG prossimo a 30 con fibre al 29%. Sono d’accordo che non a tutti possano piacere ma devo dire che dal punto di vista nutrizionale per chi cerca controllo glicemico e bassi carbo sono una soluzione ideale. Un’altra nota la vorrei fare sulla colazione (dove anche qui le cose dette prima sono sempre valide); ormai molti sportivi si sono convertiti all’uso dei Punkake fatti con farina di avena e albumi. La farina di avena ha un indice glicemico basso (circa 50 attenuato ulteriormente dagli albumi) e vi offre 15 g di proteine x 100 grammi con 11 g di fibre. Poi sul punkake per i più golosi metterei un velo di sciroppo d’Agave, indice glicemico 15 e molto gustoso (ma per piccoli quantitativi anche un poco di miele direi che ci potrebbe stare.

A titolo informativo riporto i valori di altre farine fra cui:

Farina di ceci 22
Farina di carrube 12
Farina di segale 40
Farina di riso 95

Chiunque si destreggi un po in cucina può crearsi polpettine o simil hamburger usando questo tipo di farine + albumi (esempio ceci frullati + farina di avena o di ceci + albumi) per fare delle ricettine interessanti, gustose ed a basso IG. In questo settore direi che internet può tornare molto utile ma anche i libri di cucina “fit” sono ormai molto diffusi e con una grande scelta.

È quasi ora di merenda e vedo se in dispensa ho qualche galletta...

Pubblicato in Performance n. 2 - 2019
Mercoledì, 21 August 2019 12:00

Digiuno: fra mito e realtà

Devo ammettere che fino ai 40 anni non mi ero mai interessato minimamente alle tecniche di digiuno; tutto orientato a cercare di ottimizzare l’anabolismo e la massa muscolare la sola parola digiuno mi metteva in crisi. Poi con il passare degli anni ci si rende conto che l’alimentazione è una realtà molto complessa, che definirei dinamica in quanto segue non solo i gusti della persona, ma anche le fasi dell’età, le esigenze e gli obiettivi; obiettivi che ovviamente cambiano fra un 20enne ed un 60enne. Quello che cambia è sia la percezione del nostro corpo che l’effettiva cura che occorre per mantenerne la massima salute.

Ecco quindi una “curiosità” verso il digiuno, pratica che è presente in qualsiasi religione e filosofia come fase di purificazione che porta con più facilità a concentrazione e riscoperta dell’io. C’è chi digiuna dopo una abbuffata, chi sposa la filosofia del digiuno intermittente (8 h di alimentazione contro 16 di digiuno) chi lo introduce periodicamente, una volta a settimana, una volta al mese, una settimana al mese o comunque un periodo ogni 4/6 settimane. Gli scopi sono molti (non escludendo la moda….), ma mediamente si ricerca un’azione disintossicante, riequilibrante. Il punto fermo è che il digiuno è una pratica complessa che richiederebbe sempre il consulto di un professionista anche perché ci sono categorie che non possono farlo (esempio diabetici o altre patologie).

Una volta appurato che siamo adatti ed idonei al digiuno, consultando un professionista, ci si rende conto che alla base c’è l’acqua come elemento centrale. Non solo acqua, vanno benissimo anche infusi, the verde, estratti di verdure. Difficilmente si va sotto ai 3 L al giorno. Come già detto non è da tutti e occorre anche avere sensibilità se si nota che già nel pomeriggio si iniziano ad avere sintomi di debolezza; certamente chi ci ha seguito in questo percorso avrà previsto cibi inseribili come della frutta e bevande dolcificate con miele. Il problema, terrore di tanti sportivi , è la perdita di massa magra, ma in 24 ore è stato provato che non c’è concreta perdita di massa magra. Oltre al digiuno vero, a base di soli liquidi per 24 ore, praticabile 1 volta a settimana, ci sono poi altre forme che magari prevedono dei regimi “disintossicanti” ma comunque non da digiuno. Questi possono essere tenuti anche per 3 giorni al mese (ma come sempre la scelta del modo e dei tempi va stimata da un professionista dell’alimentazione). Nelle giornate detox (ma ci tengo a sottolineare che la definizione detox è aleatoria perché difficilmente lo si può definire “scientifico”) si cerca di limitare le forme di proteine animali, eliminare ogni forma di alcolici, forme di grassi saturi e zuccheri raffinati. L’alimentazione è a base di frutta, verdura, qualche legume, piccole dosi di riso.

Un’idea potrebbe essere:
- Colazione con The verde, 1 frutto e bacche di Goji.
- Durante la mattinata tisana con zenzero.
- Pranzo una piccola dose di riso (40/60 g) con tanta verdura e 1 cucchiaio di olio crudo e limone.
- Pomeriggio 1 frutto.
- Cena tanta verdura 30/50 g legumi oppure ripetere il riso, oppure un passato di verdure con dei legumi o del riso. Ammesso olio crudo.

In questi giorni si cerca di evitare caffè, latte e derivati, carne e insaccati, zuccheri raffinati, e, come già detto alcolici. Come si vede nulla di trascendentale e comunque le declinazioni del “digiuno” possono essere tante e ciascuna con sue connotazioni. Come già accennato in tanti (anche sportivi) stanno sperimentando il digiuno intermittente che consente di utilizzare al meglio la secrezione ormonale notturna (soprattutto a carico del GH); questa pratica va contro all’ortodossia tradizionale che vede la colazione come cardine principale della giornata, ma come sempre non esistono dogmi imprescindibili e, ancora una volta, occorre capire le proprie predisposizioni. In tanti con il digiuno intermittente dichiarano più energia, maggiore lucidità mentale e facilità di gestione dei pasti e dei momenti di assunzione cibo (pranzo, pomeriggio con 1 o 2 snack, cena). Poi i pasti seguono la filosofia che uno crede, e non è assolutamente detto che il pasto serale debba essere senza carboidrati.

In questo breve excursus è da considerare come anche la pratica di un giorno di forte riduzione alimentare dopo un pranzo o una cena di “bagordi” non sia affatto assurda; certamente dopo uno stravizio il corpo reclama un attimo di pausa per metabolizzare ed in questo contesto la tecnica del giorno di “scarico o decompressione” torna utile ed efficace.

Come si vede, ferma restando la raccomandazione di evitare il fai da te, le metodiche con cui approcciarsi alle varie filosofie di digiuno sono diverse, ciascuna con una sua motivazione e ciascuna potenzialmente latrice di positivi adattamenti.  

Pubblicato in Fitness news
Venerdì, 28 September 2018 13:07

Parliamo di Paleo Diet

Fra le tante filosofie alimentari che sono adottate nel mondo del fitness (ma non solo) grande successo ha ottenuto negli ultimi 20 anni quella legata alla filosofia Paleo. In pratica alla base c’è la considerazione che il nostro bagaglio genetico in fondo non è troppo cambiato negli ultimi 10.000 anni, cioè da quando l’uomo si è evoluto in cacciatore, pescatore, raccoglitore, prima di diventare uomo agricoltore. L’evento dell’agricoltura deve in pratica ancora “integrarsi” con quelle che sono le nostre caratteristiche. Di qui l’indicazione di nutrirsi di carne, pesce, frutta, verdura, semi, bacche, radici; il tutto il meno manipolato possibile. L’idea è affascinante e , anche nella pratica, ha trovato diversi studi a sostegno, soprattutto per ciò che riguarda il supporto metabolico, la stabilità glicemica e di altri profili metabolici/ematici. Purtroppo ci sono però altrettante evidenze che mettono in dubbio la sostenibilità di tale filosofia, soprattutto nel suo presupposto base di adattamento genetico. Ci sono infatti genetisti che dicono che quel lasso di tempo è più che sufficiente per determinare un adattamento agli alimenti così come in alcuni caratteri fisico-somatici. Ne abbiamo esempio nell’enzima lattasi così come nel cambio del colore degli occhi legato a diversi adattamenti climatici. Ma ulteriori studi confermano come anche osservando le poche comunità “paleo” che ancora oggi vivono in alcune zone di Australia, nuova Guinea, sud America ci si rende conto di come possa enormemente cambiare la composizione alimentare di questi popoli.

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Inoltre già limitandosi a queste popolazioni odierne (fra cui gli Hiwi) si vede di come variano le fonti ricorrendo logicamente a quanto reperibile sul territorio.

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Alimenti impossibili da reperire da un “paleo-cittadino” dove, qualsiasi forma di vegetale o animale vada ad assumere è sempre frutto di una evoluzione e soprattutto di una selezione che l’uomo ha fatto nel corso dei millenni e quindi lontano da quanto poteva essere reperibile 10.000 anni fa.

Comunque pur con questa consapevolezza in una Paleo “moderna” occorrerebbe non ricorrere mai a cibi conservati (prosciutto, tonno in scatola ecc), conservati e coloranti (quindi addio proteine in polvere, barrette ecc). Cercare di usare solo alimenti freschi a base di:

- Carni da animali selvatici o allevati bradi
- Pesce crostacei, molluschi preferendo il pescato
- Funghi e radici amidacee (sembrano ok rapa, rapa rossa, patata americana barbabietola)
- Frutta e verdura
- Frutta secca oleosa e semi
- Uova
- Miele
- Oliva (in dubbio l’olio).

L’impresa non è facile anche se probabilmente potrebbe essere interessante da provare. Come sempre di ogni filosofia è bene cogliere l’essenza del messaggio positivo e verificarlo nella sua applicabilità.  

Pubblicato in Fitness news
Lunedì, 27 August 2018 17:38

Qual è la bibita ideale?

NELLE STAGIONI CALDE COSÌ COME IN QUELLE FREDDE, PER TUTTI GLI ATLETI SI RIPROPONE SISTEMATICAMENTE IL DILEMMA DELLA SCELTA DELL’INTEGRATORE IDRO-SALINO PIÙ EFFICACE. MA CERCHIAMO DI VALUTARE QUANTO È DAVVERO NECESSARIO IL LORO UTILIZZO.

Un integratore idro-salino è un mix di acqua e sali minerali, in opportuna concentrazione e la sua finalità è quindi quella di ripristinare le riserve di questi elementi nel nostro organismo, riserve che possono essere temporaneamente deficitarie per effetto di una qualche causa. L’acqua corporea può infatti esser persa durante l’attività fisica in quantità molto rilevante sia con la sudorazione, che con la ventilazione, che sono alcuni fra i meccanismi che l’organismo mette in atto per mantenere costante la temperatura corporea. Durante l’attività fisica si attua una ridistribuzione del circolo ematico che è volta a favorire un maggior apporto di sangue ai muscoli in attività. Ciò avviene attraverso una mobilizzazione del sangue dal distretto splancnico (area dei visceri addominali), sia ai muscoli in attività che alla cute, attraverso la quale, con la sudorazione, viene dissipato l’eccesso di calore prodotto. Al termine di competizioni di resistenza molto durature, sono state quantificate nell’atleta perdite idriche (naturalmente reintegrate nel corso delle prestazione stessa) sino a 5 litri, comprese tra il 6 ed il 10% della massa corporea. Perdite idriche dell’ordine del 5% della massa corporea si accompagnano ad una riduzione della capacità di termoregolare ed ad alterazioni della funzione cardiovascolare con riduzione della capacità di eseguire lavoro fisico.

Quali sono le attività sportive che richiedono realmente l’uso di integratori idro-salini?
Vi sono delle attività particolarmente a rischio di squilibrio idro-elettrolitico rispetto ad altre e tra queste lo jogging prolungato ed/o ad andatura sostenuta, il ciclismo ed il pattinaggio su strada, la mountain bike ed il canottaggio. Ma anche sport di squadra ad impegno misto (aerobico anaerobico alternato) calcio, basket, o ancora benché non classificabili come sport di squadra il tennis, la boxe e tanti altri. Tra le attività che mettono a dura prova l’atleta sotto questo profilo non si può fare a meno di citare classiche attività di “endurance” quali la maratona e la supermaratona ed ancora il triatlhon. Mentre tra le attività di palestra si possono citare lo spinning bike, il cardiofitness, ma in generale tutte le discipline ad impegno “puramente aerobico o misto”soprattutto se prolungate. Il rischio è naturalmente accentuato, per le attività che si svolgono all’aria aperta, caratterizzate da condizioni ambientali sfavorevoli di temperatura, umidità e ventilazione. Sono viceversa poco utili quelle integrazioni effettuate durante lo svolgimento di attività di potenza soprattutto se eseguite in una sala attrezzi ben condizionata, attività che raramente si associano a significative perdite idriche.

Quando e quanto idratarsi?
Per gli atleti che stanno per affrontare una prestazione o un allenamento particolarmente stressante si suggerisce, una idratazione preventiva o “iperidratazione” che andrebbe effettuata almeno 20 minuti prima della gara con l’assunzione di 400-600 ml di una soluzione idrosalina, in modo tale da poter avviare con qualche anticipo il suo assorbimento a livello intestinale, a cui far seguire l’assunzione di 150-250 ml ad intervalli di 15 minuti durante la prestazione, se prolungata.

Qual è la temperatura ideale?
La temperatura della bevanda si suggerisce intorno ai 5 °C o comunque fresca al fine di facilitare lo svuotamento gastrico e quindi l’assorbimento intestinale, tuttavia è importante fare molta attenzione alle bevande eccessivamente fredde perché potrebbero provocare reazioni pericolose!

Come possono essere reintegrati il sodio e il potassio?
Il sodio perso con una sudorazione entro i 3 litri può essere facilmente recuperato aggiungendo un pizzico di sale da cucina in più nelle pietanze. Per sudorazioni maggiori invece è opportuno aggiungere 3 g (circa mezzo cucchiaio da te) per litro d’acqua al fine di ottenere una soluzione con composizione molto simile allo stesso sudore. Un ulteriore scopo dell’aggiunta di sodio, che è indipendente dall’entità della sudorazione, è anche quello di tenere vivido il senso della sete che talvolta nell’atleta viene avvertito troppo tardi, da non prevenire un iniziale stato di disidratazione. La concentrazione di sodio nel sangue natriemia o sodiemia viene mantenuta a livelli compresi tra 135 e 145 mmol/L. L’iponatriemia o iposodiemia rappresenta una condizione clinica in cui la concentrazione di sodio nel sangue è inferiore rispetto alla norma. In condizioni fisiologiche, Si parla di iponatriemia (od iposodiemia) quando tale valore scende al di sotto dei 135 mmol/L. I casi più comuni riguardano una iposodiemia lieve (valori superiori a 125 mmol/L e minori di 135 mmol/L), i sintomi sono leggeri, vaghi, o del tutto assenti; quando presenti si tratta di sintomi di natura gastrointestinale, del tipo nausea o vomito. Per concentrazioni inferiori di sodio, i sintomi si accentuano. In tal caso si documentano spesso tra gli altri i seguenti sintomi: allucinazioni, crampi e debolezza muscolari, ipotensione, mal di testa, rallentamento dei riflessi, secchezza delle fauci e conseguente sete intensa, sonnolenza grave, tachicardia. Per ciò che riguarda il potassio la dose dietetica consigliata è di 3.000 mg/die sia per gli adulti che per i bambini tra i 10 e i 18 anni. Per età inferiori si passa da dosi di 1.000 mg/die (fascia 1-2 anni) a dosi di 1.600 mg/die (fascia 6-9 anni). Il potassio, essendo rispetto al sodio più concentrato all’interno delle cellule, inizia a ridursi significativamente solo in condizioni di disidratazioni molto elevate; in tal caso si può facilmente recuperare consumando alimenti che ne possiedono una ricca quantità come banane (385 mg per 100g), succo d’arancia o albicocche secche (1126 mg per ogni 100 g), avocado (485 mg per ogni 100 g), uvetta essiccata (864 mg per ogni 100g), mandorle dolci (780 mg per 100 g). Una carenza di potassio può provocare disturbi cardiaci, debolezza e diminuzione del tono muscolare, crampi, stanchezza, stitichezza, disidratazione cellulare e formazione di edemi.

...e le aggiunte energetiche?
Per quanto riguarda le aggiunte “energetiche” spesso presenti nella composizione di tali bevande l’efficacia di addizionarle disciolte assieme ai sali, si è dimostrata efficace nel supportare la prestazione. La quantità ottimale di tali carboidrati dovrebbe essere compresa tra i 5 e gli 8 g % (1 cucchiaino o un cucchiaino e mezzo in 100 ml di acqua) ciò che dovrebbe assicurarne una assunzione dell’ordine di circa 30-60 g l’ora. Sono da preferire quei carboidrati a catena corta quali le maltodestrine (costituiti da 3 a 20 molecole di glucosio), che oltre ad assicurare un lento rilascio di energia sono osmoticamente meno attivi. Per quanto riguarda il fruttosio, questo non è da preferire al glucosio in quanto è responsabile di un assorbimento d’acqua inferiore a quella del glucosio che avviene fra l’altro in tempi più prolungati. Degno di nota è infine, un accorgimento per soddisfare il piacere del gusto; infatti una semplice aggiunta del succo di un limone o di un’arancia renderà la nostra bibita da gara piacevolmente appetibile, e perché no, sarà anche accettabile per l’economia delle nostre tasche!

Pubblicato in Performance n. 2 - 2018
Lunedì, 27 August 2018 17:20

Reverse diet: novità o rivisitazione?

NEL FITNESS, IL SETTORE ALIMENTARE È QUELLO CHE VA INCONTRO PIÙ FACILMENTE ALL’AFFERMAZIONE DI NUOVE MODE (PIÙ O MENO SCIENTIFICHE), MA È UN DATO DI FATTO CHE NELLA MAGGIORANZA DEI CASI SI TRATTA DI UNA RIELABORAZIONE DI CONCETTI GIÀ RISAPUTI E PIÙ O MENO SPERIMENTATI.

Nell’ultimo anno si è parlato molto di Reverse Diet, un modo progressivo e graduale (ma anche regressivo) che dovrebbe portare il metabolismo a migliorare. Nasce come proposta per atleti di medio alto livello, anche come metodo per migliorare la massa magra; ma i suoi concetti sono ben trasportabili praticamente a tutti, anche con l’obbiettivo di ridurre la massa grassa. Certamente le alimentazioni a calorie costanti e con proporzioni fisse nel tempo dei macronutrienti hanno dei loro vantaggi, ma possono anche avere l’effetto di “appiattire” il metabolismo. è facile, infatti, che l’organismo si abitui, soprattutto ai regimi ipocalorici, magari con sottrazione costante o periodica delle calorie, rispondendo con un adattamento in negativo che blocca il dimagrimento è può mettere a rischio la massa magra. In questo contesto la reverse diet si propone invece come uno stimolo per creare un andamento crescente, o comunque alternato, dei macronutrienti, questo soprattutto giocando sui carboidrati (ma anche sui grassi).

Tutto questo ha una logica e sortisce effetto, soprattutto se abbinato ad una solida e continuativa attività fisica, che funge da booster a questo concetto. In modo sintetico si tratta quindi di organizzare una alimentazione partendo da una base, per poi creare un andamento progressivo incrementale della calorie (quindi delle quantità) soprattutto riguardante i glucidi. Questa strategia risulta vincente soprattutto per superare periodi di stallo nei miglioramenti, se il corpo non risponde più alle solite scelte monocaloriche, o se si hanno periodi di “stanchezza” anche solo mentale verso la solita alimentazione. Le scelte per realizzare una “reverse diet” sono diverse, è logico che affidarsi alle mani di un professionista aiuta ad avere le corrette indicazioni di partenza e delle modificazioni da adottare per creare l’andamento crescente. Questo permetterebbe al professionista di ragionare partendo dal Metabolismo Basale e dalle calorie presunte consumate per le attività quotidiane; inoltre è sempre un valore aggiunto poter verificare periodicamente la composizione corporea per avere una dato oggettivo sull’andamento di massa magra e massa grassa al di là del semplice peso corporeo. Le interpretazioni della reverse diet sono diverse e possono comprenderne una che cambia il quantitativo ogni giorno (per 10/15 giorni) oppure che esegue la modifica in crescendo ogni settimana; per pura ipotesi si potrebbe pensare ad un aumento di 50 Kcal al giorno (che in 7 giorni sono 350 Kcal ed in 2 settimane sono 700 Kcal) oppure stabilire di aumentare 250 Kcal a settimana x 4 settimane (che sono 750 di aumento totale considerando che nella prima settimana non si esegue nessun aumento). Il concetto chiave è comunque quello dell’incremento graduale che ha un effetto molto diverso se da un giorno all’altro ci fossero degli incrementali da 500 Kcal.

Come filosofia, soprattutto sugli sportivi si cerca di garantire un apporto proteico di base, significativo, ma non certamente esagerato come si vede in alcuni casi. Gli studi ci dicono che già 2 g di proteine per ogni kg di peso corporeo sono un apporto adatto a chi pratica sport con una base di potenza. Una volta garantita questa base, che rimane costante nel tempo, si ricerca un quantitativo “base” di carboidrati e grassi: quello che si ricava è lo schema da cui partire. L’esperienza dice che l’incremento su base settimanale è uno dei più pratici e che permette l’adattamento positivo più graduale. Si potrebbe quindi ipotizzare che dopo la prima settimana si aumenta 50 g riso o pasta e 10 g olio (quindi un totale di circa 270 kcal). La settimana seguente si potrebbero inserire 30 di parmigiano e 60 di pane (per un totale di circa 250 Kcal settimanali). L’ultima settimana incrementale potrebbe prevedere 300 di frutta e 30 g frutta secca oleosa (per un totale di circa 260 calorie). Sul fatto di fermarsi qui o di procedere ancora con incrementi non ci sono regole fisse, se tutto procede bene e non ci sono state modificazioni negative della composizione corporea si può benissimo continuare, anche per 2 o più mesi. Come sempre la pratica dice che diventa “allenante” il fatto di creare un andamento hi/low dove dopo 4 settimane si torna all’alimentazione base o ad un step appena maggiorato cioè quello effettuato alla 2à settimana del ciclo; questo consentirebbe, ripetendo l’incremento per altre 4 settimane di arrivare ad uno step di altre 250/270 Kcal in più rispetto a quelle raggiunte alla fine del primo mese. Le risposte , come sempre , sono soggettive, ciascuno deve trovare la propria formula ed adattarla alle esigenze ed ai risultati; per questo è importante valutare le modificazioni e sapere quando è il momento di “tornare” indietro e non insistere con l’incremento. Se tutto va bene e si saprà sapientemente miscelare questo schema alimentare con l’attività fisica si vedrà il corpo cambiare, perdere massa grassa e migliorare quella magra. Va da se che non conviene puntare troppo sull’attività aerobica. Un buon programma di pesi, anche a circuito, è quello più stimolante per metabolismo e stimolo muscolare Il dato di fatto è che comunque vada, al corpo verrà dato un messaggio stimolante che porta il metabolismo ad un adattamento positivo e che nella maggioranza dei casi fa in modo che ci si ritrovi a mangiare un 25% più di prima e rendersi conto di avere una distribuzione antropometrica migliore. Questa è la garanzia migliore per ottenere stati di forma duraturi in quanto sostenuti da un metabolismo più attivo. I punti chiave sono essenzialmente 2: il primo consiste nell’usare sempre piccole modifiche periodiche per minimizzare l’impatto metabolico; il secondo è che queste modifiche non è detto siano sempre incrementali, ma anche decrementali e sempre a piccoli step. Aggiungerei anche il fatto di non essere troppo monotoni nella scelta dei cibi in quanto evita la noia da alimenti e diventa più stimolante anche sotto il profilo immunitario.

Se ci si pensa in fondo nulla di nuovo rispetto alle strategie hi-low che tanti atleti usano da decenni, forse il messaggio più importante riguarda la riduzione dell’ampiezza degli step.

Sugli adattamenti metabolici e le motivazioni ormonali segnalo questo bell’articolo scientifico “Metabolic adaptation to weight loss: implications for the atlete” Eric T Trexler, Abbie E Smith-Ryan. Journal of the International Society of Sports Nutrition 2014 11:7.

Pubblicato in Performance n. 2 - 2018